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Tic tic tic tic tic tic

sabato 1 marzo 2014

Il pasticciaccio brutto dei Senatori a vita

Una raffigurazione pittorica del Senato Romano
Credo che in questo momento in tutta Italia non vi sia un Istituto avvertito come il più odioso, inutile, dispendioso, parassitario, castale nel senso più proprio del termine di quello dei Senatori a vita.
Se andate su Facebook e digitate queste tre semplici paroline troverete ondate di gruppi anche molto numerosi che si propongono puramente e semplicemente la loro abolizione, la loro giubilazione, la loro fine, la loro estinzione
e piacevolezze simili...
Ma da cosa deriva tutto questo odio, o comunque tutta questa antipatia diffusa?

Partiamo dalle origini. Nella vigenza dello Statuto Albertino, all'epoca della Monarchia sabauda, l'art. 33 prevedeva che il Senato non fosse di natura elettiva, ma fosse "composto da membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l'età di quaranta anni compiuti" e scelti tra un ben preciso numero di categorie (al primo posto "gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato", al secondo "il Presidente della Camera dei Deputati", al terzo "i Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio", al quarto "i Ministri di Stato", al quinto "i Ministri Segretarii di Stato", al sesto "gli Ambasciatori", e così via).
Al ventesimo posto su ventuno, erano menzionati "Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria".
Il ventunesimo e ultimo posto, per inciso, era composto da "Le persone, che da tre anni pagano tremila lire di imposizione diretta in ragione de' loro beni, o della loro industria".
(Silvio Berlusconi sarebbe Senatore a vita da oltre trent'anni...)
In sostanza, quindi, i Senatori erano né più né meno che l'equivalente della Camera dei Lords britannica, l'autentica crema del Regno, aristocratica, religiosa, burocratica, giudiziaria, militare, degli autentici Padri della Patria, più o meno analoghi ai Patres Conscripti di Roma antica, tutti di nomina regia, tutti a vita e tutti appartenenti alla classe dirigente del paese, in tutte le sue sfaccettature, che andavano dai cosiddetti "Grand commis" dello Stato giù giù fino a chi si fosse agli occhi del Re reso meritevole di particolari benemerenze verso la Patria e, ultimi, ai principali contributori dello Stato.

Un'immagine del primo Senato italiano riunitosi a Palazzo Madama

La nuova Costituzione Repubblicana entrata in vigore nel 1948 cambiò drasticamente le cose: rese il Senato camera elettiva, quindi parificandola alla Camera dei Deputati che già c'era, sia pure con la differenza dell'età maggiore richiesta sia per l'elettorato attivo (venticinque anni), che per quello passivo (quaranta anni), per mantenere il carattere di Camera Alta che lo contraddistingueva rispetto all'altra, anche se sia nell'un caso che nell'altro l'elezione era ormai diventata a suffragio universale diretto e senza discriminazioni di genere, nel segno di una democrazia finalmente compiuta che escludeva discriminazioni dovute al censo, alla ricchezza, ai privilegi del passato.
Tuttavia, la nuova Costituzione intese mantenere in vigore, nonostante l'ormai palese anacronismo che ciò significava, l'istituto dei Senatori a vita, diversi da quelli "normali" per il carattere onorifico e non elettivo che li contraddistingueva, relegandoli però a una "nicchia" molto circoscritta nel numero e, di per sé, di alto valore morale e civile ma non certo con un rilievo politico particolare: una sorta di enclave della ragionevolezza, dell'esperienza, della pacatezza, in un'assise che già di suo per anagrafe e professionalità politica di chi ne faceva parte garantiva in teoria rispetto alla Camera maggior serenità di toni ed espressioni, più attenzione alla riflessione ed ai contenuti.

L'attuale aula del Senato

L'art. 59 della Costituzione pertanto recita: "E' senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica (1° comma). Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario (2° comma)".
Di fatto, quindi:
- il primo comma rispecchia per i Presidenti emeriti della Repubblica un po' il privilegio che era riconosciuto dall'art. 34 dello Statuto Albertino ai Principi della Famiglia Reale, che facevano a pieno diritto parte del Senato, sedendosi immediatamente dopo il Presidente, e vi entravano sin dal ventunesimo anno di età, pur potendo votare solo compiuti i venticinque (il Re, in effetti, era considerato al di sopra di tutto e di tutti quindi del Senato nemmeno faceva parte, ma ne nominava il Presidente e i Vice a norma del successivo art. 35);
- il secondo comma prevede invece una competenza di nomina dei meritevoli in capo esclusivamente al Presidente della Repubblica, nella sua insindacabile volontà, anche qui una sorta di antistorico privilegio regale fuori dal tempo che poteva forse giustificarsi solo con l'incontestabilità di certe scelte, la loro assoluta autorevolezza, imparzialità, trasversalità, che servisse a dare un solido contributo di idee e opinioni, avulse dal contesto di lotta politica che pure i Senatori a vita si sarebbero dovuti trovare ad affrontare nelle quotidiane discussioni in aula, un intendimento che non poteva che uscire rafforzato dal fatto stesso che al massimo i Senatori di diretta nomina presidenziale non potessero essere più di cinque, e che potessero benissimo essere anche meno o addirittura potessero non essercene proprio, trattandosi di una scelta puramente facoltativa e non certo obbligatoria del Capo dello Stato.
Insomma, l'input dei Padri Costituenti era: al massimo possono esserci cinque Senatori a vita nominati dal Presidente e non di più, semmai meno, e deve trattarsi di persone di fama e dall'autorevolezza assoluta e riconosciuta da tutti, estranee alla lotta politica e con una certa anzianità anagrafica, ben superiore anche a quella prevista per essere eletti al Senato (tenendo conto per analogia con i Senatori a vita di diritto che i Presidenti emeriti non dovevano avere in teoria meno di 57 anni, di fatto in genere assai di più, visto che l'età minima per acquisire tale carica è di 50 anni e la durata del mandato è di 7 anni).

Luigi Einaudi 

Le precauzioni introdotte dai Padri costituenti, purtroppo, hanno retto circa una trentina di anni, e se all'inizio il primo capo dello Stato, Enrico De Nicola, nemmeno aveva ritenuto di chiamare alcuno al Laticlavio, e il secondo, Luigi Einaudi, aveva nominato personaggi insigni come il matematico Guido Castelnuovo, Arturo Toscanini (che rifiutò), il poeta Trilussa (morto pochi giorni dopo), lo storico Gaetano De Sanctis, lo scultore Pietro Canonica, l'economista Pasquale  Iannaccone e l'archeologo e ambientalista Umberto Zanotti Bianco, fondatore di Italia Nostra, già a partire da Giovanni Gronchi, che nominò come suo unico Senatore a vita l'economista e notabile liberale Giuseppe Paratore, e con eccezioni quali ad esempio Vittorio Valletta ed il grande poeta Eugenio Montale (nominati da Giuseppe Saragat), e poi tempo dopo l'altro poeta Mario Luzi e Sergio Pininfarina (nominati da Carlo Azeglio Ciampi), si cominciò a premiare soprattutto la politica, in principio nel nome dell'antifascismo storico e repubblicano che aveva contribuito a formare la Costituzione (Don Luigi Sturzo, voluto pure da Einaudi; Ferruccio Parri, Meuccio Ruini, Cesare Merzagora, i tre voluti da Antonio Segni; Pietro Nenni, nominato da Giuseppe Saragat; Leo Valiani, voluto da Sandro Pertini), per poi progressivamente indicare per meri opportunismi politici nomi che certo non potevano ritenersi tanto estranei alla vicende del momento e che quindi perdevano quel carattere di imparzialità che in teoria dovevano avere, sia che fossero politici in senso stretto (Giovanni Leone voluto da Saragat, cui poi successe come Presidente della Repubblica; Amintore Fanfani scelto proprio da Leone; Giulio Andreotti, Giovanni Spadolini, Francesco De Martino, Paolo Emilio Taviani voluti da Francesco Cossiga), sia che si trattasse di personalità assai influenti nella vita pubblica (la giornalista Camilla Ravera e persino a suo modo lo stesso Eduardo De Filippo, voluti da Pertini, e addirittura Sua Maestà Gianni Agnelli, scelto ancora una volta da Cossiga).

Sandro Pertini con Bruno Conti che bacia la Coppa del Mondo

La svolta avvenne probabilmente con l'avvento alla Presidenza della Repubblica proprio del vulcanico e, se permettete, casinista Sandro Pertini, il quale intese il suo ruolo non più nell'accezione notarile e poco più che folcloristica da "tagliatore di nastri" come era stato inteso fino a quel momento dai gentiluomini di stampo quasi risorgimentale che l'avevano preceduto, gente dal profilo caratteriale e politico assai più moderato di quello suo, ma volle dargli una visibilità e un rilievo costituzionale assai più decisamente marcati, e che in diverse occasioni avrebbero costretto il suo staff di collaboratori a fare i salti mortali per rimediare alle sue iniziative, spesso frutto di impuntature estemporanee magari venate di protagonismo nemmeno tanto nascosto (tipo le sue intromissioni di campo pubbliche nelle competenze dell'esecutivo, o certe sue esternazioni fuori controllo, in occasione per esempio del terremoto in Irpinia, o la sua inopportuna presenza sul luogo della terribile tragedia di Vermicino, con la scorta, i relativi giornalisti, le troupes tv, curiosi e sfaccendati vari interessati all'evento, e con le conseguenze che potete immaginare sulla tempestività, la funzionalità, l'efficienza dei soccorsi...), se non di una mai nascosta simpatia per le manifestazioni sindacali e gli scioperi che lo spinse a difendere con insipiente ignoranza delle regole (alla malafede non voglio credere, perché sarebbe stato veramente grave) persino lo sciopero dei controllori di volo: che però all'epoca erano militari e si rendevano pertanto autori di un reato militare assai grave, l'ammutinamento, che il Presidente della Repubblica e Capo delle Forze Armate per dettato costituzionale (art.87) mai e poi mai avrebbe dovuto in qualsiasi modo appoggiare, per ovvi motivi...
(Non parlo poi delle, per carità simpatiche, non dico di no, scene di giubilo al Santiago Bernabeu, degne del miglior cabaret, né di quegli ostentati baci ai bambini che pure si dice in realtà non gli piacessero proprio...)

Già prima di Pertini si era diffusa la prassi di nominare comunque cinque Senatori a vita, anche se la norma della Costituzione parlava di facoltà e non di obbligo, per cui capitava che, morto un Senatore a vita, se ne nominasse comunque un altro, così da mantenere invariato in aula il numero di cinque previsto dall'art.59.
Ma con Pertini si ebbe il salto di qualità: contrariamente alla prassi seguita fino ad allora lui intendeva la norma costituzionale non nel senso che l'Istituzione Presidente della Repubblica potesse nominare cinque Senatori, che ci fosse Tizio piuttosto che Caio a ricoprire quell'incarico, ma nel senso (per me abnorme) che ogni Presidente persona fisica potesse (anzi dovesse, a questo punto) nominare cinque Senatori a suo insindacabile giudizio, senza nemmeno rapportarsi con gli altri vertici istituzionali come si era fatto fino a quel momento!

L'inizio della fine del prestigio dei Senatori a vita parte da qui, a mio giudizio, dall'aver trasformato col tempo un'Istituzione in qualche modo di garanzia, di riflessione, di saggezza, di equidistanza in un ulteriore strumento di lotta politica, che se esteso al massimo dei suoi limiti poteva diventare, e lo è diventato a partire dal 2006, un modo per giungere ad alterare e addirittura capovolgere, in caso di maggioranze risicatissime o addirittura di quasi o totale parità di forze nel Senato, il verdetto delle elezioni politiche nazionali liberamente dato dall'intero corpo elettorale.

Essì, perché se ogni Presidente può nominare a prescindere cinque persone come Senatori, solo quelle che vuole lui, senza che nessuno possa sindacarne la scelta, e intende nominarle tutte e cinque, e non solo quattro, o tre, o due, o una, o nessuna, e appena una muore la sostituisce sempre a proprio piacimento, è chiaro che, soprattutto se la sua storia personale è di un certo tipo (e quella di Pertini lo era) andrà sempre a pescare nel suo ambiente, o se proprio va di lusso tenderà comunque a mantenere una maggioranza a favore della parte per cui batte il suo cuore, e se i nominati hanno anche la fortuna di vivere a lungo potrebbe crearsi col tempo un vero e proprio gruppo autonomo di ben più di cinque Senatori a vita, mettendo insieme sia loro che quelli di diritto in quanto Presidenti emeriti della Repubblica: sei, sette o otto Senatori vitalizi, in un'assemblea di 315, costituiscono già percentualmente una bella massa (facciamo un plotone, vah...) di manovra.
E in un contesto parlamentare in cui la maggioranza balli su pochi voti di scarto anche un manipolo di vecchietti portati a forza in barella con la flebo attaccata al braccio e la bombola del gas accanto a loro può dare un contributo decisivo.

E' quello che accade ormai regolarmente dalle maledette elezioni del 2006.
Da Pertini in poi, con l'eccezione del suo successore Francesco Cossiga (che infatti operò delle scelte un po' più meditate e meno apertamente schierate, anche se fino ad un certo punto) e di Oscar Luigi Scalfaro, che in strana controtendenza non nominò nessuno (forse a parere di chi scrive l'unico merito del suo dimenticabilissimo settennato), si sono succeduti Carlo Azeglio Ciampi e poi per ben due volte consecutive Giorgio Napolitano, come sappiamo, e quello che era all'inizio un semplice smottamento si è trasformato in una valanga.
L'elezione del 2006 è stata la vera apoteosi dell'orrido, quella in cui tutti i nodi sono venuti al pettine.
Lo schieramento di Romano Prodi, vincitore alla Camera per la miseria di 24000 voti che in realtà pare proprio non ci fossero (sarà la Storia a definirlo, forse, prima o poi), al Senato non aveva semplicemente la maggioranza, che l'elettorato italiano gli aveva negato: ma a soccorrere (per poco, non poteva durare e non durò) la coalizione prodiana accorsero insieme, oltre ai Senatori eletti per la prima volta all'Estero e quindi non espressione del corpo elettorale nazionale, vogliosi solo di accreditarsi presso il governo al di là delle posizioni politiche di partenza, i Senatori a vita nominati dai precedenti Presidenti, a chiara maggioranza di sinistra e comunque favorevoli al governo Prodi (Giulio Andreotti, Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Giorgio Napolitano, proprio lui!, Sergio Pininfarina) e quelli di diritto (Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Dio l'abbia in Gloria).
Grazie ai voti di questi pochi Senatori, nessuno dei quali votato da alcun elettore in Italia, l'esecutivo Prodi sarebbe nato e avrebbe vivacchiato per quasi due anni, facendo più danni della peste bubbonica (e, per inciso, anche grazie a loro sarebbe stato portato alla Presidenza della Repubblica il Sen. Napolitano, con Ciampi divenuto Senatore a vita di diritto in quanto Presidente emerito: sembra il cane che si morde la coda, in un girotondo infernale da cui noi di centrodestra siamo sistematicamente tenuti fuori, come accade anche per la Corte Costituzionale, le principali Authorities e così via...)
Alla faccia del giudizio sovrano del Corpo elettorale di cui parla il primo articolo della nostra Carta!!!

Non voglio esprimermi oltre più di quanto abbia fatto in altre sedi sull'abominio della nomina interessata di Mario Monti al Laticlavio da parte di Giorgio Napolitano, voluta espressamente al solo fine di parare le terga al Divus Marius Dictator Maximus in vista del suo fallimentare premierato di diretta espressione presidenziale, successivamente bocciato anche dalle urne cui il buon Mario Monti, ovviamente, non partecipava grazie al regalo di Sua Maestà, così come non voglio parlare del giochetto sporco fatto solo pochi mesi fa con la nomina di altri quattro Senatori a vita left-oriented come Claudio Abbado (recentemente scomparso, pace all'anima sua, ma il mio giudizio non cambia per questo), Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia.
Nessuno discute i loro meriti individuali, che ci sono e sono altamente commendevoli (oddio, io quelli di Monti li discuterei, così come quelli della Cattaneo, ma vabbè fa lo stesso), ma quello che si contesta è la loro assoluta unidirezionalità verso una sola parte, mascherata spesso sotto un'apparente estraneità alle cose politiche (vero, Senatore Monti?), che è cosa assolutamente diversa da quella quasi algida compostezza e serenità di giudizio che secondo gli intendimenti dei Padri Costituenti doveva caratterizzare i Senatori a vita soprattutto di nomina presidenziale.
Una cosa divenuta addirittura sfrontata al momento del voto sulla decadenza da Senatore di Silvio Berlusconi, che ha trovato insieme per la prima e unica volta in aula sicuramente Monti, la Cattaneo e Renzo Piano (fino a quel momento sempre assenti), in una plastica dimostrazione di come strumentale ai fini politici contingenti fosse stata la loro nomina da parte del Presidente Napolitano, brutta da vedersi anche per la stessa immagine dell'Istituzione di cui fanno parte, inelegante, meschina e francamente sgradevole.

Gli ultimi Senatori a vita Abbado, Cattaneo, Piano e Rubbia

Sinceramente credo che dopo quest'ultima prodezza il prestigio dei Senatori a vita come Istituzione sia ormai definitivamente compromesso: ci si è spinti troppo oltre, con la loro utilizzazione a fini di bieca politica politicante, e la loro credibilità è, salvo miracoli difficilmente ipotizzabili, decisamente troppo compromessa, soprattutto in un momento come questo in cui è tutta la classe politica e tutte le caste in genere, di cui a torto o a ragione i Senatori a vita sono avvertiti come parte integrante, ad essere pesantemente messa in discussione, come simbolo stesso di sprechi, incapacità, mala amministrazione, centro di privilegi, corruttela.
Periodicamente si fanno nomi nuovi di possibili Senatori a vita, e sono quasi sempre politici onusti di Gloria e un po' spompi, a fine carriera, o magari addetti ai lavori comunque in cerca di uno strapuntino di rilievo che ne solletichi al crepuscolo della carriera la personale vanità, dai soliti Luciano ViolanteStefano Rodotà a Marco Pannella, da Emma Bonino a Romano Prodi, dall'onnipresente Eugenio Scalfari all'immaginifico Umberto Eco, fino a Don Luigi Ciotti.
Curioso che tutti costoro non siano accostabili benché minimamente allo schieramento di centrodestra, dove pure non credo manchino le personalità adatte, trattate però sempre come se fossero figlie di un Dio minore: dal mio preferito Antonio Martino a Marcello Pera, da Mario Cervi a Giorgio Albertazzida Franco Cardini a Marco Tarchi, perché no (impossibile, lo so, ma qualche volta sarebbe bello sparigliare...)per dire i primi nomi che mi vengono in mente, certo ognuno assolutamente diverso dall'altro e di sicuro non catalogabili in categorie preconfezionate.
Ma la verità è che i Senatori a vita dovrebbero semplicemente sparire dalla faccia della terra.
Punto.

Tra i progetti di riforma sul tavolo c'è quello di un ridimensionamento politico, amministrativo e numerico del Senato, e in quest'ambito vedrei bene la pura e semplice cancellazione di questi relitti della Storia sopravvissuti allo Statuto Albertino, magari col mantenimento dei Senatori a vita di diritto, senza però prebende ulteriori oltre quelle di cui già dispongono.
Il mantenimento dei Senatori a vita in Costituzione si giustifica solo come riconoscimento di una loro esistenza condotta per il bene del paese nell'ambito di specifiche altissime competenze ricoperte al meglio, al di fuori o comunque al di sopra degli schieramenti di partito, per cui se li si vuole comunque mantenere si accentui il loro ruolo onorifico di Padri della Patria viventi, dandogli il solo diritto di tribuna, magari libero nei tempi e nelle modalità di intervento, ma vietandogli il voto sia in aula che in commissione, e tributandogli al massimo un solo forfait mensile, più moderato di quello stabilito a favore di chi ci ha messo la faccia per candidarsi alle elezioni, riuscendo in quest'intento, o meglio ancora garantendo un mero rimborso delle spese vive e stop.

Se si vuole fare attività politica vera e propria, ci si candidi e si faccia campagna elettorale all'interno di una ben precisa lista politica di riferimento, senza tante finte manifestazioni di indipendenza che fanno solo rabbia.
Correttamente, apertamente, lealmente, spendendo i propri soldi e andando a guadagnarsi i voti che servono uno a uno, non vedendosi regalare la pappa già pronta e solo da mangiare.

Altri modi, in questi tempi di ristrettezze e di mancanza di fiducia nella classe politica, non ne vedo.








  


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