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Diavolo che scrive al pc

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Tic tic tic tic tic tic

giovedì 16 marzo 2017

L'ultimo giorno da bambino


C'era euforia in casa quel giorno.
L'indomani dovevamo andare a Roma, io e mia sorella, insieme con mia madre.
Mio padre, maggiore d'artiglieria, finiva quella settimana il suo corso intensivo N.A.T.O. di lingua inglese: per tutti i precedenti sei mesi aveva sempre vissuto nella Città Eterna e ci veniva a trovare solo il fine settimana, in treno.
Ora che il corso era finito e doveva tornare a casa papà ci aveva detto di andarlo a raggiungere: saremmo poi ritornati tutti insieme a Modena.
Nostro fratello Gianluca sarebbe rimasto a casa con mia nonna, era troppo piccolo per venire con noi, ma per la prima volta io e Annalisa saremmo stati a Roma, la GRANDE Roma, l'IMPERIALE Roma, simbolo di Civiltà e di Storia, la Città del Papa e del Colosseo, la nostra Capitale, quella magica Urbe che fino ad allora avevamo soltanto studiato a scuola, letto sui libri, visto in televisione...
Saremmo stati soltanto pochi giorni, ma quella settimana non avevamo pensato ad altro.

Quella sera andarono tutti a dormire presto, tutti tranne me.
Sull'allora TeleMontecarlo davano un dimenticabilissimo film di fantascienza in b/n, una di quelle ingenue pellicole giapponesi degli anni '60 ai limiti del ridicolo che facevano incassi megagalattici con due lire di costi: il protagonista si chiamava "Spaceman".
Credo che fu la prima volta in vita mia che fui l'ultimo a spegnere la luce in casa, quella sera.




Ci alzammo presto la mattina dopo, per prendere in tempo il treno.
Ricordo che all'edicola della stazione prima di partire comprai l'ultimo numero uscito di "SuperEroica".
Il viaggio fu allegro, anche se lungo: l'alta velocità era ben lungi dal venire e credo che arrivammo intorno alle due del pomeriggio.
Quando scendemmo c'era un'atmosfera irreale: carabinieri e polizia in tuta antisommossa dappertutto, armati fino ai denti, la gente sembrava stralunata, andava di fretta, ma forse era normale, forse sono io che ricordo tutto in maniera alterata.
Mio padre ci aspettava e ci andò incontro.
Vestiva in borghese.
Era contento, ma il suo viso era strano, il sorriso un po' tirato, la gestualità, come dire, un po' "strappata".
Dopo averci salutati ci disse: "Se sentite degli spari, buttatevi subito a terra!"
Mia madre chiese preoccupatissima: "Che cos'è successo?"
"Hanno rapito Aldo Moro!"



Era il 16 marzo 1978.
Avrei compiuto dodici anni solo otto giorni dopo.
Ma bambino non ero più.


lunedì 13 marzo 2017

#gigiocapitano





Signori, scusatemi, chi non è milanista può anche astenersi dal leggere, ma per un momento, per un momento solo, torno alla mia fede rossonera e lancio l'hashtag

#gigiocapitano

Cari milanisti, mettetelo in ogni vostro commento, che sia attinente o no al Milan.
Tornerò ai temi abituali dal prossimo post.
(Ce ne saranno, ahimè, ce ne saranno).