Ciao, Antonio Abrusci.
So poco di te, so solo che eri il papà di mio nonno materno, Giovanni, e che eri emigrato negli USA dalla natia Puglia.
Quando gli USA decisero di entrare in guerra decisero di chiamare alle armi per primi i propri cittadini di origine italiana, e allora tu decidesti di tornartene in Patria, perché se dovevi combattere volevi farlo con le insegne del Regio Esercito Italiano, e non sotto altri colori.
Fosti militarizzato direttamente sulla nave che ti portava in Italia, e quando sbarcasti eri già a tutti gli effetti un soldato delle forze armate italiane.
Fosti subito buttato sulla linea del fronte, da qualche parte, sul Carso, sull'Isonzo, sulla Bainsizza, non lo so...
Fosti colpito al palato, si tramanda la storia, non so quando, non so dove, forse una scheggia, forse una pallottola diretta, non si saprà mai, ma non moristi subito, fosti ricoverato all'ospedale da campo, tuo cognato Gerolamo fece a tempo a venirti a trovare qualche giorno dopo, a vederti vivo.
L'ultima persona a vederti vivo.
Tanti anni dopo tuo figlio (mio nonno) salì lassù fino a Redipuglia, insieme con la moglie Irene (mia nonna), suo genero (mio padre, allora capitano dell'artiglieria semovente a Udine), sua figlia (mia madre) e il figlio minore, che portava il tuo stesso nome, Antonio (mio zio), che era allora militare a Cormons.
Forse c'ero anch'io, piccolino, appena nato, ma non lo posso ricordare...
Mio nonno cercò invano disperatamente il tuo nome, tra i tanti PRESENTE che formano l'imponente e malinconica scalinata di quel Sacrario immenso.
Ma il tuo nome non c'era. Il tuo nome non c'è.
Sei sepolto da qualche parte, chissà dove, in una qualche fossa comune presumo... Mio nonno aveva cinque, sei anni quando lo lasciasti orfano.
Questa foto è l'unica traccia di te che resta sulla terra. La metto qui, così che possa restare per l'Eternità nell'aere telematico di questo mondo moderno che tutto ingoia e tutto dimentica, nella sua frenesia inutile...
Ciao, di nuovo.
E grazie.
A te e a tutti quelli che, come te, sono morti in quell'immane carneficina nell'illusione di farlo per lasciarci un mondo migliore.
Forse il mondo migliore non lo è diventato, ma non certo per colpa tua. Un po', noi moderni, dovremmo vergognarcene.
Fosti militarizzato direttamente sulla nave che ti portava in Italia, e quando sbarcasti eri già a tutti gli effetti un soldato delle forze armate italiane.
Fosti subito buttato sulla linea del fronte, da qualche parte, sul Carso, sull'Isonzo, sulla Bainsizza, non lo so...
Fosti colpito al palato, si tramanda la storia, non so quando, non so dove, forse una scheggia, forse una pallottola diretta, non si saprà mai, ma non moristi subito, fosti ricoverato all'ospedale da campo, tuo cognato Gerolamo fece a tempo a venirti a trovare qualche giorno dopo, a vederti vivo.
L'ultima persona a vederti vivo.
Tanti anni dopo tuo figlio (mio nonno) salì lassù fino a Redipuglia, insieme con la moglie Irene (mia nonna), suo genero (mio padre, allora capitano dell'artiglieria semovente a Udine), sua figlia (mia madre) e il figlio minore, che portava il tuo stesso nome, Antonio (mio zio), che era allora militare a Cormons.
Forse c'ero anch'io, piccolino, appena nato, ma non lo posso ricordare...
Mio nonno cercò invano disperatamente il tuo nome, tra i tanti PRESENTE che formano l'imponente e malinconica scalinata di quel Sacrario immenso.
Ma il tuo nome non c'era. Il tuo nome non c'è.
Sei sepolto da qualche parte, chissà dove, in una qualche fossa comune presumo... Mio nonno aveva cinque, sei anni quando lo lasciasti orfano.
Questa foto è l'unica traccia di te che resta sulla terra. La metto qui, così che possa restare per l'Eternità nell'aere telematico di questo mondo moderno che tutto ingoia e tutto dimentica, nella sua frenesia inutile...
Ciao, di nuovo.
E grazie.
A te e a tutti quelli che, come te, sono morti in quell'immane carneficina nell'illusione di farlo per lasciarci un mondo migliore.
Forse il mondo migliore non lo è diventato, ma non certo per colpa tua. Un po', noi moderni, dovremmo vergognarcene.
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