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venerdì 19 giugno 2020

La misteriosa morte di Francesco Baracca


Francesco Baracca col suo SPAD S. VII

Sui cieli di Nervesa nel pieno della Battaglia del Solstizio nel tardo pomeriggio del 19 giugno 1918 cadeva, a 30 anni appena compiuti (il 9 maggio), il maggiore pilota Francesco Baracca, comandante della 91° squadriglia, la "Squadriglia degli Assi".
Lui, il più famoso di tutti (34 vittorie confermate, meno di quanto siano state in realtà, le ultime due solo quattro giorni prima, ai danni di due Albatros D. III austriaci colpiti insieme col sergente Aliperta sui cieli del Montello e di San Biagio di Callalta), venne abbattuto a bordo del suo aereo di riserva, uno SPAD S. VII Matr. 5682, utilizzato a causa dell'indisponibilità del fidato S. XIII (meno leggero e maneggevole ma più potente ed armato di due mitragliatrici e non solo una), sottoposto a lavori di riparazione del suo rivestimento in tela delle ali e della fusoliera, nel corso della sua quarta missione di mitragliamento a bassa quota di quella giornata (nella prima un proiettile aveva passato da parte a parte il bavero del colletto della sua tuta di volo senza fargli un graffio!), condotta a difesa dei cinque battaglioni residui della 48° divisione sulle linee nemiche di Collesel Val dell'Acqua, il punto più alto del Montello (371 metri).

I piloti della 91° squadriglia: tra parentesi le vittorie accreditate, da sinistra Serg. Mario D'Urso (2), Serg. Gaetano Aliperta (2), Ten. Gastone Novelli (8), seminascosto Ten. Cesare Magistrini (6), Cap. Bartolomeo Costantini (6), Cap. Fulco Ruffo di Calabria (20), Ten. Col. Pier Ruggero Piccio (24), Ten. Guido Keller (1), Magg. Francesco Baracca (34), Ten. Ferruccio Ranza (17), Ten. Adriano Bacula  (1), Ten. Mario de Bernardi (4), Ten. Guido Nardini (6), S. Ten. Eduardo Alfredo Olivero (2). Il titolo di "asso" veniva ufficialmente riconosciuto al pilota che avesse abbattuto, da solo o con altri, almeno 5 apparecchi nemici.

LE ULTIME ORE DI VITA DI FRANCESCO BARACCA

Alcune testimonianze affidabili riferiscono come l'asso di Lugo di Romagna prima di partire fosse molto nervoso a causa di un brusco scambio di opinioni avuto nel corso del primo pomeriggio nella sede del comando di Villa Borghesan di Quinto di Treviso (ora non più esistente) con il suo diretto superiore, il tenente colonnello Pier Ruggero Piccio (anche lui pluridecorato, terzo asso della caccia italiana con 24 abbattimenti confermati), e lo stesso Generale Luigi Bongiovanni, il neo Comandante Generale dell'Aeronautica, giunto appositamente alla base su espresso incarico di Badoglio, il Sottocapo di Stato Maggiore, secondo solo a Diaz, molto contrariato per il poco successo riscosso a suo dire dalle missioni "Rettile", il nome in codice di quelle azioni di mitragliamento, così chiamate perchè svolte a bassissima quota e con un'andatura sinusoidale analoga a quella usata dai serpenti, per evitare di essere colpiti da terra.

Immagine pittorica raffigurante Baracca a bordo dello SPAD VII impegnato in un combattimento

Si trattava in effetti di un tipo di missione che i piloti svolgevano assai malvolentieri perchè, quasi tutti provenienti dalla cavalleria, disdegnavano quel ruolo di mero servizio alle operazioni di terra, loro che erano entrati nella neonata specialità aeronautica solo per il desiderio di combattere ad armi pari contro i piloti nemici, come veri e propri "cavalieri dell'aria" che si sfidassero in un leale duello, unico modo a loro dire per rinverdire i fasti dell'ormai morente cavalleria, destinata in breve tempo ad essere inevitabilmente superata dall'incombente progresso tecnologico.
Tuttavia sia Bongiovanni che Badoglio erano generali che provenivano dall'artiglieria, e per quanto soprattutto il primo fosse un entusiasta assertore della neonata aviazione militare (ma non per caso soprattutto di quella da bombardamento, tanto da favorire le imprese aviatorie del suo amico Gabriele D'Annunzio) vedevano entrambi in tale specialità (allora interna all'esercito e ritenuta una derivazione dalle armi del genio e dell'artiglieria) uno strumento di mera proiezione dall'aria delle operazioni svolte via terra, a maggior ragione dopo il disastro di Caporetto e la nostra strenua difesa sulla linea del Piave.
Ecco perché Bongiovanni aveva ordinato alla 91° ed alle altre squadriglie della "Massa da caccia" di effettuare anche quella missione, che pure originariamente non era in programma, probabilmente invitando Piccio e Baracca a parteciparvi nuovamente per dare l'esempio: così quest'ultimo, pur molto stanco e arrabbiato, aveva deciso di ripartire nuovamente, portandosi come gregario un novellino, il tenente Franco Osnago, da poco arrivato alla squadriglia, probabilmente per fargli fare esperienza in una missione ritenuta comunque poco pericolosa (la caccia nemica era ormai quasi inesistente, e per quel tipo di missione bastava in genere solo un pilota).
Tra una cosa e l'altra l'asso romagnolo era però decollato dal campo di San Bernardino solo alle 18,15, preceduto di pochi minuti dall'esperto capitano Bartolomeo Costantini, che pure doveva partire insieme con loro, e dallo stesso Piccio, sollevatosi in volo da solo per attaccare un Draken (pallone frenato), probabilmente quello sopra Susegana.

Baracca quand'era ancora ufficiale di cavalleria nel 2° Piemonte Reale

Lo SPAD VII precipitò in località Busa delle Rane, alle pendici del Montello, a ovest dell'ex Abbazia di Nervesa ed a nord della Parrocchia di Giavera, uno dei settori più contesi in assoluto durante quel terribile Solstizio, circa mezz'ora dopo la sua partenza, in una zona teoricamente tenuta dal nemico ma talmente battuta dalle artiglierie italiane da essere virtualmente terra di nessuno: unici testimoni della sua caduta, alcuni soldati del 112° Piacenza che lo videro impennarsi all'improvviso e cadere seguito da una fievole scia di fumo.


Il velivolo sarebbe stato ritrovato solo quattro giorni dopo, nei pressi delle carrarecce 3 e 4, a battaglia ormai finita, dal tenente Ferruccio Ranza e dallo stesso Franco Osnago (che l'aveva perso di vista dopo averlo visto anche lui abbassarsi di quota all'improvviso a sinistra seguito da una sottile coda di fumo), recatisi sul posto assieme a Raffaele Garinei, giornalista del Secolo di Milano, su segnalazione del tenente Ambrogio Gobbi, comandante della 188° batteria da montagna, già a conoscenza che in zona fosse caduto un aereo nostro, ma il primo a imbattersi effettivamente nei poveri resti, col sottotenente Lombardini e l'artigliere Ulserti, mentre cercava di trovare il punto più adatto dove posizionare i suoi pezzi.

La salma di Baracca viene trasportata a spalla dai suoi commilitoni. A sinistra il capitano Fulco Ruffo di Calabria, suo successore al comando della 91° squadriglia e dal settembre successivo comandante del 17° gruppo caccia

A pochi metri dal velivolo, trovato quasi completamente bruciato e col motore e la mitragliatrice Vickers sbalzati via al momento dell'urto col terreno, era il corpo supino di Baracca, pressoché integro salva qualche bruciacchiatura sul petto e sulle mani, col volto in basso, anch'esso intaccato dal fuoco, proteso verso il Piave, le gambe contratte, il pugno destro irrigidito presso la tempia, l'orologio da tasca, quello d'argento del Concorso Ippico di Roma, fermo sulle 18,42, ma con solo un forellino sotto l'incavo dell'occhio destro, all'altezza della radice del naso.
A prima vista una lesione da arma da fuoco di piccolo calibro, senza foro d'uscita.

La notizia del ritrovamento del corpo di Baracca data dal Messaggero di Roma

IL MISTERO SULLA MORTE DELL'ASSO

Ancora adesso non si sa bene come sia morto.
Gli scenari che si sono tradizionalmente da sempre ipotizzati sono più d'uno:

1) colpito dalle due raffiche della Schwarzlose del primo tenente osservatore Leutnant Arnold Barwig a bordo del ricognitore Phoenix C. I 121.17 pilotato dal Zugsfuhrer (sergente) Max Kauer della FliK 28 D, come provato da una foto dell'aereo caduto in fiamme, in realtà piuttosto confusa perché si vede solo fumo e nient'altro (vittoria confermata dagli uomini della SturmKompanie 139 presente sul posto e da altri quattro ufficiali della K.u.K. Luftfahrtruppen, l'imperial-regia aviazione austriaca, testimoni diretti del fatto, osservato da lontano con un cannocchiale a 40 ingrandimenti, e pertanto subito omologata dai loro Comandi, prima ancora che si sapesse di Baracca, anche perché le fanterie di quel particolare settore non disponevano di munizioni incendiarie per cui a rigor di logica solo un aereo poteva avere abbattuto lo SPAD);

2) colpito mortalmente da fuoco da terra (si ipotizzò anni dopo il colpo fortunato di un cecchino appostato su un campanile), come riteneva Osnago, non avendo visto aerei nemici in quei cieli al momento del fatto: soluzione certo possibile, quella più accettata da sempre in Italia, ma estremamente improbabile anche perché una pallottola sparata dal fucile Steyr-Mannlicher in dotazione ai fanti austro-ungarici avrebbe avuto un effetto devastante sul viso del pilota;

3) suicida per evitare di morire bruciato (la fondina della pistola era vuota, con l'arma andata probabilmente distrutta nell'incendio): ipotesi quest'ultima cavalcata nei primissimi giorni da Garinei e che lo stesso Baracca aveva evocato tempo prima ("Meglio un colpo in testa che bruciare vivo"), non rara tra i piloti da quando erano entrate in uso le pallottole incendiarie ed il paracadute spesso non era in dotazione ("Limita l'ardimento", era la tesi degli Alti Comandi di allora).

L'ULTIMA IPOTESI

Recentemente, nel saggio "Francesco Baracca- Indagine sulla morte di un eroe italiano" (Ed. Storica) scritto da Stefano Gambarotto e Renato Callegari, due ricercatori trevigiani dell'Istituto Storico del Risorgimento, si è fatta una nuova ipotesi.
Il duo Kauer-Barwig era sincero, perché il loro Phoenix, decollato dalla base trevigiana di Godega Sant'Urbano alle 18,00, intravisti due caccia italiani più in alto mentre volava a bassissima quota (30-50 metri al massimo) sulle linee tenute dalla 17° divisione austro-ungarica, alle 18,30 di quel pomeriggio ne abbatté veramente uno sparando in diagonale dal basso verso l'alto e da sinistra verso destra, ma non lo SPAD di Baracca bensì l'Hanriot HD. 1 del sergente Antonio Nava dell'81° squadriglia del VI° gruppo caccia, medaglia d'argento alla memoria, decollato dalla base di Oleis presso Casoni di Mussolente (VC) insieme con quello del parigrado Carlo Corti.
Posta alle dipendenze della IV° armata del Grappa, l'81° squadriglia evidentemente quel giorno a causa dell'estrema delicatezza della situazione sul terreno partecipava anch'essa attivamente alle missioni "Rettile" insieme con la 76° del medesimo gruppo, comandata dal tenente Silvio Scaroni, il secondo asso italiano della Grande Guerra (30 abbattimenti, 26 riconosciuti), che faceva invece essa sì formalmente parte della "Massa da caccia".
Il velivolo di Nava cadde in fiamme in località Sorgente dei Frati e venne ritrovato in serata dagli arditi del XXVII° reparto d'assalto del maggiore Luigi Freguglia, accorsi il prima possibile sul posto dopo averne scacciati i soldati austro-ungarici presenti, e capaci di estrarre il corpo del pilota da sotto l'aereo e trovarvi nelle tasche della tuta i documenti identificativi, anche se la sua morte per una serie di disguidi burocratici aggravati dalle ostilità ancora in corso sul Montello figura ufficialmente avvenuta il giorno dopo!


Krauer e Barwig davanti al loro aereo Phoenix C.I
(Fonte: Archivio R. Gentili- Rif. Storia Militare, Cieli del Montello 1918 di Paolo Varriale)

L'aereo di Baracca, reduce da una serie di azioni sulle linee nemiche probabilmente tra Villa Berti, San Nicolò, Campagnole, Collesel delle Zorle, Sovilla, Bavaria e Villa Jacur, mentre forse virava a sinistra verso Casa Del Faveri volando a circa 50 metri di quota venne invece colpito 12 minuti dopo Nava, all'altezza del piccolo paese di Santa Croce, dalla contraerea della 31° Honved, come attestano le pallottole di mitragliatrice e pallettoni da Shrapnel rinvenuti sul motore Hispano-Suiza dello SPAD VII, e dopo il contraccolpo cadde non visto da nessuno (tranne che dagli uomini del 112° Piacenza presenti sul campo di battaglia) perché scivolato all'interno di un grosso avvallamento del terreno (il che, secondo lo storico dell'aviazione Gregory Alegi, non gli avrebbe dato nemmeno il tempo materiale di spararsi): un'evidenza che spiegherebbe anche la testimonianza degli ufficiali austro-ungarici di aviazione, che da dov'erano mai avrebbero potuto vederlo cadere (troppo basso sull'orizzonte, con troppe alture a coprirlo), mentre avrebbero potuto assistere invece all'abbattimento dell'HD. 1 di Nava, che volava ben più alto e la cui sagoma era assai visibile in cielo.

Il punto esatto dove si ritiene siano stati ritrovati i resti dell'aereo e del corpo di Baracca, nella Busa delle Rane
(https://it.wikiloc.com/percorsi-cammino/valle-delle-tre-fonti-bus-de-le-rane-sacello-baracca-e-tanto-bosco-18178048/photo-11468764)

Se fosse stato a una quota più alta di soli 50 metri Baracca sarebbe stato sicuramente in grado di scavallare la collina e atterrare nella pianura sottostante, all'interno delle linee italiane, ma a quell'altezza e col motore irrimediabilmente danneggiato fu costretto a tentare disperatamente una sorta di planata di fortuna sull'unico spiazzo piano visibile dall'alto, la Valle dell'Acqua, che ha inizio proprio sulla dorsale tra le prese 2 e 3 e termina nella Busa delle Rane, chiuso da una nuova piccola altura.
Col propulsore ormai fuori uso e l'aereo quasi in stallo e forse già lambito dalle prime fiamme l'asso italiano finì purtroppo col piantarsi praticamente sul terreno a pochi metri dalla salvezza, a circa 600 metri dal punto di caduta di Nava, davanti alla scarpata che si alzava alla fine di quel declivio, urtando violentemente la fronte contro lo stretto abitacolo del velivolo quando questo toccò il suolo (si suppone contro uno dei quattro supporti cilindrici dell'altimetro, posto esattamente di fronte a lui): con l'aereo praticamente infossatosi col muso nel suolo Baracca, ancora vivo ma gravemente ferito, non sarebbe stato sbalzato in avanti, trattenuto dalle cinture di sicurezza, ma sarebbe stato invece in grado di sganciarsi, di uscire fuori dallo SPAD ormai avvolto dalle fiamme e fare qualche altro passo, prima di crollare definitivamente morto con la testa rivolta al Piave.

Non venne effettuata alcuna autopsia, solo una ricognizione superficiale del cadavere a fini più che altro identificativi, effettuata dal Dott. Mario La Corte, firmatario del relativo verbale sottoscritto da alcuni testimoni tra cui Gino Carini, attendente e autista del pilota (da cui risulta che Baracca sarebbe "morto in seguito a ferita d'arma da fuoco alla regione orbitaria destra e ad ustioni profonde e diffuse per scoppio del motore sull'apparecchio che pilotava"), né si esaminarono approfonditamente i resti dell'aereo, forse per pressapochismo, o per rispetto, o magari per non avere conferme del fatto che l'Eroe potesse essere stato sconfitto nel suo elemento naturale, come un mortale qualunque.

Tratto da Storia Illustrata, n. 127, giugno 1968

Non si può comunque escludere in assoluto che il giovane ufficiale una volta a terra possa essersi sparato alla tempia destra (le modalità della ferita sarebbero d'altronde compatibili con la disposizione del corpo sul terreno, in relazione anche alle sue limitate possibilità di movimento), magari dopo aver dato lui stesso fuoco all'aereo per impedire che finisse in mano nemica, o per timore invece che le fiamme lo raggiungessero, o per non cadere prigioniero del nemico, o forse, sentendosi ormai in fin di vita, solo per evitarsi una lunga agonia, ma come si è detto la sua pistola d'ordinanza non fu mai ritrovata ed un'altra pistola trovata nei pressi del cadavere, una potentissima Mauser C96 che Baracca aveva recuperato da un velivolo austriaco abbattuto nel marzo 1917, se usata gli avrebbe devastato il viso.

L'unica foto, ch'io sappia, che mostri il corpo senza vita di Francesco Baracca
(trovata in https://www.freeforumzone.com/mobile/d/11066364/Dove-cadde-Baracca-/discussione.aspx)

Fermo restando che la ferita alla tempia di Baracca potrebbe essere stata causata post-mortem anche da una palletta di Shrapnel, una delle tante cadute in quei giorni su quel terreno, o con l'asso magari ancora vivo e sceso dall'aereo da un'isolata fucilata del nemico accorso sul posto subito dopo la sua caduta (improbabile, Baracca era conosciuto, la propaganda nemica avrebbe cavalcato sicuramente la notizia), la verità è che sulla sua morte non c'è niente di certo, per una serie di motivi:

1) Kauer e Barwig parlano nel loro rapporto espressamente di due SPAD e non di due Hanriot (potevano sicuramente essere incorsi in un errore, magari a causa della foga, anche se il fatto che fossero ricognitori, quindi abituati ad osservare le differenze di ogni elemento nemico in volo e a terra, non depone certo a favore di una simile ipotesi, ma va detto che l'aereo che hanno abbattuto volava a loro dire più in alto, e di solito l'HD. 1, ben conosciuto e molto temuto dai piloti austro-ungarici, era identificabile per la caratteristica ala superiore a V, in quella situazione forse però poco rilevabile);

2) il sergente Corti, testimone diretto dell'abbattimento di  Nava, parla comunque dell'intervento di due caccia nemici, uno dei quali abbattuto proprio da lui, e data i fatti proprio al 20 giugno, il giorno dopo la caduta di Baracca e quello nel quale risulta ufficialmente caduto Nava;

3) il 20 giugno d'altronde è la stessa data nella quale due cacciatori austriaci a bordo di Albatros (uno dei quali era il famoso asso Benno Fiala von Fernbrugg, non certo uno qualunque) descrivono l'abbattimento proprio di un HD. 1...

Il sacello di Francesco Baracca sul Montello

IL MISTERO SUl LUOGO ESATTO DELLA CADUTA DELLO SPAD VII

Qualunque sia stato il motivo della morte di Baracca, comunque, che resterà probabilmente sempre sconosciuto, la notizia del ritrovamento del suo corpo prostrò profondamente un intero Popolo ed un intero Esercito che per quattro giorni avevano sperato e pregato per la sua vita, confortati dalle stesse parole del Re, convinto al pari dei suoi compagni che l'asso di Lugo si fosse salvato e stesse cercando di rientrare entro le linee italiane, come già capitato proprio durante Caporetto.
Sul posto della caduta campeggia ora una semplice croce di legno, mentre poco più a nord-est, alla confluenza delle strade 2, 3 e 4 del Montello, in un luogo asseritamente più panoramico, è stato costruito un Sacello in sua memoria.

In realtà anche sul posto esatto del ritrovamento dell'aereo e del corpo di Baracca ci sono dubbi, perché sul pavimento marmoreo del Sacello fatto erigere in suo onore dalla famiglia è scritto testualmente "QUI CADDE IL MAGGIORE FRANCESCO BARACCA ASSO DEGLI ASSI (...)", e la cosa non si comprende appieno, visto che di solito si sostiene che in realtà il piccolo mausoleo sia stato eretto  a qualche centinaio di metri di distanza, per sfruttare la vicinanza con le strade 3 e 4 del Montello e la miglior vista panoramica.


Considerato che le poche foto esistenti del ritrovamento attestano la presenza sul posto dello zio del pilota, che quindi ben doveva essere a conoscenza del punto esatto in cui l'aereo era precipitato, che il monumento è stato eretto subito dopo la fine della guerra, a ricordi quindi ancora assai vivi e non annacquati dal tempo trascorso, e quando in realtà la zona era assai più selvaggia, piena di alture e avvallamenti e cosparsa di alberi, molti dei quali abbattuti dalle esplosioni, senza la presenza vicina dell'attuale Sacrario dei caduti del Montello, costruito anni dopo, ben lontano dai cimiteri militari allora esistenti, non facilmente visibile e quindi raggiungibile da terra (tutto sommato anche adesso), non si capisce infatti come si possa parlare di una sua posizione "panoramica", visto che tuttora esiste una sola strada che conduce sin lì, da cui però bisogna scendere per qualche decina di metri per arrivare al sacello, eretto in una valletta seminascosta e di fatto insignificante che solo gli appassionati possono conoscere bene, quando magari un posto decisamente più adatto in tal senso poteva essere il pianoro dove ora sorge il grande parcheggio, decisamente più pratico, agevole da raggiungere e visibile.
Tutto questo, unito al fatto che la croce originale apposta sul luogo della caduta risulta quella conservata gelosamente nelle salette del Museo Baracca di Lugo e quella presente ora è stata piantata solo qualche anno fa dai meritevoli appassionati dell' "Associazione Battaglia del Solstizio", quindi sulla base più di una logica deduttiva che di certezze autentiche, fa sì che non vi siano certezze nemmeno sul sito dove sia caduto lo SPAD di Baracca, e che esso possa corrispondere effettivamente anche al luogo dove sorge il monumento in ricordo dell'asso romagnolo, nonostante la vulgata diversa.

Incipit e conclusione del discorso funebre di Gabriele D'Annunzio
(Fonte: http://www.museobaracca.it/Il-Museo/Museo-Baracca/Primo-piano/Saletta-delle-Onoranze-Funebri)

L'ORAZIONE FUNEBRE DI GABRIELE D'ANNUNZIO

Alle esequie, celebrate il 26 giugno 1918 a Quinto di Treviso prima in forma privata presso la chiesa di San Giorgio e poi in pompa magna alla presenza del Conte di Torino, Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta, Comandante Generale dell'Arma di Cavalleria (quella di provenienza dell'eroe caduto), davanti a una folla immensa di civili e militari, l'elegia funebre sarebbe stata tenuta da Gabriele D'Annunzio (v. http://www.museobaracca.it/Il-Museo/Museo-Baracca/Primo-piano/Saletta-delle-Onoranze-Funebri).

Orazione funebre per Francesco Baracca tenuta da Gabriele D'Annunzio 
(foto di Raffaele Garinei, Museo Baracca di Lugo)

Le sue spoglie mortali, rimaste per un giorno nella cappella cimiteriale del sindaco di Quinto, sarebbero poi arrivate la sera del giorno dopo a Lugo, scortate da ali di folle in lacrime e tumulate definitivamente nel cimitero cittadino il 30, dopo che la cassa ebbe ricevuto l'omaggio della gente comune per tutto il 29 nella Sala del Patrio Consiglio della Rocca Estense.

Altra immagine del funerale, con lo stemma araldico del Cavallino rampante

Il famoso stemma di Francesco Baracca, il Cavallino rampante, tratto da quello del 2° Piemonte Cavalleria, suo reggimento d'origine, tuttora apposto sulle derive degli Eurofighter del 4° stormo dell'Aeronautica Militare di Grosseto (tra le cui squadriglie fondanti nel 1931 vi era anche la 91°), sarebbe stato donato in occasione di una corsa al Circuito del Savio nel 1923 dalla madre del pilota, la contessa Paolina Biancoli, ad un giovanissimo Enzo Ferrari, che come sappiamo tutti ne avrebbe fatto, su uno sfondo giallo canarino che è il colore della sua città natale di Modena, l'emblema della sua casa di corse.
Sarebbe anche stato usato dalle moto Ducati dal 1956/57 al 1960/61, all'epoca del progettista lughese Fabio Taglioni.

I SINISTRI PARALLELISMI CON LA MORTE DI MANFRED VON RICHTOFEN

Manfred von Richtofen

La morte di Baracca sinistramente ricorda molto quella dell'asso degli assi della prima guerra mondiale (con cui peraltro mai si scontrò), il capitano Manfred von Richtofen, autore riconosciuto di 81 vittorie, cui lo accomunava la provenienza dalle file della cavalleria (il 1° Ulani della Guardia "Kaiser Alexander"), comandante nemmeno 26enne della JagdStaffel (JaSta) 11, unità appartenente con le squadriglie 4, 6 e 10 al Jagdgeschwader 1, lo stormo d'élite della Luftstreitkrafte tedesca (soprannominato "Il Circo Volante" per i colori variopinti dei suoi aerei), e di cui facevano parte tra gli altri il fratello Lothar (40 vittorie accertate) il cugino Wolfram (8) ed un certo Hermann Goering (22).

"Il circo volante", fotogramma tratto dal film "Il Barone rosso" (1971)

Anche il famoso "Barone rosso", decollato la mattina del 21 aprile precedente dal campo di Cappy con altri 9 compagni (tra cui il cugino Wolfram), venne infatti ritrovato morto dietro le linee australiane a Vaux-sur-Somme riverso sulla cloche del suo triplano Fokker Dr. 1 atterrato integro, alcuni dicono già cadavere altri ormai agonizzante, abbattuto nella "terra di nessuno" molto probabilmente più dal sergente Cedric Popkin o dall'artigliere Robert Buie della contraerea australiana che dal Sopwith Camel di un pilota canadese, il capitano Arthur Roy Brown della 209° squadriglia della neo-costituita Royal Air Force, come si era ritenuto in un primo momento.


Brown per primo avrebbe sempre negato di essere stato lui, pur avendolo mitragliato mentre l'asso tedesco a bassissima quota era in coda al tenente canadese Wilfrid May, lanciatosi all'inseguimento proprio di suo cugino ma nel frattempo rimasto con la mitragliatrice inceppata.
Un caccia inglese avrebbe recapitato sulla base tedesca di Cappy il seguente messaggio: 

"AL CORPO D'AVIAZIONE TEDESCO. Il capitano barone Manfred von Richtofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari".

Sepolti in un primo momento nel villaggio francese di Bertangles, vicino ad Amiens, i suoi resti mortali sarebbero poi stati traslati nel 1919 nel Cimitero Militare tedesco di Fricourt, sulla Somme, per poi essere il 16 novembre 1925 solennemente trasbordati oltre Reno, accolti da una folla straboccante a Kehl, e da qui dopo un gigantesco funerale di Stato sepolti insieme con altri grandi eroi tedeschi nell'Invalidenfriedhof a Berlino.
Nel 1976, trovandosi a quel punto nel settore Est di Berlino, la famiglia d'origine, temendo che la sua tomba potesse essere lasciata cadere nell'incuria, chiese ed ottenne che le spoglie del Barone rosso venissero definitivamente sepolte presso la cappella di famiglia a Wiesbaden, presso sua madre e sua nonna, dove riposano tuttora.

Il funerale di Manfred von Richtofen

FONTI:






- Francesco Baracca, Indagine sulla morte di un eroe italiano, di Stefano Gambarotto e Renato Callegari, Editrice Storica, giugno 2013










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