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Diavolo che scrive al pc

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Tic tic tic tic tic tic

venerdì 14 febbraio 2014

Ti volevo bene, maledizione!


Il Pirata, così gli piaceva lo chiamassero, era stortignaccolo, bruttarello, aveva delle spalline quasi rachitiche, una testa calva,
delle orecchie come quelle di Dumbo...
Ma quando partiva, in salita, li staccava
tutti, come lo Zorro dei miei telefilm preferiti da bambino, quando a cavallo del suo destriero nero fuggiva dopo aver liberato gli innocenti dalla galera, inseguito vanamente dai militari del governatore...

Ma come Zorro ad un certo punto rallentava, con la sicura consapevolezza dei più forti, li aspettava un po', giocando al gatto col topo, e poi al primo tornante zac...Il primo scatto...E poi zac...Un altro scatto...E poi ancora zac...Un altro scatto ancora...Gli altri dietro si guardavano in faccia, straniti, increduli, abbagliati da quella folgore che si abbatteva davanti a loro e partiva, per non farsi vedere più.





E in quel momento il brutto anatroccolo si trasformava ancora, diventava un rapace che si lanciava in un volo planato lungo le discese che all'improvviso si appalesavano davanti ai suoi occhi, un'aquila tesa alla cattura della sua vittima, incassata tra quelle spallucce così improbabili che all'improvviso si trasformavano in ali maestose, mentre le sue gambe andavano giù a tutta imprimendo alla sua corsa un'accelerazione unica...
Gli altri arrancavano ancora sulla salita precedente e tu avevi già finito la discesa e puntavi ancora su, e più su, e più su ancora, mulinando rapporti che non avevano più dell'umano, salivi sulle pedivelle e scattavi...scattavi...scattavi...



Eri un grande, Marco Pantani, e non m'importa di quello che è accaduto dopo, in realtà tante cose sono accadute dopo, e nessuna di esse potrà mai togliermi quelle emozioni che solo tu sei stato capace di darmi.
Perché lo sappiamo tutti, tu eri il migliore. E lo saresti stato comunque.  
Eri stato fermato solo per l'ematocrito alto, a quel maledetto Giro del 1999 che ti avviavi a rivincere con la solita sicurezza di sempre, come dopo l'accoppiata Giro-Tour dell'anno prima: lo sappiamo tutti cosa significava, lo sapevano tutti anche allora, ma formalmente non c'era nulla di infamante, nulla di definitivo. Dovevi solamente fermarti, e poi ripartire dopo un turno di stop: come il gioco dell'oca, in fondo.
Un gioco dell'oca che in tanti assai meno talentuosi e forti di te, lo avremmo scoperto dopo ma in fondo già lo sapevamo bene, affrontavano senza problemi, in quel ciclismo malato di quegli anni...
Ma tu eri diverso, Pirata...Anche in questo ti distinguevi dagli altri.
Eri uno scricciolo indifeso in un mondo di squali, entrato in un gioco più grande di lui.



Che ne sapevamo, tutti quanti, che il Pirata da quel momento non sarebbe stato più lo stesso...Qualcosa si era rotto, nel delicato ingranaggio di quello spirito sensibile, un qualcosa che aveva finito per inquinarne l'equilibrio interiore, l'equilibrio di un ragazzo semplice di Romagna ormai diventato un'icona nazionale.
Nessuno saprà mai cosa sia successo veramente in quell'anonimo residence di Rimini, il 14 febbraio di dieci anni fa...
"Edema polmonare e cerebrale conseguente ad un'overdose di cocaina" recita il freddo rapporto dell'autopsia sulla sua morte.
Da quel momento per me non è solo morto il più forte scalatore della storia del ciclismo.
Da quel giorno per me è morto il ciclismo.



Lessi della tua morte sul pc dello studio. Rimasi scioccato per ore, senza profferire parola.
Non me lo dovevi fare, Pirata.
Amico mio.
Ti volevo bene, maledizione!







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