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Diavolo che scrive al pc

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giovedì 27 febbraio 2014

Ventiquattro anni fa, in Via Poma

Ieri sera la Corte di Cassazione ha finalmente detto la parola fine (per ora?) sull'assassinio di Simonetta Cesaroni, la ragazza uccisa in maniera orribile con 29 coltellate nel suo ufficio dell'Associazione Alberghi della Gioventù
a Roma, in Via Poma n.2, il 7 agosto del 1990.
Ventiquattro anni fa, cioè esattamente la metà di quanti ne abbia io oggi.
Dopo che altre due inchieste avevano accusato ingiustamente prima Pietrino Vanacore, portiere dello stabile dall'86 al '95, suicidatosi nel 2010 a causa delle sofferenze patite per quell'accusa, poi Federico Valle, nipote dell'architetto Cesare Valle che viveva nel palazzo.
Ora, finalmente, dopo ventiquattro anni anche Raniero Busco, all'epoca fidanzato della sfortunata ragazza, è stato definitivamente assolto da quest'orrida accusa.

Raniero Busco il giorno dei funerali di Simonetta Cesaroni


Io non so se Raniero Busco, difeso con successo dal noto penalista Franco Coppi,  sia o meno colpevole o innocente di quanto contestatogli, so però che uno Stato che persegue un suo cittadino a tanta distanza dai fatti, quando si è ormai rifatto una vita, quando si è sposato, ha avuto due bambini, ha intrapreso nuove vie professionali, esistenziali, ha vissuto nuove esperienze, nuove passioni, nuovi problemi, non è uno Stato giusto.
E non lo è per il fatto stesso che quand'anche l'imputato fosse colpevole, e tale non è stato ritenuto, la sentenza a tanti anni di distanza, soprattutto se colma di tanti se..., ma..., di tante supposizioni, teoremi, indizi più o meno solidi ma spesso comunque labili, discutibili, controversi, non potrebbe mai essere accettata da un consesso civile.
Le sentenze di colpevolezza, a così tanti anni di distanza, devono essere ancor più rigorose, ineccepibili, inequivocabili, basate su dati di fatto certi, indiscutibili, senza alcuna falla, perché sennò sono comunque sempre un'ingiustizia, in uno Stato di diritto.
Ma a tanti anni di distanza, mi dispiace, è quasi impossibile che ciò possa accadere, a maggior ragione in un sistema giudiziario come quello italiano, fatto apposta per favorire i personalismi, le macchinosità procedurali, l'irresponsabilità diffusa, insomma l'inefficienza, lo spreco di risorse, le inchieste a tesi, spesso viziate dal pregiudizio, sociale, ideologico, politico.

La prescrizione per il decorso del tempo non serve a rendere impunibili i reati, tant'è vero che per certe categorie specifiche di delitti, come in questo caso, nell'omicidio volontario, o ad esempio nei delitti contro l'umanità, in cui prevalente è un'esigenza di assoluta giustizia, a titolo quasi esemplare (il che non sarebbe bellissimo, se vogliamo, ma passiamo avanti), non è prevista, ma di norma è posta assolutamente a garanzia del singolo cittadino contro proprio le prevaricazioni dello Stato, che dispone di soldi, mezzi, apparati incommensurabilmente superiori a quelli di qualsiasi cittadino, foss'anche il più ricco, potente, capace: soldi, mezzi ed apparati che se messi al servizio di una tesi accusatoria ingiusta sarebbero un vero abominio del diritto, uno scempio della libertà che spetta ad ognuno di noi, oltre che un incredibile spreco di tempo, soldi ed energie ben diversamente utilizzabili altrimenti.
Ecco perché si preferisce addirittura che sia in libertà un colpevole, decorso un certo numero di anni, variabile ovviamente a seconda dell'entità del reato, piuttosto che correre il rischio di andare a condannare un innocente, sconvolgendo la vita sua e dei suoi familiari.
Anche perché, trascorso un certo numero di anni, l'interesse dello Stato soprattutto per il reato singolo, frutto di una circostanza particolare, contingente, presumibilmente irripetibile come è stata con ogni probabilità quella che ha portato al tragico assassinio della giovane Simonetta, chiaramente diminuisce, perché l'opinione pubblica viene poi attratta da altre questioni, perché i familiari della vittima finiscono prima o poi per farsene una ragione, perché le persone cambiano, si fanno una nuova vita, c'è chi muore, chi si trasferisce, chi ha dei figli, dei nipoti...
E' un principio di altissima civiltà quello che detta la prescrizione: quello secondo il quale ad un certo punto lo Stato non ha più il diritto di punire, semplicemente perché il tempo frappone una distanza non solo cronologica ma anche tecnica e psicologica tra il fatto e la sua punibilità: a quel punto non è più lo Stato che deve punire, ma Dio, per chi crede, o la propria coscienza, per chi ha una visione più laica della vita.
Che ci sia o meno la prescrizione, insomma, il decorso del tempo dovrebbe portare ad un severo esame dei motivi che indurrebbero a riaprire le inchieste, per impedire che si possa imbastire dei processi che possano rivelarsi solo un'ennesima occasione per fare spettacolo, a spese di chi suo malgrado, in veste di vittima, di danneggiato o di accusato, sia protagonista vivo della vicenda.

Eppure in Italia si perseguono le persone anche a distanza di tanti anni, nonostante più sentenze intervenute sul medesimo fatto, sulla base di presunte nuove acquisizioni probatorie dovute per esempio, come in questo caso, all'utilizzo del DNA, all'epoca dei fatti un tipo d'indagine ancora allo stato embrionale: in particolare si è proceduto perché sul reggiseno della vittima si sono rinvenute tracce della saliva di Busco!
Ma vah...! Che strano...
A parte il fatto che vuoi o non vuoi dopo tanti anni quel reggiseno non sarà stato comunque esattamente lo stesso che era all'inizio, ci si è mica posti la semplice domanda se questo potesse essere perché l'uomo era allora il fidanzato della ragazza?
Fatto sta che oggi, a distanza di ventiquattro anni, Rainero Busco, condannato in primo grado a 24 anni di reclusione (il numero 24 ricorre con tristissima periodicità in questa storia), poi assolto in appello "per non aver commesso il fatto", è stato definitivamente assolto dalla Cassazione, che  ha finalmente posto fine a questa vicenda kafkiana confermando senza rinvio il verdetto d'appello, nonostante il ricorso fatto a suo tempo dalla Procura Generale.

E' un'anomalia tutta italiana che si possa continuare a processare lo stesso una persona anche se assolta dal giudice di merito, nei tanto citati Stati Uniti di America non accade per dire (ne parlerò, prima o poi, a proposito del principio costituzionale di non colpevolezza dell'imputato: badate bene il termine usato, NON COLPEVOLEZZA, non innocenza).
E' un'anomalia che allo Stato non costa niente (si fa per dire perché costa ai contribuenti, ma tant'è...), non comporta nei confronti dei magistrati alcuna responsabilità se tutto finisce in una bolla di sapone, dà però spesso, come in questo caso, una visibilità senza pari e la cosa certo non dispiace né agli inquirenti né ai media, ma nei confronti dei parenti delle vittime non fa altro che rinfocolare rancori e alimentare speranze, spesso mal riposte, tutte però ai danni di soggetti che magari già hanno sofferto per quelle vicende, e che ora si vedono risbattuti in prima pagina, loro e soprattutto le loro famiglie, a distanza di tanto tempo, con tutti i dolori, i disagi, le difficoltà che questo comporta: denaro da spendere in avvocati, stress fortissimo, problemi con il coniuge e coi figli, sul lavoro, l'allontanamento degli amici, il ritorno di vecchi e nuovi fantasmi che si credevano finalmente lontani...
E, ed è inutile che stiamo a raccontarla diversamente, il permanere che si vede negli occhi delle persone che si incontreranno per tutta la vita, anche se l'innocenza sia proclamata con tutti i crismi, della stessa, immancabile, maledetta domanda: "Ho di fronte un assassino o no?"

Ecco perché non è una vittoria della Giustizia, questa sanzionata dal verdetto della Cassazione, assolutamente no: l'assassinio di Simonetta Cesaroni resterà molto probabilmente impunito.
Se è stato Busco se la dovrà vedere con la sua coscienza, ma non sarà certo più la nostra giustizia a doverlo stabilire.
Il mio pensiero, più che a lui, va a sua moglie Roberta Milletari e ai suoi figli, costretti a subire, loro sì sicuramente innocenti, un processo tritacarne come pochi nella nostra storia recente: ci vuole una rara forza d'animo, per resistere a tutto questo.

Raniero Busco oggi, con la moglie, al momento dell'assoluzione


Simonetta non può dire più nulla ormai: lì dov'è ora, per fortuna, almeno questo, a certe miserie umane non si pensa più.
Qualunque fosse stato il verdetto di oggi, la Giustizia avrebbe perso comunque.

Fonte:http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2014/02/26/Via-Poma-oggi-sentenza-24-anni-delitto_10145852.html



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