Charles David Cobb, The Battle of Cape Matapan, 29 March 1941, olio su tavola 49 x 80 cm (National Museum of the Royal Navy, Portsmouth) |
"Chi è quell'uomo che può tenere in pugno il suo Destino?"
(Otello, William Shakespeare)
1. Il bombardamento navale di Genova.
Erano passati appena pochi giorni dall'umiliante bombardamento del porto di Genova del 9 febbraio 1941 (denominato in codice Operazione Grog) compiuto da parte di un'agguerrita forza navale inglese, la FORZA H della Royal Navy basata a Gibilterra agli ordini dell'Ammiraglio Sir James Fawnes Somerville.
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La Principessa Maria Josè in divisa da crocerossina in visita ai quartieri di Genova bombardati dalla squadra navale britannica una settimana prima |
L'intento originario britannico, con quest'azione, di per sé di limitata portata militare, era probabilmente quello di dimostrare alla marina italiana, già colpita a Taranto e subito dopo bombardata anche a Napoli, l'8 gennaio 1941, dove era stata trasferita la nostra flotta da battaglia, che nessun porto sarebbe mai stato sicuro per le nostre corazzate, nemmeno in Alto Tirreno: dalle loro informazioni infatti risultava in un primo momento che la Giulio Cesare, lievemente danneggiata da alcune schegge nell'attacco al porto di Napoli, che aveva causato anche cinque morti e venti feriti a bordo, la Caio Duilio e la Littorio fossero presenti tutte e tre in bacino a Genova per lavori, e solo successivamente erano venuti a sapere che in effetti solo la Caio Duilio era nell'area portuale, in riparazione dopo i danni subiti a Taranto, mentre le altre due erano a La Spezia.
Ma ormai l'idea di una incursione su Genova era stata lanciata e il progetto venne così tradotto in atto.
La portaerei Ark Royal fotografata da bordo della corazzata Malaya in avvicinamento al porto di Genova l'8 febbraio 1941 |
La squadra britannica era stata quindi costretta per questo motivo a ritornare a Gibilterra, anche per procedere alle necessarie riparazioni di alcuni caccia di scorta rimasti danneggiati a causa del fortunale, essendole impossibile in quelle condizioni di tempo continuare l'azione come programmato su Genova, salvo successivamente ripartire il 6 febbraio fingendo di voler andare verso ponente per uscire dal Mediterraneo per poi invece di notte virare di bordo allo scopo di ingannare gli agenti italiani presenti ad Algesiras e dirigersi verso N/E, dopo essersi lasciata sulla dritta Capo Corso.
La Forza H aveva proseguito così pressoché indisturbata seguendo parallelamente la linea della costa, tanto da transitare a sorpresa alle 7,19 del 9 febbraio, una domenica, a S/E del promontorio di Portofino.
Solo a quel punto la ricognizione italiana, già in allerta dal giorno prima, aveva segnalato la sua presenza, ma era ormai troppo tardi.
Un uragano di fuoco, pari a un totale di circa 300 tonnellate di bombe, si era abbattuto contro le infrastrutture portuali ma anche purtroppo contro le case, le chiese, le abitazioni del centro storico, tanto che un proiettile da 381 della Malaya era penetrato persino dentro la Cattedrale di San Lorenzo, per fortuna senza esplodere.
HMS Renown, HMS Ark Royal e HMS Sheffield della Forza H di Gibilterra in navigazione nell'aprile 1941 |
Contemporaneamente quattordici Swordfish appartenenti agli Squadron 810 e 820 della Fleet Air Arm decollati dalla portaerei Ark Royal bombardavano anche le infrastrutture portuali di La Spezia, Pisa e Livorno, con bombe e soprattutto mine magnetiche, sganciate in rada allo scopo di impedire alle navi da guerra italiane di utilizzare quei porti, al prezzo di uno solo di essi abbattuto sui cieli di Tirrenia.
La mappatura precisa dei punti di caduta dei proiettili della FORZA H sulle strutture portuali di Genova |
In realtà Supermarina era già sul chi va là dopo i violenti bombardamenti cui era stato sottoposto il porto di Napoli e non era stata quindi colta di sorpresa da quell'azione: le mosse inglesi erano state subito notate dagli Alti Comandi, che quindi si aspettavano effettivamente nell'immediato un attacco a fondo nel Tirreno, tant'è vero che più volte su Genova e La Spezia erano risuonati gli allarmi in quei giorni.
Erano state pertanto allertate ben due formazioni navali italiane, una salpata da Messina sin dal giorno 7 alle 7,00 del mattino, con gli incrociatori pesanti della 3° Divisione, Trieste, Trento e Bolzano, al comando dell'Ammiraglio Luigi Sansonetti, con la scorta dell'XI Squadriglia caccia (Corazziere, Camicia Nera, Carabiniere); l'altra, la 5° Divisione navi da battaglia al comando dell'Ammiraglio Angelo Iachino, quella principale, partita da La Spezia non appena avute le prime notizie sull'avvicinamento alle coste italiane delle navi britanniche, composta dalle corazzate Andrea Doria, Giulio Cesare e Vittorio Veneto, col supporto dei sette caccia della X (Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco) e della XIII Squadriglia (Granatiere, Fuciliere, Alpino).
Le navi da battaglia Giulio Cesare (da bordo della quale è scattata questa foto) e Vittorio Veneto in navigazione in linea di fila con mare agitato |
La convinzione dei nostri comandi era però che l'azione inglese dovesse svolgersi proprio ancora contro la diga del fiume Tirso, visto il primo attacco fallito, o in subordine consistesse in un lancio di aerei dalla Ark Royal a favore dell'isola di Malta.
L'opzione di un attacco diretto a Genova, che era già finita il 14 giugno 1940 sotto tiro di una formazione navale francese guidata dall'ammiraglio Emil André Henry Duplat, era stata solo timidamente ventilata come una sorta di ipotesi scolastica, ma scartata sin da subito per due motivi: da un lato la presenza della luna piena e dall'altro la supposta posizione delle unità inglesi a sud delle Baleari, una valutazione errata che però in realtà venne indotta da uno stratagemma di Somerville che aveva fatto muovere i due caccia Jupiter e Firedrake e ordinato di far volare qualche Swordfish su quelle acque con l'ordine di intasare l'etere di radiomessaggi, così da indurre gli Italiani a pensare alla presenza lì della portaerei e del resto della flotta, troppo distante quindi dalle coste genovesi per costituire un pericolo effettivo.
Le due forti divisioni navali italiane, quindi, si diressero una dalla Liguria e l'altra dalla Sicilia tutte e due verso la Sardegna, con punto di riunione fissato nel Golfo dell'Asinara, a 50 miglia da Capo Testa, di fatto su una rotta che finiva per porsi più o meno parallelamente o quasi a quella della squadra britannica, e in una direzione quasi opposta a quella della Forza H, senza che fosse possibile intercettarla in tempo utile.
Le due flotte nemiche sarebbero praticamente giunte sino a sfiorarsi, alle 3 di notte del 9 febbraio, transitando entrambe ad una trentina di chilometri l'una dall'altra a N/O di Calvi, in Corsica, senza accorgersene, nonostante proprio in quei momenti venisse intercettato un forte traffico radiotelegrafico da parte inglese, che però non fu possibile radiogoniometrare.
Fu per tutti questi motivi insieme quindi, per le diverse rotte seguite dalle flotte contrapposte, per l'inefficacia della ricognizione aerea italiana, focalizzata ormai sulle sole acque delle Baleari, per la sfortuna, per i soliti difetti nelle comunicazioni tra i comandi, che avrebbero portato anche in seguito a indicazioni errate che non consentirono di intercettare il nemico neppure quando ormai sembrava finalmente a portata di tiro, che non vi fu alcun contatto balistico col nemico.
Che poté così agire pressoché indisturbato.
Infatti le artiglierie della 201° divisione costiera dell'esercito, i treni armati alle dirette dipendenze della locale DI.C.A.T. (la Milizia per la Difesa Contro Aerea Territoriale) ed i pontoni armati della marina spararono, ma poco e male: 14 colpi da 152/50 li esplose la Batteria Mameli di Pegli,
L'enorme telemetro della Batteria Mameli |
Casamatta della batteria Mameli a Pegli, oggi. |
Le due squadre navali italiane infatti, ormai ricongiuntesi sul previsto luogo dell'incontro al largo dell'Asinara, solo alle 9,50 erano state avvisate del bombardamento in corso sulla gloriosa capitale ligure, nonostante il messaggio risalisse ad un'ora prima e avesse richiesto tutto quel tempo solo per essere decrittato e successivamente ritrasmesso a Iachino e mentre tutto questo avveniva e i piccoli idroricognitori IMAM RO.43 nel frattempo lanciati dagli incrociatori avevano focalizzato la loro ricerca, senza rilevare ovviamente nulla, sull'ovest della Sardegna più o meno contemporaneamente giungevano anche confuse informazioni circa l'attacco in corso anche su La Spezia, Pisa e Livorno, condotto da velivoli imbarcati su una portaerei sbucati all'improvviso dal nulla!!!
Inutile sarebbe stata l'immediata conversione delle due formazioni italiane in direzione nord per puntare a tutta velocità sulla zona presunta in cui si pensava di intercettare la Forza H: in quell'ora di tempo quest'ultima aveva guadagnato quelle trenta miglia di vantaggio che non avrebbe perso mai più, tanto più che a complicare le cose oltre che le condizioni del tempo assai variabili si sarebbero aggiunti un messaggio errato di Supermarina che avrebbe indotto Iachino a mutare direzione di 30° verso l'Italia, rispetto all'originaria rotta di 330° che avrebbe invece portato le corazzate italiane dritte dritte contro il nemico intorno alle 15,00, nonché una flottiglia di pacifici piroscafi francesi non segnalata ed avvistata nei dintorni di Minorca, che per qualche minuto creò confusione sia nell'una che nell'altra formazione, indecise sulla natura ostile o meno dei nuovi venuti.
L'ultima possibilità di uno scontro tra le due forze contrapposte sarebbe svanita alle 14,30, quando ancora una volta si sarebbero trovate a circa 30 miglia di distanza l'una dall'altra, quella inglese su rotta O/S/E, quella italiana diretta a N/N/E dove pensava si trovasse l'avversario: ma anche in quel caso gli uni non si accorsero degli altri.
Un CANT. Z 506 B Airone della 287° Squadriglia |
L'equipaggio del primo aereo abbattuto, il n.7 della squadriglia, sarebbe stato ripescato incolume dalla RN Giuseppe La Masa,
RN Giuseppe La Masa |
Bombardiere FIAT B.R. 20 M Cicogna della 242° Squadriglia del 47° Stormo BT basata a Cameri (NO) |
Il prestigio della Regia Marina era uscito molto scosso da questo smacco.
I danni agli stabilimenti industriali in realtà erano stati contenuti, anche se c'erano pur sempre 254 edifici distrutti o gravemente lesionati, tra cui l'Archivio di Stato, la Chiesa della Maddalena, l'Accademia Ligustica, Piazza Colombo, ma soprattutto vi furono 144 morti (tra cui ben 17 donne ricoverate all'Ospedale Duchessa di Galliera)
I danni agli stabilimenti industriali in realtà erano stati contenuti, anche se c'erano pur sempre 254 edifici distrutti o gravemente lesionati, tra cui l'Archivio di Stato, la Chiesa della Maddalena, l'Accademia Ligustica, Piazza Colombo, ma soprattutto vi furono 144 morti (tra cui ben 17 donne ricoverate all'Ospedale Duchessa di Galliera)
Una delle 144 vittime |
La RN Garaventa |
Al di là di questo, però, vi fu la pesante conseguenza politica che il Generalissimo Francisco Franco, dittatore della Spagna, impressionato dalla dimostrazione di forza inglese e dalla contestuale prova d'inefficienza data dall'Italia, incapace di difendere persino le proprie coste, incontratosi con Mussolini a Bordighera solo tre giorni dopo rifiutò di entrare in guerra a fianco dell'Asse italo-tedesco: un'eventualità che la Gran Bretagna vedeva come il fumo negli occhi, perché significava la pressoché sicura perdita di Gibilterra e la trasformazione di fatto del Mediterraneo in uno specchio d'acqua interno dell'Italia, con la possibilità tra l'altro di utilizzare le Baleari come rampa di lancio per i bombardieri da scagliare contro le forze inglesi in Africa.
Probabilmente alla fine era proprio questo lo scopo dell'azione britannica, più simbolico e dimostrativo che militare in senso stretto: mostrare al Caudillo che stava andandosi ad alleare con uno che, al di là delle sue dichiarazioni baldanzose di facciata, non era capace nemmeno di difendere il cortile di casa sua...
L'incontro di Bordighera tra Benito Mussolini, Duce d'Italia, e Francisco Franco, il Caudillo di Spagna |
Era in quel clima intossicato dall'amarezza e dalla delusione per quella che era stata fino a quel momento solo l'ultima di una serie di figuracce delle nostre forze armate che si tenne a Merano una conferenza tra i capi della Regia Marina, il neo nominato Arturo Riccardi, ed il parigrado tedesco Albert Raeder della Kriegsmarine, ideatore della vittoriosa campagna di Norvegia e fermo sostenitore dell'arma subacquea, coi rispettivi Stati maggiori.
Amm. Arturo Riccardi (Pavia, 30/10/1878- Roma, 20/12/1966) |
Arturo Riccardi era appena subentrato al posto del dimissionario Domenico Cavagnari, travolto dalle polemiche succedute allo smacco dell' Operazione Judgement, cioè (Il giorno del) Giudizio, che aveva portato alla drammatica notte di Taranto di qualche mese prima, quando un pugno di vecchi e scalcinati aerosiluranti Swordfish, sempre loro, lanciati stavolta dalla portaerei Illustrious,
HMS Illustrious Prima di quella classe, nuovissima, stazzava 19000 tonnellate e poteva imbarcare allora 36 aerei tra caccia Fulmar e bombardieri-siluranti Swordfish |
Aerosilurante Fairey Swordfish della Royal Navy, col siluro Mk XII di 457 mm pesante 760 kg sotto la carlinga
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avevano violato l'(apparentemente) munitissima base di Taranto nella notte tra l'11 ed il 12 novembre del 1940, colpendo seriamente in tre ondate successive tra le 23,00 e le 0,30 metà della flotta da battaglia italiana, cioè le tre corazzate Littorio, Caio Duilio e Conte di Cavour, quest'ultima in modo talmente grave da non poter riprendere più il mare per tutta la durata della guerra, oltre all'incrociatore Trento, ai due cacciatorpediniere Libeccio e Pessagno, centrati da siluri per fortuna non esplosi, e causando altri pesanti danni a depositi di carburante, infrastrutture terrestri, mezzi navali ed aerei in rada, con un bilancio complessivo ufficiale di 58 morti (32 solo a bordo della Littorio, 17 sulla Cavour e 3 sul Caio Duilio) e 581 feriti, mentre da parte inglese si contarono due aerei abbattuti (uno dalla Cavour).
RN Caio Duilio Corazzata di 29000 tonnellate, gemella dell'Andrea Doria entrata in servizio il 10 maggio 1915, venne totalmente ricostruita nel 1937 e ritornò in prima linea il 15 luglio 1940 |
Amm. Domenico Cavagnari
(Genova, 20/7/1876- Roma, 2/11/1966)
qui ritratto alla sinistra di Mussolini a bordo della nave da battaglia Cavour, durante la rivista navale di Napoli del 5 maggio 1938. |
Amm. Erich Johann Albert Raeder (Wandsbeck, Amburgo, 24/4 /1876-Kiel, 6/11/1960) |
E infatti l'Ammiraglio Raeder non nascose affatto l'irritazione di Adolf Hitler, che pure era rimasto a suo tempo notevolmente impressionato dalla prova di efficienza data dalla Regia Marina nella Rivista navale H di Napoli del 5 maggio 1938, cui aveva personalmente assistito per invito del Duce e del Re Imperatore, per la condotta conservativa delle operazioni navali italiane.
Non era possibile che una flotta potente come quella italiana avesse un atteggiamento così remissivo nei confronti della marina di Sua Maestà britannica, era il loro appunto, ai limiti dell'oltraggiosa accusa di fellonia...
Molto colpito da quest'accusa, Riccardi incaricò Supermarina, il Comando Superiore della Regia Marina istituito il 1° giugno 1940 con sede a Roma, di pianificare un'azione offensiva in grande stile nell'Egeo, per dimostrare all'alleato che era nel torto e ridare lustro alla Regia Marina e di conseguenza alle forze armate italiane nel loro complesso.
Si decise a questo punto un'operazione di forza nelle acque di Creta e allo scopo venne approntata una forte squadra da battaglia, capitanata dall'Ammiraglio di squadra Angelo Iachino, che a sua volta aveva sostituito il pari grado Inigo Campioni, rimosso dagli incarichi operativi perché caduto in disgrazia per il poco spirito combattivo dimostrato in due occasioni, prima e dopo lo smacco di Taranto (in verità per colpe non sue o comunque non completamente sue, viste le direttive estremamente vincolanti e certo non particolarmente permeate di spirito offensivo -eufemismo- dettate da Supermarina sulle regole d'ingaggio da seguirsi in caso di confronto diretto con le navi nemiche).
RN Cavour Anch'essa come la coeva Giulio Cesare venne ricostruita nel '37 con le medesime caratteristiche. |
Eppure alla fine gli esiti di tale scontro, potenzialmente quasi decisivo, furono assai modesti: nonostante i molti colpi sparati, infatti, alla fine la Royal Navy ebbe solo due caccia lievemente danneggiati, l'Hereward e il Decoy, così come l'incrociatore leggero Neptune, mentre da parte italiana vennero colpiti senza particolari conseguenze l'incrociatore pesante Bolzano, con però tre vittime a bordo, e la corazzata Giulio Cesare, ammiraglia di Campioni.
RN Bolzano Era un incrociatore pesante di 14000 tonnellate classe Trento, armato di 8 pezzi da 203/50 in 4 torri binate e di 16 da 100/47 in 8 torri binate. |
Il danno in sé non era grave, ma aveva causato il blocco temporaneo di quattro caldaie ed il momentaneo rallentamento della velocità della nave colpita, con la morte purtroppo di una settantina di marinai, dilaniati dall'esplosione o ustionati dai successivi incendi, costringendola così a sfilare protetta dai suoi incrociatori.
Campioni ritenne quindi troppo rischioso lasciare a combattere la sola Cavour contro la Warspite e la Malaya, cui si stava aggiungendo la vecchia e gloriosa Royal Sovereign, rimasta fino a quel momento attardata per la sua velocità inferiore: una nave, quest'ultima, che avrebbe terminato la sua carriera operativa addirittura in prestito nella marina sovietica col nome di Archangel'sk, per essere poi restituita al mittente e definitivamente sostituita, quando si dice l'ironia del Destino, proprio dalla Giulio Cesare, requisita all'Italia in conto risarcimento danni di guerra e rinominata Novorossijsk!
Lo scontro era quindi terminato in assoluta parità, ma sostanzialmente certificava una qual certa soggezione della marina militare italiana rispetto a quella britannica, anche se di fatto il confronto era stato condotto bene da entrambe le parti in egual misura.
L'incrociatore Zara durante la battaglia di Punta Stilo |
La Cavour apre il fuoco coi suoi 320 |
Ma era stato soprattutto l'inconcludente scontro di Capo Teulada del 27 novembre 1940 a decidere in negativo la carriera di Inigo Campioni, quando le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, con la scorta dei caccia della VII (Freccia, Saetta, Dardo) e della XII squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) , che componevano la I Squadra navale con a capo appunto Campioni, allora Sottocapo di Stato Maggiore, e i nostri incrociatori pesanti della 1° (Gorizia, Fiume e Pola, lo Zara non c'era per lavori in bacino) e della 3° divisione (Trento, Trieste e Bolzano), facenti parte della II Squadra navale con a capo l'Ammiraglio Angelo Iachino, insieme coi loro caccia rispettivamente della IX (Alfieri, Oriani, Carducci e Gioberti) e della XII squadriglia (Lanciere, Ascari, Carabiniere), avevano avvistato alle 12,07 una forte formazione inglese appartenente ancora una volta alla Forza H di Gibilterra che faceva da scorta ad un convoglio diretto a Malta, guidata dalla porterei Ark Royal, dalla vecchia corazzata Ramillies, gemella della Royal Sovereign,
HMS Ramillies |
Gli incrociatori italiani di Iachino, avvantaggiati dalla loro velocità, si lanciarono in avanti contro quelli avversari, decisamente meno prestanti, approfittando della lentezza delle navi da battaglia inglesi, restate più attardate, giungendo ben presto entro il raggio d'azione dei loro 203: alle 12,22 gli incrociatori della 1° divisione, per ordine dell'ammiraglio Pellegrino Matteucci, a bordo del Fiume,
L'Amm. Pellegrino Matteucci dirige il fuoco dei suoi incrociatori a Capo Teulada |
Lo scambio balistico, intensissimo, tra le due formazioni non avrebbe portato però in realtà ad alcun vero e proprio risultato significativo se non al danneggiamento dell'HMS Berwick, colpito da due colpi da 203 forse del Bolzano che ne misero prima fuori uso una torre, con sette caduti, e in un secondo momento il quadrato ufficiali, questa volta senza alcuna vittima,
ed a quello del caccia italiano Lanciere, colpito e quasi immobilizzato, senza perdite umane, da tre colpi in rapida successione da 152 dell'incrociatore Southampton, che lo costrinsero ad essere rimorchiato dal gemello Ascari,
L'Ascari e il Lanciere (in secondo piano) dopo lo scontro di Capo Teulada |
e terminò quando Campioni, che sin dall'inizio cercava di mettersi invano in contatto con i suoi incrociatori e con Supermarina per cercare di capire se cercare o evitare lo scontro, nonostante il piglio aggressivo di Iachino (in cerca di riscatto a pochi giorni dai fatti di Taranto), memore dell'ordine preciso ricevuto da Supermarina a Napoli di dar battaglia solo in caso di condizioni particolarmente favorevoli, dopo varie indecisioni decise comunque di disimpegnarsi dopo 52 minuti di battaglia per non perdere le sue corazzate, le uniche disponibili al momento, ad un certo punto trovatesi scoperte di fronte all'attacco coordinato delle corazzate e degli incrociatori britannici, e sotto la minaccia degli aerei dell'Ark Royal, confortato nella decisione dal parere invero un po' contraddittorio di Supermarina.
A sua volta l'ammiraglio Somerville, che guidava anche qui la squadra britannica, spaventato dal potente intervento della Vittorio Veneto, fino a quel momento rimasta ai margini, 19 colpi in sette salve nella fase finale dello scontro tirati con estrema efficacia dalla distanza enorme di ben 29000 metri (!),
fu ben lieto di cambiare la rotta per salvare i suoi incrociatori.
Nessun risultato utile avrebbero avuto il successivo intervento in ritardo e comunque fallimentare di tutti i velivoli dell'aeronautica presenti in Sardegna (i 28 caccia biplani FIAT CR 32 del 3° Gruppo, i bombardieri siluranti SM 79 dei Gruppi 27°, 28° e 38°, gli idrovolanti Cant. Z 506 da ricognizione e bombardamento dei Gruppi 93° e 94°, nonché gli idroricognitori IMAM RO.37 della 124° Squadriglia autonoma da osservazione aerea),
nonché gli sparuti e inefficaci attacchi di altre unità minori della Regia Marina basate in Sicilia (salparono dalle basi di Trapani, Augusta e Mazara del Vallo ben undici motovedette MAS e quattro torpediniere, la Sirio, la Vega, la Sagittario e la Calliope -sulla quale v. qui- ma solo quest'ultima riuscì ad arrivare a tiro senza avarie e senza ritirarsi appena avvistata la formazione nemica ed a lanciare sia pure da lontano due siluri, senza esito positivo).
Infine, anche gli attacchi dei due sottomarini italiani presenti in zona (il Dessiè e il Tembien, che lanciarono in diversi momenti sette siluri, senza raggiungere alcun bersaglio), non avrebbero avuto alcun risultato utile, così il convoglio britannico poté arrivare a destinazione senza problemi attraverso il Canale di Sicilia, giungendo a La Valletta sano e salvo il 29 e il 30 novembre.
Infine, anche gli attacchi dei due sottomarini italiani presenti in zona (il Dessiè e il Tembien, che lanciarono in diversi momenti sette siluri, senza raggiungere alcun bersaglio), non avrebbero avuto alcun risultato utile, così il convoglio britannico poté arrivare a destinazione senza problemi attraverso il Canale di Sicilia, giungendo a La Valletta sano e salvo il 29 e il 30 novembre.
Regio Smg DessièSottomarino costiero classe 600 della serie Adua (la serie "africana"), il Dessiè dopo 26 missioni di guerra sarebbe affondato il 28 novembre 1942 con tutto l'equipaggio (48 uomini, tra cui 4 ufficiali e il comandante, tenente di vascello Alberto Gorini) per mano dei due caccia canadesi HMCS Quiberon e Quentin al largo di Annaba, in Algeria, a coronamento di una lunga caccia terminata col lancio di bombe di profondità dopo che degli aerei alleati avevano segnalato loro la sua presenza in quelle acque. L'ultima comunicazione con la sua base fu effettuata alle 19.12 del 27 novembre 1942: la sua fine si sarebbe conosciuta solo dopo la fine della guerra. |
Regio Smg Tembien
(qui mimetizzato e con la torretta modificata, ripreso nel 1941)
Sottomarino costiero della stessa classe del precedente, sarebbe affondato con tutto l'equipaggio solo pochi mesi dopo l'azione di Capo Teulada, l'1 agosto 1941, speronato nelle prime ore del mattino dall'incrociatore britannico HMS Hermione, rimasto leggermente danneggiato, mentre cercava a sua volta di silurarlo, in agguato con altri compagni a ponente di Malta.
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Si trattava in tutta evidenza, in relazione alle unità impiegate ed alla quantità di colpi sparate nel pur furioso scontro (692 solo da parte italiana), di un risultato impalpabile, e ne furono insoddisfatti persino gli stessi Inglesi, tanto che lo stesso James Somerville sarebbe finito sotto inchiesta, e pur uscendone bene ne avrebbe avuta in parte compromessa la carriera, come dall'altra parte i suoi avversari sul mare Cavagnari e Campioni.
L'incrociatore Bolzano apre il fuoco a Capo Teulada coi suoi 203 |
L'incrociatore Trento inquadrato dalle salve inglesi |
La portaerei inglese Ark Royal sotto l'inefficace bombardamento aereo italiano |
Una salva nemica sfiora da molto vicino l'incrociatore Trieste |
Per la cronaca l'Ammiraglio Campioni, all'epoca Governatore dell'Egeo, dopo aver rifiutato di richiedere la Grazia sarebbe poi stato fucilato il 22 maggio del 1944 insieme col Contrammiraglio Luigi Mascherpa nel poligono di tiro di Parma dopo la loro condanna per Alto Tradimento decretata dal Tribunale Speciale di quella città, a causa della fiera resistenza armata ai Tedeschi opposta dopo l'8 settembre 1943 dalla guarnigione italiana della base navale di Lero, il 10° Rgt. della divisione di fanteria "Regina", al cui comando era posto proprio Mascherpa alle dipendenze dirette di Campioni (v. QUI e QUI), anche se in particolare quest'ultimo ebbe la colpa di non aver voluto continuare la guerra a fianco dei Tedeschi e di non aver aderito alla nuova R.S.I.
Amm. Inigo Campioni
Medaglia d'oro alla memoria
(Viareggio, 14/11/1878-Parma, 22/5/1944) |
Contramm. Luigi Mascherpa Medaglia d'oro alla memoria (Genova, 15/4/1893- Parma, 22/5/1944) |
Amm. Angelo Iachino
(Sanremo, 4/4/1989- Roma, 3/12/1976)
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4. Il piano di battaglia italiano viene svelato a Iachino.
L'Amm. Iachino, convocato a Roma la mattina del 15 marzo, partì in treno da La Spezia quella sera stessa e venne ricevuto a Palazzo Marina la mattina seguente sia da Riccardi che dallo stesso Campioni, divenuto Sottocapo di Stato Maggiore, che per la prima volta lo misero al corrente del piano di Supermarina nelle sue linee generali.
Esso prevedeva sostanzialmente l'uscita in mare di una imponente flotta distinta in due formazioni, con l'obiettivo di compiere delle rapide puntate offensive nell'Egeo su due distinte direttrici d'attacco, contro dei convogli britannici segnalati dai servizi e destinati alle truppe alleate sbarcate in Grecia:
1) da una parte la squadra composta dalla modernissima ammiraglia della flotta italiana, la supercorazzata Vittorio Veneto, classe Littorio, impostata nel '34, varata nel '37, operativa da nemmeno un anno eppure già miracolosamente scampata all'attacco britannico su Taranto, un mostro lungo 238 metri e largo 33, con una corazzatura di 207 mm in orizzontale, 350 in verticale e attorno alle artiglierie, di 260 attorno alla torre di comando, una nave con 1900 uomini di equipaggio, di oltre 45000 tonnellate di stazza, velocissima (poteva sfiorare i 32 nodi), armata con nove cannoni Ansaldo mod. 34 da 381/50 su tre torri trinate come armamento principale (in assoluto le più potenti armi balistiche sviluppate dall'industria italiana nella storia, con proietti del peso di 885 kg quelli perforanti, di 825 gli esplosivi, con prestazioni assolutamente paragonabili a quelle dei coevi 406 americani e 460 giapponesi)
e dodici da 152/55 su sei binate come armamento secondario, in quel momento con la tedesca Bismarck probabilmente la nave più potente del mondo, partita da Napoli alle 21,00 del 26 marzo, con la scorta della XIII squadriglia caccia (tutti della classe Soldati, cioè Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), che aveva preso il largo alle 5,30 del 27 da Messina insieme con la 3° divisione incrociatori pesanti dell'Ammiraglio Luigi Sansonetti (incrociatori Trieste, Trento e Bolzano da 13000 tonnellate, tutti classe Trento, con otto cannoni da 203/50 come armamento principale)
La 3° divisione navale a Napoli, tra il 1937 e il 1938: da sinistra a destra gli incrociatori Trieste, Trento e Bolzano. |
L'incrociatore pesante Trieste, nave ammiraglia di Sansonetti, ripreso probabilmente il 28 marzo 1941 insieme con un caccia |
e la XII squadriglia caccia (anch'essi della classe Soldati, il Corazziere, il Carabiniere e l'Ascari), unitisi tutti insieme in un'unica formazione allo scopo di dirigersi a sud di Creta, presso lo stretto di Cerigo, per contrastare i segnalati convogli britannici provenienti da Egitto e Cirenaica verso la Grecia;
Amm. Luigi Sansonetti (Mottola, TA...-...) comandante della 3° divisione incrociatori |
2) dall'altra una seconda squadra, formata da due formazioni di incrociatori, partite tra le 21,00 e le 23,00 del 26, da Taranto la 1° divisione incrociatori pesanti, tutti classe Zara (i formidabili incrociatori Zara, Fiume e Pola da 15000 tonnellate, anch'essi con otto cannoni da 203/53), con la scorta della IX squadriglia caccia (le unità classe Poeti, cioè Alfieri, Carducci, Oriani e Gioberti), posta a capo dell'Ammiraglio Carlo Cattaneo,
Amm. Carlo Cattaneo Medaglia d'oro alla memoria (Sant'Anastasia, NA, 6/10 / 1883- Capo Matapan, 29/3/1941) |
e da Brindisi l'8° divisione incrociatori leggeri (con i modernissimi e veloci incrociatori classe Condottieri, il Luigi Savoia Duca degli Abruzzi e il Giuseppe Garibaldi da 11000 tonnellate, con otto cannoni da 152/55), col supporto della XVI squadriglia caccia (Nicoloso Da Recco ed Emanuele Pessagno, ambedue classe Navigatori), al comando dell'Ammiraglio Antonio Legnani,
Amm. Antonio Diomede Legnani (Asti, 28/1/1888-Gargnano, BS, 20/10/1943) |
con l'ordine di recarsi a nord della grande isola contesa, sia per contrastare il traffico marittimo sia per effettuare bombardamenti contro costa verso la baia di Suda.
L'incrociatore leggero Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, nave insegna dell'Amm. Antonio Legnani |
5. Il telegramma cifrato con gli ordini operativi.
Il piano originario, contenuto in plichi sigillati aperti da Iachino solo a navigazione inoltrata, di cui però l'ammiraglio era stato comunque previamente informato insieme con i suoi comandanti di divisione con un telegramma cifrato giunto a bordo della Vittorio Veneto sin nella notte del 24 marzo, prevedeva che fino all'ultimo le ventidue navi italiane, ricongiuntesi tutte dopo aver seguito una rotta per S/E in un punto a 55 miglia da Capo Spartivento, dovessero seguire una rotta apparente verso la Libia per sviare la sorveglianza nemica, per poi, giunti più o meno in un determinato punto all'altezza di Capo Passero, dividersi per dirigersi ai distinti obiettivi prefissati.
In caso di avvistamento da parte di forze nemiche superiori prima di arrivare nelle acque cretesi, però, l'azione sarebbe stata immediatamente interrotta per non esporsi alla reazione della Mediterranean Fleet basata ad Alessandria d'Egitto e degli aerei britannici provenienti dagli aeroporti greci.
24 marzo 1941, ora di ricezione 020024
V. Veneto per Squadra
Supermarina n. 51106. Decifri da solo – V. Veneto et I-III-VIII Divisione navale con C.T. dipendenti escluse X et XI Squadriglie c.t. eseguiranno il giorno x da stabilirsi attacco al traffico nemico zona sud di Gaudo et zona occidentale Egeo (alt) Gruppo V. Veneto compresa III Divisione navale regoli i propri movimenti in modo lasciare Stretto Messina circa ore 0630 giorno x-1 et trovarsi ore 20 stesso giorno in latitudine 34°56’ et long. 19°16’ et ore 0700 giorno x in punto 20 mg. Sud Gaudo (alt) Da detto punto diriga per trovarsi ore 1330 giorno x at 100 mg ponente Capo Krio et quindi rientrare base (alt) Gruppo Zara composto I et VIII Divisione navale lasci base prime ore giorno x-1 et regoli i propri movimenti in modo trovarsi ore 2000 giorno x-1 in punto latitudine 35°46’ e long. 19°34’ et diriga poi per passare ore 0400 giorno x fra Cerigotto et Capo Spada (alt) Prosegua quindi per levante fino a meridiano Capo Tripiti et poi verso Scoglio Karavi ove dovrà trovarsi ore 0800 giorno x (alt) Da tale punto diriga per passare fra Capo Spada e Cerigotto e quindi per punto mg 90 a ponente di Cerigotto dove dovrà trovarsi ore 1330 giorno x et quindi far rientro basi (alt) In caso avvistamento unità nemiche attaccare a fondo soltanto se in condizioni favorevoli di relatività di forze (alt) Con ordini a parte si dispone per ricognizione et scorta aerea con velivoli nazionali et tedeschi (alt) Comandante Superiore in mare amm. Iachino (alt) Compilate et trasmettete ordini di operazione (alt) Date assicurazione (alt) Destinatari V. Veneto per Squadra – Zara per Divisione – Trieste per Divisione – Abruzzi per Divisione – 211023
(Fonte: STORIE IN DIVISA Blog di storia militare su fatti e personaggi della provincia di Agrigento e non solo, v. QUI)
Marinai al lavoro sul ponte della RN Vittorio Veneto nel porto di Taranto |
6. L'importanza del fattore sorpresa.
L'elemento principale, presupposto fondamentale per la buona riuscita dell'operazione, era la certezza del fattore sorpresa, cui si sarebbe affiancata con pari valenza la stretta cooperazione tra la squadra navale e l'aeronautica, sia quella italiana che soprattutto quella tedesca basata in Sicilia, ove aveva sede il X Comando Aereo Tedesco (X CAT per gli Italiani, X. Fliegerkorps per i Tedeschi).
A tale scopo ufficiali di collegamento della Regia Aeronautica e della Luftwaffe erano stati distaccati a bordo della Vittorio Veneto per coordinare in tempo reale le azioni sul teatro operativo: era una scommessa ad alto rischio che la notoria rivalità tra Supermarina e Superaereo, l'una e l'altro rigidissimi custodi delle proprie prerogative e competenze, rendeva di dubbia realizzabilità, come purtroppo la realtà delle cose avrebbe confermato.
Iachino era in effetti, anche e soprattutto alla luce delle esperienze ricavate dai primi mesi di guerra, molto perplesso sulle capacità della aeronautica nostra e tedesca di garantire l'indispensabile copertura aerea che quel viaggio di 500 miglia in mare aperto e costantemente sorvolato dagli aerei britannici richiedeva, sia per l'insufficiente raggio d'azione dei velivoli ricognitori e bombardieri tedeschi basati in Sicilia e dei nostri antiquati Falchi, i caccia biplani CR 42 di Maritza, nell'isola di Rodi, tra l'altro aerei non certo indicatissimi per contrastare con successo gli aerei siluranti e bombardieri impiegabili dalle forze avversarie, sia per le sue (giustificate) critiche all'astruso sistema burocratico che governava la catena di comando ed a maggior ragione i rapporti di Supermarina, di cui lui non era altro che un mero esecutore, con Superaereo e col X CAT.
Per tranquillizzarlo, gli fu riferito da Roma che all'indomani della partenza delle sue unità aerei tedeschi e italiani si sarebbero presentati sul cielo sovrastante le sue formazioni per tenere un'esercitazione aero-navale congiunta in cui verificare procedure operative e sistemi di riconoscimento reciproci.
7. L'impresa di Suda.
Il morale dei marinai, prima di questo scontro, era altissimo.
Come già anticipato informalmente a Iachino nel primo incontro ufficiale del 16 marzo a Roma, solo due giorni prima della missione, infatti, sei incursori della X MAS avevano ottenuto il primo, straordinario successo della marina italiana nel Mediterraneo: partiti dalla base di Lero, in Egeo, a bordo dei due cacciatorpediniere Francesco Crispi e Quintino Sella della IV squadriglia caccia di Rodi,
il tenente di vascello Luigi Faggioni (comandante della spedizione), il sottotenente di vascello Angelo Cabrini, il capo motorista Tullio Tedeschi, il capo cannoniere Alessio Devito, il secondo capo Lino Beccati ed il sergente Emilio Barberi, tutti quanti catturati dal nemico al termine dell'azione, erano arditamente penetrati proprio nella munitissima baia di Suda e dopo aver superato coi loro barchini esplosivi tre ordini di sbarramento avevano centrato ed affondato l'incrociatore pesante HMS York, un'unità classe County come l'HMS Berwick, entrata in servizio i primi di maggio del 1930, che stazzava oltre 14000 tonnellate a pieno carico, oltre alla petroliera Pericles, della stessa stazza, ed a un piroscafo da carico da 12000.
Tenente di vascello Luigi Faggioni
Medaglia d'oro al Valor militare
(La Spezia, 9/11/1909- Chiavari, 23/5/1991) |
Il cacciatorpediniere Sella all'ancora prima della guerra |
Sottotenente di vascello Angelo Cabrini
Medaglia d'oro al Valor militare
(Pavia, 14/2/1917- Roma, 1/12/1987) |
Capo meccanico navale di 3° classe
Tullio Tedeschi
Medaglia d'oro al Valor militare
(Isernia, 15/8/1910- 2/11/1987) |
Capo cannoniere di 3° classe Alessio Devito
Medaglia d'oro al Valor militare
(Summonte, AV, 6/4/1906- 24/9/1982) |
2° Capo meccanico Lino Beccati
Medaglia d'oro al Valor militare
(Porto Tolle, RO, 23/5/1913- Roma, 6/11/1999) |
Sergente cannoniere puntatore scelto
Emilio Barberi
Medaglia d'oro al Valor militare
(Forte dei Marmi, LU, 27/11/1917-1/12/2002) |
il tenente di vascello Luigi Faggioni (comandante della spedizione), il sottotenente di vascello Angelo Cabrini, il capo motorista Tullio Tedeschi, il capo cannoniere Alessio Devito, il secondo capo Lino Beccati ed il sergente Emilio Barberi, tutti quanti catturati dal nemico al termine dell'azione, erano arditamente penetrati proprio nella munitissima baia di Suda e dopo aver superato coi loro barchini esplosivi tre ordini di sbarramento avevano centrato ed affondato l'incrociatore pesante HMS York, un'unità classe County come l'HMS Berwick, entrata in servizio i primi di maggio del 1930, che stazzava oltre 14000 tonnellate a pieno carico, oltre alla petroliera Pericles, della stessa stazza, ed a un piroscafo da carico da 12000.
Cartolina commemorativa dell'impresa di Suda di Alberto Parducci |
Il relitto dell'incrociatore York a Suda dopo l'attacco dei barchini esplosivi italiani: formalmente anch'esso rispettoso del trattato di Versailles, era in realtà ben più prestante di quanto si dicesse. |
[Bollettino di guerra n. 294- Il Quartier Generale delle Forze Armate comunica in data 28 marzo: “Nella notte sul 26 marzo, mezzi navali d'assalto della Regia Marina sono penetrati nella baia di Suda (Creta) e vi hanno attaccato forze navali e trasporti alla fonda, infliggendo gravi perdite al nemico. Una nave da guerra nemica è affondata”].
Ma questa prima, importante vittoria nel Mediterraneo sarebbe stata resa vana dall'esito infausto dello scontro aeronavale successivo, quando la flotta italiana, riunitasi nella sua interezza a est della Sicilia sin dalla mattina del 27 marzo, si sarebbe imbattuta nella intera Mediterranean Fleet, in quella che sarebbe stata definita in seguito la battaglia di Capo Matapan.
8. L'effetto sorpresa svanisce subito.
Fu una lunga corsa ad inseguimento tra Italiani ed Inglesi, avvistatisi sin dall'inizio a vicenda con i rispettivi ricognitori, nella quale più volte gli inseguitori si trasformarono in inseguiti e viceversa, fino al tragico epilogo finale.
Sin dalle 6,30 del 27 marzo un idroricognitore a lungo raggio Sunderland della Royal Air Force decollato dalla base cretese di Maleme
aveva infatti individuato le navi italiane di Sansonetti in navigazione nello Jonio ed era stato a sua volta avvistato dall'incrociatore Trieste, che viaggiava in testa alla 3° divisione.
Il gruppo dell'ammiraglia sopravveniva all'incirca a sette miglia dagli incrociatori e non era stato scorto dal ricognitore, che quindi si era limitato a comunicare molto genericamente (ed in maniera giocoforza incompleta) al comando di Alessandria di aver avvistato "tre incrociatori ed un cacciatorpediniere al largo di Capo Passero", ma questo messaggio, immediatamente intercettato sia a Roma da Supermarina che dagli ufficiali decrittatori a bordo della Vittorio Veneto, bastava e avanzava secondo il piano originario per rinunciare all'operazione.
Alle 18,00 del 27 tuttavia, dopo lunghe esitazioni, dovute anche alle macchinosissime procedure di decrittazione reciproche tra il comando flotta e Roma, Supermarina decise di cancellare solamente la puntata offensiva a nord di Creta, sia perché il rischio di un'intercettazione da parte degli aerei e delle navi inglesi appariva assai probabile, sia soprattutto perché di convogli inglesi non c'era traccia, ma tuttavia con l'ordine alla 1° ed all'8° divisione incrociatori di proseguire lo stesso nell'azione sia pur convergendo sulla rotta 130° della squadra principale con a capo la Vittorio Veneto, col punto di riunione stabilito all'altezza dell'isolotto di Gaudo.
9. Un piano fondato su informazioni sbagliate.
Sin da poco prima delle 17,00 di quello stesso giorno, infatti, a bordo della Vittorio Veneto già sapevano, per aver intercettato sulla frequenza 55 KHz ben due volte, alle 15,19 e alle 16,43, lo stesso telegramma inviato dalla stazione radiotelegrafica di Rodi, della presenza nel porto di Alessandria, segnalata alle 13,00 da un ricognitore strategico, di "tre navi da battaglia due navi portaerei numero imprecisato incrociatori quadratino 2298/rotta vera 0 velocità 0".
Una notizia che quella stessa sera, in maniera assai più dettagliata, comprensiva addirittura dei nomi delle unità britanniche, lo stesso X CAT, smentendo le sue tronfie affermazioni di soli pochi giorni prima sull'avvenuto affondamento delle due corazzate inglesi, avrebbe definitivamente confermato, mandando una nuova informativa in tal senso a Roma, dopo l'interpretazione di nuove foto scattate da un ricognitore Ju 88 il 26 marzo sulla base di Alessandria e l'esame di un successivo rapporto di volo del 27 stilato da un altro Ju 88.
Come se non bastasse tutto questo, la prevista esercitazione aeronavale che doveva tenersi in quella giornata non vi fu, a causa del mare mosso, del tempo brutto, della grande foschia e dell'impetuoso vento di scirocco che rendevano impossibili i decolli agli aerei italo-tedeschi.
Tutto il quadro ottimista su cui si fondava il piano andava così a pallino, ma le cose erano ormai talmente in movimento che nessuno sarebbe stato più capace di fermarle.
Le navi italiane erano state lasciate sole.
Fu una lunga corsa ad inseguimento tra Italiani ed Inglesi, avvistatisi sin dall'inizio a vicenda con i rispettivi ricognitori, nella quale più volte gli inseguitori si trasformarono in inseguiti e viceversa, fino al tragico epilogo finale.
Sin dalle 6,30 del 27 marzo un idroricognitore a lungo raggio Sunderland della Royal Air Force decollato dalla base cretese di Maleme
Idrovolante ricognitore a lungo raggio Short S. 25 Sunderland della R.A.F.
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aveva infatti individuato le navi italiane di Sansonetti in navigazione nello Jonio ed era stato a sua volta avvistato dall'incrociatore Trieste, che viaggiava in testa alla 3° divisione.
Il gruppo dell'ammiraglia sopravveniva all'incirca a sette miglia dagli incrociatori e non era stato scorto dal ricognitore, che quindi si era limitato a comunicare molto genericamente (ed in maniera giocoforza incompleta) al comando di Alessandria di aver avvistato "tre incrociatori ed un cacciatorpediniere al largo di Capo Passero", ma questo messaggio, immediatamente intercettato sia a Roma da Supermarina che dagli ufficiali decrittatori a bordo della Vittorio Veneto, bastava e avanzava secondo il piano originario per rinunciare all'operazione.
Alle 18,00 del 27 tuttavia, dopo lunghe esitazioni, dovute anche alle macchinosissime procedure di decrittazione reciproche tra il comando flotta e Roma, Supermarina decise di cancellare solamente la puntata offensiva a nord di Creta, sia perché il rischio di un'intercettazione da parte degli aerei e delle navi inglesi appariva assai probabile, sia soprattutto perché di convogli inglesi non c'era traccia, ma tuttavia con l'ordine alla 1° ed all'8° divisione incrociatori di proseguire lo stesso nell'azione sia pur convergendo sulla rotta 130° della squadra principale con a capo la Vittorio Veneto, col punto di riunione stabilito all'altezza dell'isolotto di Gaudo.
Una decisione dovuta anche all'errata notizia in possesso dei comandi italiani e riferita da ben due messaggi del X CAT, uno della sera del 16 e un altro della mattina del 17 marzo, sul sicuro affondamento da parte di due bombardieri Heinkel He 111 tedeschi di due delle tre corazzate britanniche della Mediterranean Fleet, e precisamente la Barham e la Warspite, con la permanenza quindi ad Alessandria della sola Valiant: se fosse stato vero si apriva una prospettiva che rendeva a questo punto assai allettante la possibilità di un attacco a fondo da parte della imponente formazione congiunta italiana, che poteva restituire a domicilio il colpo subito a Taranto, completando l'opera già in parte compiuta dagli incursori della X MAS a Suda.
Ma purtroppo gli avvenimenti accaduti di lì a poco avrebbero chiaramente dimostrato che questa notizia era falsa.
Ma purtroppo gli avvenimenti accaduti di lì a poco avrebbero chiaramente dimostrato che questa notizia era falsa.
Bombardiere ricognitore Heinkel He 111 della Luftwaffe
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9. Un piano fondato su informazioni sbagliate.
Sin da poco prima delle 17,00 di quello stesso giorno, infatti, a bordo della Vittorio Veneto già sapevano, per aver intercettato sulla frequenza 55 KHz ben due volte, alle 15,19 e alle 16,43, lo stesso telegramma inviato dalla stazione radiotelegrafica di Rodi, della presenza nel porto di Alessandria, segnalata alle 13,00 da un ricognitore strategico, di "tre navi da battaglia due navi portaerei numero imprecisato incrociatori quadratino 2298/rotta vera 0 velocità 0".
Una notizia che quella stessa sera, in maniera assai più dettagliata, comprensiva addirittura dei nomi delle unità britanniche, lo stesso X CAT, smentendo le sue tronfie affermazioni di soli pochi giorni prima sull'avvenuto affondamento delle due corazzate inglesi, avrebbe definitivamente confermato, mandando una nuova informativa in tal senso a Roma, dopo l'interpretazione di nuove foto scattate da un ricognitore Ju 88 il 26 marzo sulla base di Alessandria e l'esame di un successivo rapporto di volo del 27 stilato da un altro Ju 88.
Come se non bastasse tutto questo, la prevista esercitazione aeronavale che doveva tenersi in quella giornata non vi fu, a causa del mare mosso, del tempo brutto, della grande foschia e dell'impetuoso vento di scirocco che rendevano impossibili i decolli agli aerei italo-tedeschi.
Tutto il quadro ottimista su cui si fondava il piano andava così a pallino, ma le cose erano ormai talmente in movimento che nessuno sarebbe stato più capace di fermarle.
Le navi italiane erano state lasciate sole.
10. Gaudo: primi scambi di colpi.
Ad entrare per primi in contatto col nemico, la mattina del 28, alle 8,12, nei pressi appunto dell'isolotto di Gaudo, furono gli incrociatori pesanti di Sansonetti, in testa alla colonna, cui ben presto si sarebbero aggiunti quelli di Cattaneo, avvertiti al primo albeggiare della presenza delle navi inglesi da un idroricognitore IMAM RO.43
Il lancio di un IMAM RO.43 dalla catapulta, probabilmente di un incrociatore leggero classe Condottieri (Duca degli Abruzzi o Garibaldi) |
decollato dall'ammiraglia di Iachino, che riuscì a trasmettere comunque il suo messaggio alla nave italiana nel frastuono della potente contraerea nemica.
Il Garibaldi davanti a Fiume, Pola e Zara la mattina del 28: sta per cominciare la battaglia
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Amm. Sir Henry Pridham-Wippell
(Bromley, Kent 12/8/1885- Kingsdown, Deal, Kent, 2/4/1952)
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Le nostre navi spararono circa 535 proietti da 203, perforanti per lo più, ma in parte anche esplosivi, con particolare precisione da parte degli incrociatori Trieste, Trento e Bolzano,
I poderosi cannoni da 203 ed il torrione della RN Trento
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Le navi inglesi cominciarono a incassare vari colpi e pericolosissime schegge, soprattutto l'Orion, il Perth e con maggiori danni il Gloucester, la prima unità britannica a replicare, solo un quarto d'ora dopo le prime bordate italiane, proprio perché avvicinatosi di più alle navi avversarie: proprio quest'ultimo venne però colpito alle 8,29 da una bomba da 203 del Bolzano che perforò tre ponti per poi uscire a sinistra, all'altezza della terza torre, a poppa, ma ebbe la fortuna che l'ordigno non esplose e poté così proseguire incolume.
HMS Gloucester Incrociatore leggero classe Town di 11000 tonnellate come il gemello Sheffield, entrato in servizio il 31 gennaio 1939, sarebbe stato ripetutamente attaccato e quindi affondato durante la battaglia di Creta, poco meno di due mesi dopo Matapan, il 22 maggio 1941, da bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 Stuka e Ju 88 mentre si trovava nel Canale di Kithera, a nord dell'isola greca: su 807 uomini a bordo se ne sarebbero salvati soltanto 85, peraltro tutti presi prigionieri a bordo di unità tedesche. |
Lo scontro per gli incrociatori britannici si faceva tuttavia sempre più insostenibile per cui, vista la mala parata, Pridham-Wippel decise di sganciarsi tra le cortine fumogene, coll'intento di farsi inseguire dagli avversari, piegando con andatura a zig zag verso sud, mentre il Vendetta era costretto a rientrare alla base per problemi ai motori.
La manovra dell'ammiraglio britannico non era solo elusiva, ma soprattutto aveva il preciso scopo di portare le belle unità italiane, alle quali nel frattempo si era unita con straordinaria efficacia la Vittorio Veneto con tutto il suo gruppo da combattimento, in bocca alla ben più potente FORZA A, 65 miglia più in là, di cui le nostre navi erano totalmente all'oscuro, guidata dall'espertissimo comandante della Mediterranean Fleet in persona, l'Ammiraglio Lord Andrew Browne Cunnigham, colui che aveva ideato sulla scorta di studi precedenti e direttamente condotto sul campo l'attacco contro la flotta italiana da battaglia ancorata a Taranto, solo poco più di quattro mesi prima, e già avversario diretto di Inigo Campioni a Punta Stilo.
Questi infatti, che a differenza del rivale Iachino godeva come tutti i comandanti britannici di grande libertà d'azione senza essere strettamente legato agli ordini dall'alto, non appena avuta dal ricognitore Sunderland la notizia dell'avvistamento della flotta avversaria aveva fatto approntare sin da subito in silenzio la sua squadra navale per farla poi uscire nelle prime ore di buio al completo incontro al nemico, su rotta 300° con velocità 20 nodi, al fine di poterlo cogliere di sorpresa: per sviare il console giapponese sospettato di passare informazioni agli Italiani addirittura aveva finto di andare a giocare a golf, per poi sgattaiolare via dal club e recarsi in incognito sulla Warspite, sua nave ammiraglia!
Amm. Lord Andrew Browne Cunningham (Rathmines, Irlanda del Nord, 7/1/1883- Londra, 12/6/1963) |
HMS Formidable |
e le gloriose ma datate corazzate classe Queen Elizabeth, da poco più di 35000 tonnellate, Warspite, Barham e Valiant, della 1° divisione da battaglia (al comando del Contrammiraglio Henry B. Rawlings a bordo della Barham), anch'esse munite di cannoni da 381, otto su quattro torri binate, e da dodici a quattordici da 152 su affusti singoli, con la loro numerosa scorta di caccia, della 10th (Stuart, Greyhound, Griffin, Havock e Hotspur) e della 14th flottilla (Jervis, Janus, Mohawk e Nubian), rispettivamente ai comandi dei capitani di vascello H.M.L. Waller della Royal Australian Navy, a bordo dello Stuart e Philip Mack della Royal Navy, a bordo del Jervis.
HMS Valiant |
A bordo della Valiant prestava servizio come addetto alla manovra dei proiettori il diciannovenne guardiamarina Sir Philip Battenberg, poi Mountbatten, Duca di Edimburgo e Principe Consorte di Elisabetta II di Windsor, attuale Regina di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Filippo di Edimburgo in divisa da gala da ufficiale di marina |
Subodorando l'agguato, però, di fronte alla sospetta ritirata di Pridham-Wippel le navi di Sansonetti, dopo venti minuti di inseguimento a tutta forza senza risultato, alle 8,55 avevano rotto il contatto, facendo marcia indietro verso ovest; a questo punto erano state le unità inglesi a serrare, mentre dalla Formidable venivano scagliati a più riprese, da molto lontano, quasi al limite dell'autonomia, ricognitori a lunga gittata, senza che dalla parte opposta, nonostante i precisi accordi intervenuti con Superaereo e coi Tedeschi, si alzasse com'era prevedibile un solo velivolo a protezione.
In tutta la giornata del 27 solo due Junkers Ju 88 tedeschiBombardiere veloce - ricognitore tedesco Junkers Ju 88 |
Caccia Fairey Fulmar Mk 1 della Royal Navy |
HMS Warspite |
11. Inizia il carosello.
Era di fatto diventato ormai un gigantesco e mortale carosello, un gioco a rimpiattino in cui i contendenti avevano capito di avere di fronte forze superiori a quelle che si vedevano davanti, ma senza sapere esattamente quali.
Iachino aveva capito che nonostante le rassicurazioni del suo servizio informazioni da qualche parte c'era probabilmente una portaerei e forse delle corazzate coi rispettivi gruppi di scorta, come gli aveva confermato verso le 9,00 un messaggio inviato circa un'ora prima da un ricognitore italiano: tuttavia aveva ancora dei dubbi perché all'ora del rilevamento più o meno in quella zona erano presenti le sue unità, per cui il sospetto era che l'aereo avesse scambiato per britanniche queste ultime (un problema che avrebbe sempre tormentato le nostre azioni in mare, a causa della procedura macchinosa e lenta delle comunicazioni che pregiudicava una corretta e soprattutto tempestiva informazione sull'evoluzione della situazione aeronavale, tanto da portare addirittura in più occasioni a dinamiche fratricide di "fuoco amico" tra navi ed aerei italiani e tedeschi).
Lord Cunningham dal canto suo intuiva per l'atteggiamento insolitamente aggressivo delle unità di Sansonetti la presenza di altre navi importanti nei pressi di quelle che avevano sparato contro i suoi incrociatori leggeri e temeva soprattutto la presenza di più corazzate.
Nessuno dei due, né Iachino né Cunningham, sapeva esattamente però dove si trovasse il naviglio di cui supponevano l'esistenza, né di quale effettiva consistenza fosse.
Aerosilurante Fairey Albacore Era una versione migliorata dello Swordfish, ma anche se introdotto in servizio dopo fu ritirato prima, perchè meno amato dai piloti |
12. L'entrata in scena della Vittorio Veneto.
Fu verso le 10,30 che la Vittorio Veneto, rimasta in un primo momento molto indietro dopo il primo contatto e l'infruttuoso inseguimento tra gli incrociatori, fece il suo perentorio ingresso nella battaglia, assolutamente all'improvviso e nella più totale sorpresa di Pridham-Wippel, le cui navi erano sempre rimaste a contatto visivo.
Con una manovra a tenaglia concordata tra Iachino e Sansonetti il gruppo dell'ammiraglia, giunta da est, e gli incrociatori pesanti della 3° divisione, accostatisi da ovest, presero a martellare le navi avversarie con spaventosa efficienza: la nave da battaglia italiana in particolare sparò da 23000 metri in una decina scarsa di minuti almeno 94 proietti da 381 con notevole precisione contro le navi della Forza B, danneggiando sia l'Orion che il solito Gloucester con un colpo caduto vicino a entrambi.
Il Gloucester soprattutto lamentò la caduta di alcune grosse schegge del proiettile in coperta, con il danneggiamento altresì dell'asse di un'elica.
A quel punto Cunningham, informato dai suoi ricognitori della presenza della corazzata italiana, decise di far lanciare dalla Formidable da almeno 140 chilometri di distanza sei suoi aerosiluranti Fairey Albacore contro proprio la Vittorio Veneto, che col suo intervento rischiava di mandare a picco in poco tempo le unità inglesi, per allentare la pressione sempre più forte che stava esercitando su di esse.
La nave italiana, dopo aver in un primo momento scambiato i velivoli della Royal Navy per gli assai simili caccia biplani FIAT CR 42 che secondo gli accordi con Superaereo dovevano arrivare dalla base di Maritza (ma che non sarebbero mai comparsi sui cieli in quei giorni di battaglia)
riuscì tuttavia ad approntare in tempo con tutte le sue venti mitragliere da 37/54 e le trentadue da 20/65, oltre che con i dodici cannoni da 90/50, un efficacissimo sbarramento antiaereo a 360°, e fu in grado anche di evitare con sicurezza i siluri e le bombe avversari, scagliati da sin troppo lontano per avere speranze di successo, ma per far questo fu costretta ad accostare, e con lei le altre navi italiane, e quindi consentì agli avversari di sganciarsi, tra le cortine fumogene, e di raggiungere affannosamente la grossa formazione proveniente da Alessandria, distante ormai solo una quarantina di miglia.
Fu appunto nel corso di questa prima incursione britannica che tre caccia Fulmar in appoggio agli Albacore vennero sorprendentemente ingaggiati dai due velivoli tedeschi Ju 88 comparsi dal nulla, ed impegnati in un combattimento aereo molto acceso che si concluse con l'abbattimento di uno dei due velivoli tedeschi e la fuga del compagno verso la base di partenza.
13. La calma prima della tempesta.
Alle 11,40, dopo quasi quattro ore di battaglia, le acque dell'Egeo tornavano finalmente calme.
Angelo Iachino, constatata ormai l'evidente impossibilità di proseguire nell'azione a causa della scoperta da parte del nemico delle sue navi, ordinava la fine della missione ed il ritorno alle basi di partenza delle unità in direzione nord-ovest.
Alle 12,30, dal canto loro, gli incrociatori e i caccia di Pridham-Wippel si riunirono alla Forza A: postisi all'avanguardia, seguiti dai caccia di Cunningham, dalle sue tre corazzate in linea di fila e dalla portaerei subito dopo a chiusura della compatta formazione, ripresero nuovamente l'inseguimento, ma la maggior velocità delle unità italiane in allontanamento rendeva pressoché impossibile un nuovo contatto.
A meno che degli attacchi aerei lanciati contro di loro non danneggiassero una o più navi avversarie, costringendo così l'ammiraglio Iachino a ordinare di rallentare l'andatura...
14. L'attacco degli Sparvieri dell'asso Buscaglia.
Alle 14,25 a bordo della Vittorio Veneto intercettarono un nuovo messaggio diretto da Rodi a Supermarina, nel quale si rilevava che "alle ore 12,15 un aereo da ricerca strategica sull'Egeo ha avvistato una corazzata, una portaerei, sei incrociatori e cinque cacciatorpediniere nel quadrante 5647", cioè a sole 79 miglia da dove si trovava l'ammiraglia italiana.
Il messaggio era insieme impreciso e ingeneroso verso l'Arma azzurra, la Regia Aeronautica: in realtà infatti il cosiddetto "aereo da ricerca strategica sull'Egeo" erano nientepopodimeno che due Sparvieri trimotori S.M.79 della famosa 281° squadriglia autonoma, il reparto che, successivamente, avrebbe preso il celeberrimo nome di "Quattro gatti" (dovuto al fatto che a comporlo erano appunto pochi uomini e pochissimi aerei).
Alla loro prima missione esplorativa dal loro arrivo il 20 marzo alla base italiana di Gadurrà (Rodi), i due aerosiluranti, pilotati rispettivamente dal leggendario comandante della squadriglia, l'allora ventiseienne capitano Carlo Emanuele Buscaglia, asso della Regia Aeronautica, forse il più famoso pilota della nostra aeronautica nella seconda guerra mondiale,
e dal suo gregario, il tenente Pietro Greco, e con a bordo osservatori della marina, si erano imbattuti nella imponente squadra navale nemica e senza indugi si erano buttati all'assalto, accolti dai numerosissimi, rumorosi e letali sbuffi della contraerea, picchiando con coraggio in direzione del bersaglio più grosso, proprio la portaerei Formidable, e lanciandole contro entrambi un siluro non appena giunti a pelo d'acqua.
L'attacco dei "Gobbi maledetti" ("Damned Hunchbacks"), così gli Sparvieri erano conosciuti dai marinai inglesi per via della caratteristica protuberanza dorsale, non aveva avuto esito felice ma i due aerei, sfuggendo alla contraerea, non solo erano riusciti a tornare a casa sani e salvi, ma avevano fatto a tempo a segnalare correttamente la posizione della formazione avversaria, al di là di alcune vistose imprecisioni sulla sua composizione.
Tuttavia Iachino non aveva ritenuto credibile la loro informazione, perché il dato indicato dal messaggio contrastava con un precedente rilevamento radiogonometrico in suo possesso che dava la squadra britannica a ben 170 miglia da quella italiana, motivo per cui, in mancanza di una conferma da parte di Supermarina, l'ammiraglio anche stavolta pensò che si fosse fatta confusione con la posizione delle navi italiane.
Quell'azione avrebbe fruttato al capitano Buscaglia la medaglia d'argento al Valor militare, una delle tante decorazioni che avrebbe guadagnato nella sua gloriosa e tragica epopea, ma alla fine la Vittorio Veneto continuava a dirigersi a tutta forza verso l'Italia ancora ignara della presenza nemica a 70 miglia a sud-est dalla sua posizione.
15. Gli aerei inglesi si lanciano sulla squadra italiana.
Non ci fu peraltro nemmeno il tempo di pensarci poi troppo, perché a partire dalle 14,30 fu la squadra italiana ad essere a sua volta investita a ondate dagli attacchi aerei inglesi, sia dei caccia e dei siluranti provenienti dalla Formidable che dei bombardieri partiti dalle basi greche a terra: due scagliati direttamente contro l'ammiraglia, due contro gli incrociatori di Sansonetti e ben quattro contro quelli di Cattaneo, tutti senza alcun risultato apprezzabile.
Gli Inglesi comunque insistevano, assolutamente risoluti a colpire le navi italiane: per loro era vitale riuscire a centrare seriamente almeno una delle unità nemiche più grosse, per far sì che le altre si fermassero per soccorrerla favorendo così però contemporaneamente il ritorno su di loro di quei famelici lupi assetati di sangue.
Con una manovra a tenaglia concordata tra Iachino e Sansonetti il gruppo dell'ammiraglia, giunta da est, e gli incrociatori pesanti della 3° divisione, accostatisi da ovest, presero a martellare le navi avversarie con spaventosa efficienza: la nave da battaglia italiana in particolare sparò da 23000 metri in una decina scarsa di minuti almeno 94 proietti da 381 con notevole precisione contro le navi della Forza B, danneggiando sia l'Orion che il solito Gloucester con un colpo caduto vicino a entrambi.
Il Gloucester soprattutto lamentò la caduta di alcune grosse schegge del proiettile in coperta, con il danneggiamento altresì dell'asse di un'elica.
La possente sagoma della RN Vittorio Veneto in navigazione |
La nave italiana, dopo aver in un primo momento scambiato i velivoli della Royal Navy per gli assai simili caccia biplani FIAT CR 42 che secondo gli accordi con Superaereo dovevano arrivare dalla base di Maritza (ma che non sarebbero mai comparsi sui cieli in quei giorni di battaglia)
FIAT CR 42 Falco in volo appartenente alla 379° squadriglia del 156° Gruppo Autonomo CT (Caccia Terrestre) basato a Comiso (RG), in Sicilia: era la diretta evoluzione del CR 32, più veloce e potente, ma sempre inadeguato, anche se si fece onore soprattutto in Africa.
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riuscì tuttavia ad approntare in tempo con tutte le sue venti mitragliere da 37/54 e le trentadue da 20/65, oltre che con i dodici cannoni da 90/50, un efficacissimo sbarramento antiaereo a 360°, e fu in grado anche di evitare con sicurezza i siluri e le bombe avversari, scagliati da sin troppo lontano per avere speranze di successo, ma per far questo fu costretta ad accostare, e con lei le altre navi italiane, e quindi consentì agli avversari di sganciarsi, tra le cortine fumogene, e di raggiungere affannosamente la grossa formazione proveniente da Alessandria, distante ormai solo una quarantina di miglia.
Fu appunto nel corso di questa prima incursione britannica che tre caccia Fulmar in appoggio agli Albacore vennero sorprendentemente ingaggiati dai due velivoli tedeschi Ju 88 comparsi dal nulla, ed impegnati in un combattimento aereo molto acceso che si concluse con l'abbattimento di uno dei due velivoli tedeschi e la fuga del compagno verso la base di partenza.
13. La calma prima della tempesta.
Alle 11,40, dopo quasi quattro ore di battaglia, le acque dell'Egeo tornavano finalmente calme.
Angelo Iachino, constatata ormai l'evidente impossibilità di proseguire nell'azione a causa della scoperta da parte del nemico delle sue navi, ordinava la fine della missione ed il ritorno alle basi di partenza delle unità in direzione nord-ovest.
Alle 12,30, dal canto loro, gli incrociatori e i caccia di Pridham-Wippel si riunirono alla Forza A: postisi all'avanguardia, seguiti dai caccia di Cunningham, dalle sue tre corazzate in linea di fila e dalla portaerei subito dopo a chiusura della compatta formazione, ripresero nuovamente l'inseguimento, ma la maggior velocità delle unità italiane in allontanamento rendeva pressoché impossibile un nuovo contatto.
A meno che degli attacchi aerei lanciati contro di loro non danneggiassero una o più navi avversarie, costringendo così l'ammiraglio Iachino a ordinare di rallentare l'andatura...
L'incrociatore pesante RN Trento |
14. L'attacco degli Sparvieri dell'asso Buscaglia.
Alle 14,25 a bordo della Vittorio Veneto intercettarono un nuovo messaggio diretto da Rodi a Supermarina, nel quale si rilevava che "alle ore 12,15 un aereo da ricerca strategica sull'Egeo ha avvistato una corazzata, una portaerei, sei incrociatori e cinque cacciatorpediniere nel quadrante 5647", cioè a sole 79 miglia da dove si trovava l'ammiraglia italiana.
Il messaggio era insieme impreciso e ingeneroso verso l'Arma azzurra, la Regia Aeronautica: in realtà infatti il cosiddetto "aereo da ricerca strategica sull'Egeo" erano nientepopodimeno che due Sparvieri trimotori S.M.79 della famosa 281° squadriglia autonoma, il reparto che, successivamente, avrebbe preso il celeberrimo nome di "Quattro gatti" (dovuto al fatto che a comporlo erano appunto pochi uomini e pochissimi aerei).
Alla loro prima missione esplorativa dal loro arrivo il 20 marzo alla base italiana di Gadurrà (Rodi), i due aerosiluranti, pilotati rispettivamente dal leggendario comandante della squadriglia, l'allora ventiseienne capitano Carlo Emanuele Buscaglia, asso della Regia Aeronautica, forse il più famoso pilota della nostra aeronautica nella seconda guerra mondiale,
Capitano Carlo Emanuele Buscaglia (Novara, 22/9/1915- Napoli, 24/8/1944) Medaglia d'oro al Valor militare alla memoria |
Carlo Emanuele Buscaglia col suo equipaggio accanto al suo Sparviero, nella base rodita di Gadurrà: la livrea bianca della parte anteriore dell'aereo serviva a farlo confondere col cielo da parte degli artiglieri della contraerea nemica al momento della picchiata per lanciare il siluro
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Una doppia immagine piuttosto rara inquadra un servente alla mitragliera BREDA-SAFAT da 12,7 mm di uno Sparviero: il mitragliere era sempre uno, ma le armi potevano essere due, una per lato, e doveva utilizzarle entrambe |
Gadurrà, 11 giugno 1941: la formidabile 281° squadriglia in posa.
Il primo in piedi a sinistra è il ten. Giulio Cesare Graziani, il terzo da sinistra il cap. Carlo Emanuele Buscaglia, l'ultimo a destra è il cap. Giuseppe Cimicchi
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Non ci fu peraltro nemmeno il tempo di pensarci poi troppo, perché a partire dalle 14,30 fu la squadra italiana ad essere a sua volta investita a ondate dagli attacchi aerei inglesi, sia dei caccia e dei siluranti provenienti dalla Formidable che dei bombardieri partiti dalle basi greche a terra: due scagliati direttamente contro l'ammiraglia, due contro gli incrociatori di Sansonetti e ben quattro contro quelli di Cattaneo, tutti senza alcun risultato apprezzabile.
Gli Inglesi comunque insistevano, assolutamente risoluti a colpire le navi italiane: per loro era vitale riuscire a centrare seriamente almeno una delle unità nemiche più grosse, per far sì che le altre si fermassero per soccorrerla favorendo così però contemporaneamente il ritorno su di loro di quei famelici lupi assetati di sangue.
16. La Vittorio Veneto viene colpita.
Dopo le sue manovre la flotta italiana si venne così a trovare considerevolmente più vicina agli incrociatori nemici, circa 12 miglia, ed a 50 miglia dalla Formidable, quindi nuovamente e sempre più a portata di tiro degli aerei britannici, tra cui vi erano anche gli onnipresenti Fairey Swordfish provenienti dalla base cretese di Maleme, quegli stessi piccoli e malefici biplani che gli Italiani già avevano avuto la sventura di incrociare sulla loro strada ormai tante e tante volte, da Taranto in poi...
accadde quello che nessuno si aspettava: alle 15,19 di quel 28 marzo proprio la Vittorio Veneto venne colta di sorpresa da un attacco condotto al pelo dell'acqua dagli aerosiluranti della Formidable, tre Albacore e due Swordfish, che si disposero all'attacco in formazione a ventaglio da più direzioni mentre due caccia Fulmar impegnavano i serventi della contraerea buttandosi in picchiata sulla sua grande sagoma grigia.
I cinque velivoli rilasciarono in mare i loro ordigni, mirando ai settori prodieri della grande nave, un attimo prima che uno di essi, l'Albacore condotto dal caposquadriglia, il capitano di corvetta John Dalyell Stead dell'829 Squadron, precipitasse in mare in una vampa di fuoco, abbattuto dal preciso fuoco contraereo: colpito ripetutamente dai traccianti delle batterie italiane ad un'altezza di soli nove metri sul mare, il velivolo sarebbe riuscito a volare ancora per qualche secondo per poi inabissarsi a circa novecento metri a sinistra della Vittorio Veneto, impegnata in una vigorosa accostata a dritta per evitare i siluri del nemico, dopo averne letteralmente sfiorato la prora nella sua traiettoria ormai impazzita.
La disperata manovra di Iachino avrebbe consentito di evitare due dei tre siluri scagliati in mare, lanciati da troppo distante, ma non il terzo, proprio quello lanciato da meno di 1000 metri dal velivolo abbattuto.
L'intera squadra era così costretta a rallentare, consentendo agli aerosiluranti nemici di riarmarsi per tornare a colpire, probabilmente con l'ultimo tentativo a loro disposizione.
Messesi in formazione cosiddetta a testuggine, su cinque file parallele distanziate a 1000 metri l'una dall'altra, le navi italiane si diressero al massimo della velocità consentita con le prue rivolte verso le coste della Madre Patria, con la Vittorio Veneto al centro dello schieramento ed ai rispettivi fianchi gli incrociatori pesanti della 3° a sinistra e della 1° divisione a destra, a loro volta affiancati e preceduti dalle relative squadriglie caccia, e con l'8° divisione di Legnani, che vedeva uno dei suoi due caccia, il Pessagno, afflitto da una avaria alla caldaia che ne limitava la velocità, lasciata davanti a nord libera di agire per rispondere ad eventuali attacchi provenienti da naviglio nemico che era stato segnalato intorno alle 17,00 da un ricognitore tedesco a sud dell'isola di Cerigo.
17. Il siluramento fatale del Pola.
Cunningham inviò l'idrovolante della Warspite, un Supermarine Walrus condotto dal suo osservatore di fiducia, il capitano di corvetta Bolt, del 700 Squadron, a verificare la situazione, ed ebbe conferma intorno alle 18,20 del rallentamento della flotta di Iachino.
Un rallentamento ancora non decisivo, perché le velocità delle due squadre contrapposte erano ancora pressoché equivalenti, con un leggero vantaggio ancora per gli Italiani, tuttavia quanto bastava per lanciare un nuovo attacco.
Dopo le sue manovre la flotta italiana si venne così a trovare considerevolmente più vicina agli incrociatori nemici, circa 12 miglia, ed a 50 miglia dalla Formidable, quindi nuovamente e sempre più a portata di tiro degli aerei britannici, tra cui vi erano anche gli onnipresenti Fairey Swordfish provenienti dalla base cretese di Maleme, quegli stessi piccoli e malefici biplani che gli Italiani già avevano avuto la sventura di incrociare sulla loro strada ormai tante e tante volte, da Taranto in poi...
Dopo una, due, tre incursioni a vuoto, l'ultima anche di tre bombardieri leggeri Bristol Blenheim provenienti anch'essi da Creta, che sganciarono le loro bombe da oltre 2000 metri di altezza senza successo, anche perché fortemente contrastati dalla formidabile contraerea avversaria,
Bombardiere leggero Bristol Blenheim della R.A.F.
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La disperata manovra di Iachino avrebbe consentito di evitare due dei tre siluri scagliati in mare, lanciati da troppo distante, ma non il terzo, proprio quello lanciato da meno di 1000 metri dal velivolo abbattuto.
Dopo aver toccato la prua l'ordigno strisciò lungo tutta la fiancata per esplodere infine a poppa all'altezza dell'elica sinistra, circa cinque metri sotto la linea di galleggiamento: l'albero motore esterno sinistro della corazzata si spezzò, quello di destra si fermò a causa delle infiltrazioni d'acqua, quindi il timone si bloccò e per sei lunghissimi minuti l'ammiraglia italiana restò ferma mentre cominciava a imbarcare molta acqua, sbandando anche di 6° a sinistra. Si contarono anche un paio di vittime a bordo.
Solo alle 15,36 la Vittorio Veneto ricominciò con difficoltà a muoversi, dopo aver riacceso in qualche modo le macchine, potendo procedere grazie al timone a mano, dopo aver fatto un giro completo su sé stessa di 360°, e solo alle 15,42 poté spostarsi di nuovo, ma alla velocità drammaticamente ridotta di 15 nodi, per poi salire fino al massimo a 19 per brevi tratti nelle ore successive.
Era un colpo gravissimo per il morale degli Italiani, che poteva rivelarsi letale per le sorti della loro intera formazione.
Solo alle 15,36 la Vittorio Veneto ricominciò con difficoltà a muoversi, dopo aver riacceso in qualche modo le macchine, potendo procedere grazie al timone a mano, dopo aver fatto un giro completo su sé stessa di 360°, e solo alle 15,42 poté spostarsi di nuovo, ma alla velocità drammaticamente ridotta di 15 nodi, per poi salire fino al massimo a 19 per brevi tratti nelle ore successive.
Era un colpo gravissimo per il morale degli Italiani, che poteva rivelarsi letale per le sorti della loro intera formazione.
La Nb Vittorio Veneto colpita a poppa: si noti l'idroricognitore IMAM RO.43
completamente sbalzato fuori dalla sua catapulta
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L'intera squadra era così costretta a rallentare, consentendo agli aerosiluranti nemici di riarmarsi per tornare a colpire, probabilmente con l'ultimo tentativo a loro disposizione.
Messesi in formazione cosiddetta a testuggine, su cinque file parallele distanziate a 1000 metri l'una dall'altra, le navi italiane si diressero al massimo della velocità consentita con le prue rivolte verso le coste della Madre Patria, con la Vittorio Veneto al centro dello schieramento ed ai rispettivi fianchi gli incrociatori pesanti della 3° a sinistra e della 1° divisione a destra, a loro volta affiancati e preceduti dalle relative squadriglie caccia, e con l'8° divisione di Legnani, che vedeva uno dei suoi due caccia, il Pessagno, afflitto da una avaria alla caldaia che ne limitava la velocità, lasciata davanti a nord libera di agire per rispondere ad eventuali attacchi provenienti da naviglio nemico che era stato segnalato intorno alle 17,00 da un ricognitore tedesco a sud dell'isola di Cerigo.
RN Emanuele Pessagno |
Lo squarcio nello scafo della RN Vittorio Veneto fotografato al momento del ricovero in bacino a Taranto |
17. Il siluramento fatale del Pola.
Cunningham inviò l'idrovolante della Warspite, un Supermarine Walrus condotto dal suo osservatore di fiducia, il capitano di corvetta Bolt, del 700 Squadron, a verificare la situazione, ed ebbe conferma intorno alle 18,20 del rallentamento della flotta di Iachino.
Idroricognitore Supermarine Walrus |
Un rallentamento ancora non decisivo, perché le velocità delle due squadre contrapposte erano ancora pressoché equivalenti, con un leggero vantaggio ancora per gli Italiani, tuttavia quanto bastava per lanciare un nuovo attacco.
I Fairey Albacore si lanciano dalla HMS Formidable |
Cap. Frederick Michael Torrens-Spence (Whiteabbey, Irlanda del Nord, 10/3/1914- Irlanda del Nord, 12/12/2001) |
Quella fu la svolta.
Quando era ormai il crepuscolo, verso le sette e mezzo di sera, dodici aerosiluranti si avventarono per l'ennesima volta sulla squadra italiana, dalle 11,30 era la settima ondata, accanendosi in particolare sull'incrociatore pesante Pola, che affiancava la Vittorio Veneto esattamente al suo lato destro.
L'Albacore del S/ Lt. Cmdr. G.P.C. Williams, in partenza per il suo primo raid di quella mattina: partito per la seconda volta alle 17,35 del pomeriggio, fu l'ultimo a lanciare il suo siluro e pertanto secondo molti è in realtà questo velivolo ad aver dato il colpo mortale all'incrociatore italiano.
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Il sottotenente G. P. C. Williams (Distinguished Service Cross) |
Un'immagine pubblicitaria della Fairey Aircraft immortala il momento del lancio del siluro da parte di Williams |
Il velivolo di Williams perse potenza e precipitò in mare, ma tutti e tre i membri del suo equipaggio si salvarono e sarebbero stati poi recuperati in mare dal caccia HMS Juno: per tale azione il coraggioso pilota sarebbe stato premiato con la Distinguished Service Cross.
L'attacco silurante al Pola descritto da LIFE Magazine del 14 aprile del 1941 (pagg. 34-36) |
18. "I Divisione vada in soccorso al Pola".
Al termine dell'attacco nessuno tra gli Italiani si era accorto che la grande nave era ferita a morte, eppure il Pola aveva imbarcato 3500 tonnellate d'acqua, ma soprattutto era ormai immobile, privo di propulsione e senza corrente elettrica, impossibilitato quindi anche a manovrare i suoi pezzi, praticamente inerme, mentre le fiamme divoravano soprattutto la zona caldaie costringendo chi era per fortuna o per dovere ai piani superiori a chiudere le paratie blindate per proteggere la nave dal propagarsi del fuoco e dall'imbarcare ulteriore acqua: una decisione necessaria ma che si sarebbe rivelata mortale per tantissimi marinai, perché da lì a poche ore oltre duecento uomini sarebbero morti così, intrappolati come topi, senza alcuna via d'uscita, inghiottiti attimo per attimo dall'acqua del mare che saliva implacabilmente di livello, sommergendoli alla fine tutti.
Una morte lenta e atroce, di cui tutti questi sfortunati marinai furono loro malgrado pienamente consapevoli...
Incrociatore POLA, affondato nel 1941 da aerosiluranti inglesi a Capo Matapan, 2009 Pittura 60 x 60 cm (Galleria ARTMAJEUR, Roberto Lacentra) |
Nel documentario OPERAZIONE GAUDO di Carlo Cestra l'allora marinaio Giuseppe Anzevino, imbarcato per l'appunto sul Pola, racconta ancora oggi con le lacrime agli occhi: "In tutti i miei anni svolti in marina non si era mai fatta una vera e propria esercitazione di abbandono nave. Posti di manovra sì, posto di combattimento sì, erano frequenti, ma abbandono nave no, tanto, ci dicevano, "le nostre navi non affonderanno mai..." Io ero vicino alla torre. Lì c'era un megafono collegato alla sala macchine e potei sentire distintamente "Sopra! SOPRA!" Io risposi: "Basso!" E loro: "Avverti qualcuno che qui stiamo camminando nell'acqua!" Io risposi ancora: "Provo a chiamare qualcuno...", ma quando mi voltai mi resi conto che c'era una desolazione, un silenzio intorno a me che ammazzava...Poi queste invocazioni d'aiuto cominciarono a trasformarsi in bestemmie, bestemmie atroci...:"ABBIAMO L'ACQUA AL PETTO!" E io non sapevo che fare...Quei poveracci erano chiusi e andarono tutti a fondo con la nave, a 1500 metri di profondità, ma i miei elementi di giudizio erano da confrontare con la mia cultura e il mio grado -io ero un marinaio semplice- e mi domandavo: "Perché questa gente deve morire? Loro sono vivi mentre la nave affonda..." Ho pianto in quel momento per quest'ossessione che mi aveva preso. Ancora adesso sento dentro di me l'eco delle loro bestemmie..."
Solo alle 20,00 il comandante dello Zara, capitano di vascello Luigi Corsi, cui dalla nave ferita per chiedere assistenza erano stati inviate delle segnalazioni luminose con i proiettori portatili Donath oltre che dei messaggi radio a onde corte, fece presente a Cattaneo che il Pola era rimasto indietro e solo undici minuti dopo, quando l'ammiraglia intercettò il messaggio con cui Cattaneo chiedeva al comandante del Pola, capitano di vascello Manlio De Pisa, di riferirgli dei danni riportati dalla sua nave, fu palese nella plancia comando della Vittorio Veneto la gravità dell'accaduto, confermata dalla richiesta di assistenza e rimorchio inviata dopo pochi minuti dal Pola allo Zara e immediatamente ritrasmessa all'ammiraglia alle 20,15.
19. Nuove incomprensioni favoriscono il disastro.
Perché, mio Dio, perché Iachino ordinò a quelle unità di tornare indietro? E di buttarsi inconsapevolmente tra le braccia del nemico?
Alle 20,18 Iachino mandò un telegramma a Cattaneo (una decisione che avrebbe alimentato polemiche a non finire): "I Divisione vada in soccorso al Pola".
Il resto della sua squadra, postosi tutt'intorno a difesa dell'ammiraglia ferita, che imbarcava ormai quasi 4000 tonnellate d'acqua, dirigeva lentamente verso le basi di partenza: ormai la missione era fallita, occorreva evitare il peggio, in quelle condizioni, in mancanza del radar e di copertura aerea, con la portaerei nemica ancora presumibilmente vicina, chissà dove...
Il resto della sua squadra, postosi tutt'intorno a difesa dell'ammiraglia ferita, che imbarcava ormai quasi 4000 tonnellate d'acqua, dirigeva lentamente verso le basi di partenza: ormai la missione era fallita, occorreva evitare il peggio, in quelle condizioni, in mancanza del radar e di copertura aerea, con la portaerei nemica ancora presumibilmente vicina, chissà dove...
L'incrociatore Pola in una rivista prima della guerra
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19. Nuove incomprensioni favoriscono il disastro.
Perché, mio Dio, perché Iachino ordinò a quelle unità di tornare indietro? E di buttarsi inconsapevolmente tra le braccia del nemico?
Se non c'era contezza della presenza incombente della Forza A perché destinare alla protezione del Pola così tante unità? E in caso contrario perché non tenerle in stato d'allerta, coi cannoni pronti a sparare, in formazione difensiva, con le navi scorta davanti a fare da schermo protettivo?
Non lo sapremo mai, probabilmente, anche se forse in quella situazione confusa Iachino pensava che solo con l'intervento dell'intera divisione si potessero salvare gli uomini e insieme anche la nave silurata, preziosissima in un momento in cui le nostre principali unità di superficie erano state gravemente colpite a Taranto, e che magari poteva invece nonostante le apparenze essere ancora recuperata.
Non lo sapremo mai, probabilmente, anche se forse in quella situazione confusa Iachino pensava che solo con l'intervento dell'intera divisione si potessero salvare gli uomini e insieme anche la nave silurata, preziosissima in un momento in cui le nostre principali unità di superficie erano state gravemente colpite a Taranto, e che magari poteva invece nonostante le apparenze essere ancora recuperata.
Per colmo di sventura, in un primo momento si era verificata un'incomprensione tra i due comandi, favorita dalla solita procedura elaboratissima di comunicazione dei messaggi in codice tra le varie unità tra di loro e con l'ammiraglia: Cattaneo infatti prima che gli arrivasse l'ordine dal suo comandante aveva inviato allo stesso Iachino un telegramma giunto a destinazione solo alle 20,27:"Salvo ordine contrario lascerò due CT di scorta al Pola".
Siccome però nel frattempo alle 20,21 gli era arrivato l'ordine di far invertire la rotta a tutta la sua divisione Cattaneo, evidentemente pieno di dubbi sull'opportunità di inviare tutta la divisione, ne aveva chiesto ulteriore conferma con un messaggio inviato alle 20,24 ("Chiedo se posso invertire la rotta per andare a portare assistenza nave Pola"), essendosi reso conto dello spiacevole (e malefico, col senno di poi) contrattempo ("E' un guaio, i due telegrammi si sono sicuramente incrociati. Voglio dare tempo all'Amm. Iachino di riconsiderare la questione", disse al suo aiutante di bandiera, Vincenzo Raffaelli, unico sopravvissuto dello stato maggiore della 1° divisione).
A tale comunicazione, recapitatagli alle 20,56, ovviamente Iachino rispose affermativamente, forse addirittura ritenendo implicitamente il secondo messaggio come una conferma della giustezza del suo ordine delle 20,18.
Probabilmente era convinto che due caccia da soli mai sarebbero stati in grado di rimorchiare il Pola, cosa che venne invece smentita sin dal 1942, e d'altronde le circolari di Supermarina in merito confortavano questo suo modo di pensare.
Fatto sta che si era così persa però un'altra preziosissima ora di tempo nella quale le unità avevano continuato a navigare verso le coste siciliane, con la conseguenza che i caccia, le uniche nostre navi abilitate al combattimento notturno, essendo sensibilmente più veloci si erano trovati dopo la manovra a seguire, e non a precedere, come prescritto dalle regole, le navi più grandi, che andavano quindi incontro al loro Destino senza alcuna copertura.
Erano le 21,06 quando la sventurata 1° divisione di Cattaneo si mosse verso il Pola.
Siccome però nel frattempo alle 20,21 gli era arrivato l'ordine di far invertire la rotta a tutta la sua divisione Cattaneo, evidentemente pieno di dubbi sull'opportunità di inviare tutta la divisione, ne aveva chiesto ulteriore conferma con un messaggio inviato alle 20,24 ("Chiedo se posso invertire la rotta per andare a portare assistenza nave Pola"), essendosi reso conto dello spiacevole (e malefico, col senno di poi) contrattempo ("E' un guaio, i due telegrammi si sono sicuramente incrociati. Voglio dare tempo all'Amm. Iachino di riconsiderare la questione", disse al suo aiutante di bandiera, Vincenzo Raffaelli, unico sopravvissuto dello stato maggiore della 1° divisione).
A tale comunicazione, recapitatagli alle 20,56, ovviamente Iachino rispose affermativamente, forse addirittura ritenendo implicitamente il secondo messaggio come una conferma della giustezza del suo ordine delle 20,18.
Probabilmente era convinto che due caccia da soli mai sarebbero stati in grado di rimorchiare il Pola, cosa che venne invece smentita sin dal 1942, e d'altronde le circolari di Supermarina in merito confortavano questo suo modo di pensare.
Fatto sta che si era così persa però un'altra preziosissima ora di tempo nella quale le unità avevano continuato a navigare verso le coste siciliane, con la conseguenza che i caccia, le uniche nostre navi abilitate al combattimento notturno, essendo sensibilmente più veloci si erano trovati dopo la manovra a seguire, e non a precedere, come prescritto dalle regole, le navi più grandi, che andavano quindi incontro al loro Destino senza alcuna copertura.
Erano le 21,06 quando la sventurata 1° divisione di Cattaneo si mosse verso il Pola.
Un incrociatore pesante italiano, probabilmente lo Zara, sotto il fuoco nemico |
20. Ignari si va incontro alla morte.
Ma non c'era timore alcuno, nessuno in verità si aspettava la presenza di naviglio nemico in quelle acque ormai, ed ancora in quel momento Iachino e Cattaneo erano all'oscuro della presenza delle corazzate britanniche: insomma la battaglia sembrava finita, con gli Inglesi ormai lontani, anche se Supermarina sin dalle 20,05 aveva inviato un secondo messaggio alla Vittorio Veneto del seguente tenore: "Supermarina informa. Da rilevamenti radiogoniometrici risulta che unità nemica sede di Comando Complesso ore 17,45 trasmetteva con Alessandria da punto a miglia 40 per 240° da Capo Krio".
Iachino aveva apprezzato che la distanza tra le due formazioni fosse sulla base di quelle informazioni di circa 70-75 miglia verso S/E, ma in realtà la distanza era di sole 55 miglia, anzi meno perché l'ammiraglio non considerò il fattore della velocità ridotta delle sue navi, costrette a navigare a 16 nodi, con spunti massimi a 22, perché i caccia cominciavano ad avere problemi di carburante.
Un messaggio, quello di Supermarina, forse un po' troppo sottovalutato da Iachino al momento dell'ordine di lanciare la 1° divisione incontro al Pola, anche se poi, forse colto da un successivo scrupolo, aveva deciso di ritrasmetterlo alle 21,16 a Cattaneo, con la sola raccomandazione: "In caso incontro con forze superiori abbandonate Pola".
Forse, chissà, questa mancanza di paura portò anche ad una certa rilassatezza nel servizio di vedetta, acuita dalla stanchezza emotiva accumulata in un'intera giornata frenetica di battaglia, cosa assai pericolosa in una notte completamente senza luna come quella, nonché probabilmente dalla ignoranza sul grado di preparazione delle unità britanniche al combattimento notturno, cui queste si esercitavano regolarmente almeno dalla prima metà degli anni '30, laddove invece le unità italiane non solo non erano adeguatamente addestrate, ma nemmeno mentalmente predisposte (basti pensare che le nostre navi maggiori non erano munite di munizioni a vampa ridotta ed anzi per regolamento dopo il tramonto avevano l'obbligo di tenere abbassati i cannoni di maggior calibro, con le bocche da fuoco accuratamente tenute chiuse: una concezione quasi ottocentesca dello scontro sul mare...)
Una bella immagine della RN Fiume con l'equipaggio sul ponte |
Fatto sta che le ignari navi italiane, più grosse, meglio armate, più veloci, ma con gli equipaggi meno addestrati al combattimento notturno, prive di radar e senza più poter contare su quel poco di aeronautica che le aveva assistite sin lì (una richiesta di assistenza aerea da parte di Iachino era stata respinta al mittente per l'impossibilità da parte dei nostri caccia di raggiungere le navi italiane da Rodi), vagavano col solo ausilio dei radiogoniometri nel buio più completo, pressoché sorde e cieche, in una nebbiolina impenetrabile e subdola, dirigendosi sul punto segnalato dal Pola ferito a morte mentre non lontano da loro l'ormai ricompattatasi formazione nemica, con le unità di Pridham-Wippel in testa, scrutava avidamente l'orizzonte in tutti i modi possibili per scovarle e distruggerle.
Improvvisamente, alle 20,10, l'HMS Orion, che era in testa alla Forza B perché disponeva di uno spartano radar fisso capace solo di individuare bersagli di superficie entro un breve raggio di miglia in direzione della prora, individuò la traccia di una grossa sagoma a sei miglia di prua a dritta.
La RN Pola era stata individuata!
HMS Orion |
I momenti frenetici e drammatici dell'avvicinamento progressivo tra le due flotte, una delle quali totalmente inconsapevole dell'altra, sono descritti con crescente enfasi dall'autore inglese S.W.C. Pack, in quel momento ufficiale a bordo della portaerei Formidable, nel volume "Azione notturna al largo di Capo Matapan" (Mursia, Milano, 1973).
L'ammiraglio Cunningham al contrario di Iachino non riteneva affatto chiusa la partita e poiché la sua ammiraglia non disponeva del radar non aveva perso la speranza che fosse proprio l'imponente Vittorio Veneto la grossa unità colpita nell'ultimo attacco aereo e rimasta ferma, come comunicatogli in cifra intorno alle 20,40 dall'ammiraglia di Pridham-Wippel, l'HMS Ajax, che ricevuto il rilevamento radar da parte dell'Orion aveva puntato in quella direzione il suo apparato radar rotante Type 279, molto più avanzato, potente e preciso di quello a bordo del gemello, individuando la grossa massa ferma nell'acqua a poche miglia di prua a sinistra:
"Nave sconosciuta 240°, cinque miglia, apparentemente immobile. Mia posizione 35° 21' N; 21° 05'E".
Per questo motivo, nella più pura tradizione offensiva del suo grande paese, Lord Cunningham aveva ordinato alla Forza B di recarsi sul posto e finirla, disponendo al contempo che l'intera Forza A, fino a quel momento procedente in linea di fila, eseguisse una grande accostata su quella rotta a sinistra ad un tempo: una mossa molto azzardata, del tutto estranea alle indicazioni dei manuali sul combattimento notturno, perché esponeva le sue grandi unità al rischio di essere attaccate a sorpresa da eventuali caccia accorsi a difesa del gigante ferito, a maggior ragione se quel gigante fosse stata l'ammiraglia della flotta italiana.
Alle 21,15 l'HMS Ajax comunicò all'improvviso di aver rilevato alle 20,55 sul radar "tre navi non identificate, rilevamento tra 190° e 252°, distanza cinque miglia dalla posizione 35° 19' N 21° 15' E", ma a bordo del Jervis il capitano di vascello Philip Mack, che era stato posto al comando di una formazione di otto caccia privi di radar che seguivano dappresso la forza B di Pridham Wipple, quelli della 14th Flottilla già ai suoi ordini più i tre della FORZA D che Cunningham aveva fatto appositamente arrivare dal Pireo per rafforzare il suo complesso navale (Juno, Jaguar, Defender), facendo il punto sulla carta ritenne che in realtà la posizione delle navi segnalate corrispondesse più o meno a quella dei suoi stessi caccia all'ora del rilevamento, visto che era a quattro miglia di prora dal suo Jervis, e lo comunicò all'Orion.
Pridham Wippel, intercettato lo scambio di comunicazioni via radio tra le due unità, concordò con la tesi di Mack ed anzi al fine di favorire un più netto distacco tra i suoi incrociatori e i caccia di Mack ordinò alle 22,02 un'accostata per 340°, disponendoli su una rotta che riteneva fosse la più adatta a intercettare le navi avversarie che intendessero dirigere verso Messina.
Ma in effetti quei rilevamenti non corrispondevano a quelli dei caccia di Mack.
Erano proprio gli sfortunati incrociatori e i caccia di scorta della 1° divisione di Cattaneo, che proseguivano come se nulla fosse, nel buio di quella notte inframmezzata anche da qualche nuvola plumbea, verso l'appuntamento col Destino.
Nessuno aveva segnalato nulla di tutto questo a Cunningham: grande fu pertanto la sua sorpresa quando del tutto inaspettatamente dalla corazzata Valiant, l'unica sua grossa unità provvista del radar, lo stesso dell'Ajax, gli comunicarono alle 22,10 che sulla loro sinistra giaceva immobile, certo, una "unità di grandi dimensioni, di lunghezza superiore a 180 metri", ma soprattutto a non più di sei miglia di distanza da quell'oggetto davanti agli schermi si erano manifestate all'improvviso le inconfondibili tracce di una intera e forte formazione ostile in rapido avvicinamento, che alle 22,23 il caccia HMAS Stuart, che già alle 22,20 aveva segnalato una prima volta "Unità sconosciuta -250°- quattro miglia", identificò otticamente alla distanza di due miglia, su rilevamento 250°, come "due grandi navi precedute da una unità minore e seguite da tre navi più piccole" (op.cit., pag. 122).
In una posizione esattamente opposta a quella del Pola.
Erano evidentemente altre navi.
Navi italiane.
HMS Ajax
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Così, mentre gli incrociatori della Forza B si dirigevano contro le navi italiane presumibilmente in fuga verso Messina, cui si accodavano i caccia della 14th Flottilla e della Forza D che invece si spingevano più a nord contro gli incrociatori leggeri dell'8° divisione dell'ammiraglio Legnani, scambiati erroneamente dalla ricognizione aerea britannica per due corazzate classe Conte di Cavour, cui dall'alto potevano vagamente rassomigliare, sul posto individuato dai radar vennero fatte convergere, nel più totale silenzio radio, le punte di lancia della Forza A, cioè la stessa Valiant e le sue gemelle Warspite e Barham, a tutta forza, nel silenzio della notte, con i cannoni già pronti a far fuoco.
21. I quattro minuti di Matapan.
Fu così che si andò incontro al disastro, una vera e propria esecuzione. A bordo del Pola da vari minuti c'era parecchia agitazione, perché nel buio erano state notate in precedenza varie sagome in movimento davanti a loro, che erano state scambiate per quelle delle unità di Cattaneo che stavano giungendo in loro soccorso: si trattava invece proprio della Forza B di Pridham-Wippel, seguita a distanza dai caccia di Mack, che sfilavano verso nord in silenzio, limitandosi a segnalare alla Forza A la nuova posizione del relitto del Pola.
Alle 22,20 la Valiant effettuò un nuovo rilevamento del Pola: "Nave ferma - Rilevamento 191°- Distanza 4 -1/2 miglia".
Ad un certo punto il comandante De Pisa fece esplodere due luminosissimi razzi di segnalazione Very, che per pochi secondi illuminarono a giorno tutto quel tratto di mare.
Subito dopo lo Zara rispose da par suo con un altro bengala.
Lo spettacolo che si palesò davanti agli occhi dei marinai del Pola dovette essere qualcosa di assurdamente terrificante: due formazioni di navi nemiche che si trovavano faccia a faccia a tre chilometri al massimo di distanza l'una dall'altra!
Si era al largo di Capo Matapan, l'estrema punta meridionale del Peloponneso, là dove il golfo di Messenia a ovest si separa da quello di Laconia a est.
Tutto finiva lì.
Lì era l'appuntamento fissato col Destino di tanti ragazzi italiani imbarcati nelle nostre navi più belle...
Sarebbe bastato un ritardo di pochi minuti di tempo da parte delle navi di Cattaneo, avrebbe commentato in seguito lo stesso Iachino, perché i britannici non le vedessero e cominciassero invece a sparare contro il solo Pola, consentendo così alla 1° divisione di sfuggire alla strage o addirittura di organizzare per tempo un letale contrattacco coi siluri dei suoi caccia...
Ma il Destino aveva stabilito diversamente.
La Barham individuò nettamente il barlume rosso dei razzi di segnalazione: il Pola era assai vicino, fermo, esattamente nella giusta direzione delle sue batterie da 381, col campo di tiro sgombro. La corazzata inglese si apprestava a fare fuoco...
Ma dalla plancia della Warspite il nuovo capo di stato maggiore. Commodoro J.H.Edelsten, e l'aiutante di campo dell'Ammiraglio Cunningham, il Capitano di fregata Power, nel buio pesto della notte individuarono coi binocoli sulla destra le sagome dello Zara e del Fiume che procedevano senza alcun sospetto in direzione opposta, indicandole al comandante, che guardava dall'altra parte, oltre a una terza nave in realtà del tutto inesistente.
Ricorda ancora incredulo S.W.C.Pack nel suo libro sopra citato: nonostante quelle navi "risultassero nettamente visibili attraverso le lenti dei binocoli notturni, era evidente, per quanto incredibile, che esse non sospettassero affatto la presenza della squadra inglese"...
Mentre la portaerei Formidable veniva fatta sfilare via di 90° sulla dritta per evitare che venisse a trovarsi in una mischia furibonda da cui aveva solo da perdere, Cunningham col radiosegnalatore diede ordine alle tre corazzate in formazione, con la Bahram davanti, la Valiant al centro e la Warspite in fondo, di accostare di nuovo di 40° a dritta a un tempo, così da rimettersi esattamente sulla linea precedente e trovarsi perfettamente allineate all'ignara formazione nemica che proseguiva nel buio della notte in direzione del Pola fermo.
In tal modo però la Barham venne completamente a perdere il contatto balistico con il Pola ed a trovarsi esattamente dal lato opposto dove si trovava prima.
Come vedremo, questo è un punto di fondamentale importanza: contrariamente a quanto si sarebbe detto per anni, la Barham aveva seguito esattamente il movimento tattico delle sue compagne, per cui da una posizione in cui si era scoperta ad avere il Pola nel mirino si era improvvisamente ritrovata in un'altra del tutto diversa.
Le tre corazzate ora erano tutte e tre una di fianco all'altra, a 600 metri di distanza l'una dall'altra, perfettamente allineate di fronte ai tre incrociatori italiani, il Pola fermo e il Fiume e lo Zara che stavano arrivando a soccorrerlo...
Ventiquattro cannoni da 381 si preparavano a sparare.
Il tiro a segno di Matapan |
Ci fu un attimo di sbandamento, nel corso di quelle manovre il caccia Griffin del capitano di corvetta C.C.J. Lee-Barder venne a trovarsi per un momento sulla linea di tiro dei cannoni delle tre navi di battaglia, tanto che dalla Warspite gli intimarono con poca grazia:"Togliti dai piedi, dannato!!!"
Appena tornato il buio fitto della notte dopo lo spegnimento dei razzi di segnalazione del Pola fu per primo il caccia HMS Greyhound della 10th Flottilla, al comando del capitano di fregata W.R. Marshall A-Deane, ad illuminare coi suoi potentissimi proiettori l'incrociatore Zara, seguito da quelli di tutte le altre unità britanniche che pian piano sopraggiungevano e che illuminarono, ognuna con un proiettore grande ed uno più piccolo, la scena che si parava davanti a loro: le unità italiane contarono non meno di sette fotoelettriche, subito seguite dal tiro illuminante delle grosse navi da battaglia britanniche.
In soli tre, quattro minuti intorno alle 22,27 del 28 marzo, l'ignara 1° divisione di Cattaneo sarebbe stata improvvisamente investita e messa fuori combattimento da un terrificante uragano di fuoco proveniente a bruciapelo, da circa 2700 metri, dalle potenti corazzate avversarie e praticamente ridotta in briciole.
Le tre corazzate Valiant (in primo piano), Barham e Warspite aprono il fuoco coi loro cannoni da 381
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Gli incrociatori Zara e Fiume per primi e subito dopo i due cacciatorpediniere Alfieri, caposquadriglia, e Carducci, che seguiva in terza posizione, s'inabissarono in poche ore, presi d'infilata totalmente indifesi ed a distanza ravvicinata dalle implacabili salve da 381, che ne fecero strame mentre l'intera notte veniva trasformata in giorno dalle traiettorie degli illuminanti.
Su quelle tragiche acque non si svolgeva una normale battaglia, no, ma un'autentica esecuzione capitale, un osceno tirassegno di morte, che avveniva tra le urla d'orrore e dolore dei marinai del Pola, fermo, inerme, quasi patetico spettatore dell'immane tragedia.
Ricorda nel suo libro di memorie "Odissea di un marinaio" (Ed. Garzanti, 1952)
l'ammiraglio Cunningham: "Per radiosegnalatore diedi ordine alla flotta di battaglia di accostare e di assumere formazione in linea di fila. Insieme con Edelsten e con lo stato maggiore ero salito in plancia comando, che era di sopra, donde potevo vedere bene tutt'intorno. Non dimenticherò mai quei pochi minuti che seguirono.
In un silenzio di morte, un silenzio che poteva venire udito, si potevano sentire le voci del personale addetto alla direzione del tiro che andava in punteria con i pezzi sul nuovo bersaglio. Si sentivano ripetere gli ordini della stazione nella direzione del tiro, dietro e sopra la plancia. Guardando verso prora si vedevano le torri brandeggiare per andare in punteria finché i cannoni da 381 furono rivolti sugli incrociatori nemici.
In tutta la mia vita non avevo mai provato un'emozione simile: un brivido mi pervase quando udii una calma voce della direzione del tiro "Bersaglio inquadrato dall'A.P.G." (apparecchio di punteria generale, nota dell'autore), segno sicuro che i pezzi erano pronti e che il dito era impaziente di premere il pulsante.
Il nemico si trovava a una distanza di non più di 3500 metri: proprio a bruciapelo.
Dev'essere stato il caposervizio di artiglieria della flotta, il capitano di fregata Geoffrey Barnard, che diede l'ordine decisivo di aprire il fuoco. Si sentì il ronzio dei fonici. Poi uscì la grande vampa arancione e un tremendo scuotimento quando tutti i cannoni tuonarono simultaneamente. Nel medesimo istante il cacciatorpediniere Greyhound , che era di scorta, accese il suo proiettore puntato su uno degli incrociatori nemici e per un momento apparve la sagoma turchino-argento sullo sfondo delle tenebre. I nostri proiettori si accesero con la prima salva e illuminarono in pieno uno spettacolo fantastico. Nel raggio di luce vidi i sei nostri grossi proietti che percorrevano la traiettoria. Cinque su sei colpirono a qualche palmo sotto il ponte di coperta e detonarono scoppiando con bagliori fiammeggianti. Gli Italiani erano stati colti di sorpresa: i loro cannoni erano per chiglia (posizione di riposo dei cannoni disposti secondo l'asse longitudinale della nave, lungo la poppa se poppieri, lungo la prora se prodieri, tradizionale simbolo di non aggressione: nota mia). Furono colpiti a morte prima di aver potuto tentare qualsiasi difesa. Un episodio più umano si intercalò a questo punto nel tragico frangente. Il comandante della Warspite, capitano di vascello Douglas Fisher, era un distinto specialista di artiglieria e quando vide la prima salva colpire il bersaglio esclamò con voce di stupefatta meraviglia: "Santo Cielo! L'abbiamo colpito!!!" La Valiant, che era di poppa a noi, aveva aperto il fuoco nello stesso tempo. Anch'essa aveva trovato il proprio bersaglio e, quando la Warspite ingaggiò le artiglierie sull'altro incrociatore, osservai sempre la Valiant che squarciava il suo avversario. La sua velocità di tiro mi impressionò. Non avrei mai creduto che fosse possibile una cadenza tanto serrata con quei grossi cannoni. La Formidable era uscita di formazione sulla dritta, ma di poppa alla Valiant navigava la Barham, anch'essa seriamente impegnata.
Indescrivibile era lo stato degli incrociatori italiani.
Si vedevano intere torri di artiglieria e masse di altri pesanti frammenti turbinare e piombare in mare e in pochi minuti le navi stesse furono ridotte a torce fiammeggianti, con incendi che le divoravano da prora a poppa.
Tutta l'azione era durata qualche minuto."
In un commento successivo, il vecchio Lord del mare avrebbe specificato che "il Fiume ricevette due fiancate da 381 dalla Warspite ed una dalla Valiant; lo Zara quattro fiancate dalla Warspite, cinque dalla Valiant e cinque dalla Barham. L'effetto di quelle salve, ciascuna delle quali di sei od otto proietti del peso singolo di quasi una tonnellata, non si può descrivere".
Non si capirà mai al cento per cento se ad essere colpito per primo sia stato lo Zara o il Fiume, praticamente vennero colpiti in contemporanea, anche se fu quest'ultimo sicuramente ad affondare per primo, in un quarto d'ora o poco più.
In effetti la cosa ha un'importanza quasi solo cronachistica, visto che alla fin fine, a parte i primissimi colpi, nello spazio di pochi minuti, si può dire di pochi secondi, entrambe le navi vennero investite da un uragano di fuoco così potente, concentrato, preciso, serrato e letale da rendere decisamente ininfluente la questione.
Tutte le salve delle possenti navi da battaglia inglesi andarono praticamente puntualmente a segno, ad intervalli regolari di 30 secondi l'una dall'altra, sopra e sotto la coperta, sulle torri, su ogni singola parte dei due incrociatori italiani posta lungo tutta la loro intera lunghezza, perfettamente visibile alla luce dei riflettori avversari: a meno di 3000 metri su rilevamento 232° (il Fiume) e su quello 186° (lo Zara), con le tre corazzate ad alternarsi prima sull'uno, poi sull'altro dei due obiettivi, ormai talmente sbandati e fuori asse da essere persino risparmiati da qualche colpo, altrimenti inevitabilmente destinato ad andare a segno.
La battaglia di Capo Matapan, Rowland Langmaid, olio su tela, 46,1 x 92,3 cm (National Maritime Museum, Londra) |
Il Fiume venne subito colpito in maniera irreparabile dalla Valiant e dalla Warspite, sembra un totale di 24 colpi da 381, con la torre n.3 letteralmente spazzata via, sbandò immediatamente sul lato di dritta, s'incendiò e si capovolse in una quindicina di minuti, trascinando con sé quasi tutto il suo equipaggio, senza riuscire a sparare un solo colpo: mentre affondava, fu udita dai pochi sopravvissuti una fortissima esplosione interna, probabilmente un deposito munizioni saltato in aria, che con ogni probabilità uccise tutti coloro che ancora erano vivi all'interno della struttura d'acciaio ormai condannata.
L'incrociatore pesante Fiume
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Lo Zara, invece, devastato da due salve da 381 della Barham, ricevute l'una a distanza di un minuto dall'altra sempre da meno di 3000 metri, e da sette da 152, ebbe fuori combattimento in pochi secondi le due torri di prora e l'obice illuminante di sinistra, nonché le colonnine per il tiro notturno e tutti gli armamenti dei complessi da 100/47 di sinistra (impianti 2 e 4), i cui serventi erano stati tutti uccisi o feriti dalla prima salva mortale. Oltre a questo, si bloccò la macchina di sinistra e venne a mancare del tutto la corrente elettrica, mentre una delle due torri prodiere, scagliata in alto dalla violenza dell'esplosione, precipitava in acqua causando un altissimo spruzzo per poi inabissarsi velocemente.
L'incrociatore pesante Zara in una rara foto a colori scattata prima della guerra
da un fotografo della rivista americana LIFE |
Cionondimeno, da bordo dell'unità italiana che tentava disperatamente di accostare a dritta, ormai mortalmente ferita, tra il fuoco altissimo, il fumo, le urla disperate dei feriti e l'osceno clangore delle lamiere che si contorcevano per il calore sprigionato dagli scoppi che ormai come un'epidemia si diffondevano lungo tutta la struttura d'acciaio si riuscì a far partire nel buio un'isolata, lunga scarica dalla mitragliera binata Breda da 37/54 mm della sezione a poppa sul lato di sinistra, contro l'unico obiettivo razionalmente individuabile in quel tragico momento, cioè i due proiettori della Barham che fino a pochi secondi prima avevano illuminato lo sfortunato incrociatore.
Una mitragliera binata Breda da 37/54 come quella che sparò da bordo dello Zara |
22. Il mistero della mitragliera Breda e della Barham.
Alcuni dei superstiti dell'unità avrebbero poi riferito di quest'estemporanea scarica di mitragliera alla commissione italiana d'inchiesta che indagò come prassi sulla perdita della nave ("Una sola mitragliera da 37 aveva risposto al fuoco nemico"), ma l'organismo ministeriale si limitò solo ad accennarne nelle sue conclusioni finali, senza ulteriori commenti ("Sullo Zara non mancò il tiro isolato di una mitragliera in mezzo all'incendio e alle devastazioni prodotte immediatamente dalle salve dei cannoni da 381").
Infatti, contrariamente a quanto la memorialistica inglese ha sempre sostenuto per decenni, affermando invece che solo in un secondo tempo la corazzata britannica avesse cominciato a sparare, essendosi sfilata in principio per dedicarsi al Pola, la Barham con le sue poderose artiglierie era intervenuta sin dall'inizio nella battaglia, contro appunto lo Zara, mentre le altre due gemelle si erano accanite contro il Fiume: una verità resa nota sin dal '44 dal comandante George Stitt nel suo libro "Under Cunningham's command 1940-43" (George Alen and Unwin, 1945), inedito in Italia, rimasta per anni silenziata ma confermata in qualche modo sia dallo stesso Cunningham nelle sue memorie, come abbiamo visto, sia, e in ben due occasioni, l'ultima poco più di un anno fa, da un testimone eccellente, nientepopodimeno che dal Principe Filippo Mountbatten d'Edimburgo in persona, che come già detto era in servizio come guardiamarina addetto proprio ai proiettori sulla Valiant.
Il novantenne Principe Filippo d'Edimburgo ora, con la moglie, la Regina Elisabetta II di Inghilterra |
In una prefazione scritta per il libro "Dark seas: the Battle of Cape Matapan", facente parte di una collana di volumi sulle battaglie inglesi nella seconda guerra mondiale pubblicati da University of Plymouth Press, infatti, Filippo di Edimburgo, riporto dal sito del Daily Mail (per l'articolo integrale in lingua inglese con l'intervista del Principe Filippo, del 12.04.2012, vedi QUI) descrive così la tragica scena del tiro a segno di Matapan: "Mi sembra di ricordare che riferii di avere avvistato un bersaglio, così venne ordinato di "aprire l'otturatore" ("OPEN SHUTTER"). Il fascio di luce illuminò un incrociatore fermo, ma gli eravamo così vicini che veniva illuminata solo metà nave. A questo punto si scatenò l'inferno, non appena tutti i nostri cannoni da 15 pollici (381 mm, nota mia), più quelli della nave ammiraglia e quelli della Barham aprirono il fuoco su quell'incrociatore fermo, che sparì in un'esplosione in mezzo a una nuvola di fumo. Fu ordinato di "lasciare l'obiettivo" ("TRAIN LEFT", lett. "Lasciare il treno") e di illuminare un altro incrociatore italiano, cui fu riservato il medesimo trattamento".
Anche per Filippo d'Edimburgo, che per il suo comportamento in quest'azione avrebbe ricevuto tempo dopo la Croce al Valore di guerra della Grecia, quindi, la Barham aveva aperto il fuoco contemporaneamente alle altre due corazzate gemelle, e non dopo di loro.
Ancora Filippo d'Edimburgo all'epoca, in uniforme |
Quello della mitragliera Breda fu un tiro cosiddetto "a manichetta", cioè indirizzato a occhio in direzione dei proiettori della Barham, individuati grazie alle codette lasciate nel loro percorso di morte dai traccianti inglesi: al massimo poterono essere 92 raffiche da 6 colpi, tanti erano i caricatori presenti nella riservetta per il fuoco immediato adiacente all'impianto, tuttavia con ogni probabilità, come si sarebbe saputo solo dopo moltissimo tempo da quei fatti, ebbero un effetto devastante sull'area presa di mira, quella tra i due proiettori, sul torrione dove operava il numeroso personale addetto alla direzione del tiro, alle comunicazioni, alla condotta nautica sparso tra il ponte di comando, la sala carteggio, la bussola, la stazione segnali e il suo riposto: tutti locali assolutamente esposti al fuoco nemico perché, al contrario di quanto accaduto con le sue due gemelle che erano state appena ammodernate, la Barham non disponeva in quella zona di alcuna protezione antischegge nemmeno parziale.
A conferma di ciò le tante testimonianze secondo cui in effetti a partire da un certo momento la Barham fosse costretta ad usare solo proiettili illuminanti per individuare i suoi obiettivi, pena l'impossibilità di sparare per non rischiare di colpire le stesse navi britanniche.
Che la reazione fosse stata immediata e mortalmente efficiente si poté notare dal fatto che, come riferisce ancora Stitt, sia pure senza dirne il motivo, la corazzata inglese, evidentemente sorpresa da quel tiro fortunato che l'aveva in quel momento resa praticamente sorda, muta e cieca, fu costretta a defilarsi a dritta (tanto che alla fine avrebbe sparato solo la metà dei colpi delle sue compagne) e a lasciare il suo posto alla Valiant, che purtroppo aveva già inquadrato nel mirino del suoi 381 lo Zara per la sua seconda salva e alle 22,31 fece fuoco, completando la sua opera distruttiva e costringendo così il comandante Corsi ad ordinare l'abbandono nave.
Il resoconto ufficiale inglese parla di un totale di proietti da 381 subito dallo sventurato incrociatore compreso in un numero tra gli 84 e i 102 (!!!)
Lo sfilamento della Barham negli anni non sarebbe mai stato convincentemente spiegato dalla marina britannica, che prima avrebbe fatto trasparire con un servizio della "London Gazette" del 1947 un inedito e incredibile problema ai proiettori dovuto ai danni arrecati dalle proprie vampe (!), poi avrebbe sempre da lì in avanti sostenuto la presenza di un altro incrociatore italiano non ben identificato da 5000 tonnellate davanti allo Zara che avrebbe sparato in direzione della corazzata col suo armamento secondario da 100/47, costringendola al ripiegamento (Mediterranean War Diary, ADM 199/414).
Il cacciatorpediniere Carducci |
Subito dopo questo brevissimo scontro, durato non più di tre o quattro minuti, la Warspite lanciò l'allarme perché gli altri caccia della divisione stavano sopravvenendo, e tanta era la sorpresa per quell'imprevista reazione che sparò due colpi da 152 contro l'assai simile caccia britannico Havock del capitano di vascello G.R.G. Watkins, trovatosi in mezzo a quella mischia furibonda senza aver tenuti accesi i previsti segnali distintivi, ma per fortuna di quest'ultimo i proietti passarono sopra lo scafo.
I caccia Alfieri, Gioberti e Oriani in navigazione, in mezzo alle cortine fumogene |
In realtà i caccia italiani della IX squadriglia di Cattaneo non avevano scampo: solo due di essi, il Gioberti, illeso, e l'Oriani, gravemente colpito da un proietto da 152 della Barham e con 3 vittime a bordo, riuscirono a svicolare nel buio tra le navi nemiche azionando le cortine di nebbia artificiale, mentre il Carducci, che invano aveva preso a manovrare cercando di coprire con cortine di fumo gli incrociatori sotto attacco, venne colpito gravemente dalla Valiant alle 22,31, subito dopo che questa aveva chiuso i conti con lo Zara, per essere poi definitivamente affondato, dopo un penoso inseguimento a colpi di cannone e siluro, dal caccia HMS Havock, trovatosi quasi faccia a faccia a meno di 150 metri da lui, che ritenne di averlo colpito con un siluro alle 23,15, per poi vederlo lentamente andare a picco e poi saltare in aria e inabissarsi solo quindici minuti dopo.
HMS Havock |
Il caccia Alfieri, prima di affondare, riuscì invece, lui sì, a sparare qualche colpo, in quella che fino ad oggi per anni si è sempre sostenuto essere l'unica reazione da parte della squadra italiana macellata a Matapan: il comandante del caccia, infatti, capitano di vascello Salvatore Toscano, vistosi sotto l'attacco diretto dei caccia avversari a non più di mezzo chilometro, nell'accendere il segnale di mischia aveva detto "Andiamo a fondo ma combattiamo sino all'ultimo!"
Il caccia Vittorio Alfieri in navigazione |
Un'altra immagine tratta da LIFE Magazine del 14 aprile del 1941 sulla battaglia di Matapan (pagg. 34-36)
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Una reazione rabbiosa e piena di coraggio, ma visibilmente inutile, che tuttavia indusse Cunningham a far spegnere alle 22,32 i proiettori, a ritirare le sue corazzate facendole accostare in fuori di 90° per timore di un contrattacco coi siluri ed a far avanzare solo i caccia per finire il lavoro, ordinando anche a tutte le sue unità non impegnate nell'affondamento in corso di ripiegare su rotta N/E.
HMAS Stuart
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Il tenente Italo Bimbi sopravvisse alla tragedia e con lui altri suoi cinque compagni, tra cui il cannoniere, Rocco Rizzi, matr. 31530, che fu premiato con la medaglia di bronzo al Valor militare, così come sopravvisse pure Sansonetti, che alla fine nel suo rapporto disse di credere di "essersi trovato intorno non più di due o tre persone valide", nemmeno fu in grado di dirlo con sicurezza.
Il capitano Toscano rifiutò di abbandonare la sua nave morente e si inabissò con essa, insieme con i suoi marinai, intorno alla mezzanotte, con la classica sigaretta in bocca richiesta ai suoi ufficiali che lo scongiuravano di salire sulla zattera di salvataggio: fu decorato con la medaglia d'oro alla memoria.
La medesima decorazione che ricevette il capitano del genio navale Giorgio Modugno, che con mille sforzi si era prodigato invano, insieme col suo comandante, a tenere in vita la nave e nonostante fosse scampato, pur ferito, all'affondamento e avesse raggiunto a nuoto una scialuppa di naufraghi preferì dare la precedenza ai feriti intorno a lui, incoraggiandoli con l'esempio e con la parola, per poi, stremato, scomparire tra i flutti.
Solo 35 marinai dell'Alfieri si sarebbero salvati, 23 dei quali fatti prigionieri dagli Inglesi.
Altri sei membri dell'equipaggio dell'Alfieri avrebbero ricevuto medaglie d'argento e di bronzo al Valor militare (tenente del G.N. Salvatore Ferraro, tenente di vascello Pietro Zancardi, ufficiale in seconda, tenente medico Andrea Arone, alla memoria, capo radio telegrafista Giovanni Costamagna, sottocapo silurista Arturo Martinotto, cannoniere Arturo Penitenti, alla memoria, nocchiere di 2° classe Augusto Simonelli, alla memoria).
La medesima decorazione che ricevette il capitano del genio navale Giorgio Modugno, che con mille sforzi si era prodigato invano, insieme col suo comandante, a tenere in vita la nave e nonostante fosse scampato, pur ferito, all'affondamento e avesse raggiunto a nuoto una scialuppa di naufraghi preferì dare la precedenza ai feriti intorno a lui, incoraggiandoli con l'esempio e con la parola, per poi, stremato, scomparire tra i flutti.
Solo 35 marinai dell'Alfieri si sarebbero salvati, 23 dei quali fatti prigionieri dagli Inglesi.
Altri sei membri dell'equipaggio dell'Alfieri avrebbero ricevuto medaglie d'argento e di bronzo al Valor militare (tenente del G.N. Salvatore Ferraro, tenente di vascello Pietro Zancardi, ufficiale in seconda, tenente medico Andrea Arone, alla memoria, capo radio telegrafista Giovanni Costamagna, sottocapo silurista Arturo Martinotto, cannoniere Arturo Penitenti, alla memoria, nocchiere di 2° classe Augusto Simonelli, alla memoria).
Cap. di vascello Salvatore Toscano
comandante dell'Alfieri,
Medaglia d'oro alla memoria
(Imola, 5/7/1897 - Capo Matapan, 29/3/1941) |
Tenente di vascello Pietro Zancardi comandante in seconda dell'Alfieri, Medaglia d'argento al Valor militare (Olcenengo, VC, 27/6/1912- 27/1/2007) |
Cap. del G.N. Giorgio Modugno
(RN Alfieri)
Medaglia d'oro alla memoria
(Genova, 30/4/1911- Capo Matapan, 28/3/1941) |
Mentre il Griffin e il Greyhound si lanciavano all'inseguimento dei due sopravvissuti caccia della IX squadriglia, il Gioberti incolume e l'Oriani gravemente danneggiato, che erano stati visti accostare verso ponente, lo Stuart e l'Havock si occupavano di finire le navi moribonde, il primo solo a cannonate perché aveva finito i siluri.
L'Havock, che aveva ancora quattro siluri, li lanciò tutti alle 23,30 contro lo Zara, fallendo l'obiettivo, poi gli sparò contro un illuminante seguito da due altre salve di artiglieria che, col bagliore, rivelarono la presenza alle 23,45 di un'altra grossa massa ferma accanto allo Zara, in direzione N/E.
Era il Pola.
Ma il caccia, incredibilmente, dopo averlo colpito con due salve del pezzo da 120, una sottocoperta e l'altra a poppa, nei pressi dell'alloggio del comandante in seconda, causando incendi che l'equipaggio della nave italiana non sarebbe più riuscito a spegnere, credette di riconoscervi invece l'imponente sagoma di una corazzata classe Littorio, comunicando la notizia alla Warspite alle 0,20 del 29 marzo: un errore causato probabilmente dalla mancata accensione del proiettore, ma un errore decisivo che salvò probabilmente la Vittorio Veneto e rese invece meno pieno il successo britannico.
Cunningham, infatti, a questo punto ritenne di dovere cambiare le sue priorità e che fosse pertanto assolutamente primario eliminare la corazzata (che a questo punto non poteva che essere la Vittorio Veneto) piuttosto che inseguire obiettivi meno appaganti, per cui ordinò che sia i caccia di Mack e gli incrociatori della Forza B, impegnati nell'inutile inseguimento alle altre unità italiane maggiori in fuga, sia il Griffin ed il Greyhound, che avevano ormai perso contatto con il Gioberti e l'Oriani, visti sfuggire verso sud intorno alle 23,20 coperti da nuvole di fumo, ritornassero nelle acque dello scontro.
Solo un'ora dopo il primo messaggio errato l'Havock comunicò alla Warspite che in realtà la presunta corazzata tipo Littorio era un più modesto incrociatore, anche se sbagliò ancora, stavolta per difetto, in quanto riferì erroneamente di un incrociatore leggero invece che di uno pesante, armato perciò di pezzi da 152 e non da 203 mm.
Ormai nessuno avrebbe più potuto riprendere le navi italiane superstiti in fuga, quindi tanto valeva chiudere i conti del tutto.
Sul punto del Pola conversero tutti i caccia.
E gli si parò davanti una scena stranissima.
Il Pola era fermo e buio, ma stabile, galleggiava ancora, aveva i pezzi apparentemente a posto, la bandiera garriva al vento...Attorno a lui però tantissimi uomini erano in acqua, ma molti altri erano ancora sulla nave, inebetiti, in preda al caos, apparentemente pronti ad arrendersi...
Dopo un breve consulto con le varie unità, il comandante Mack, che aveva il comando dell'intera piccola squadra inglese, prese la decisione di prendere direttamente a bordo i superstiti senza ammainare alcuna imbarcazione, per poi procedere lui personalmente con l'affondamento della nave, così come aveva fatto pochi minuti prima nei confronti del vicino Zara ormai morente, contro cui il suo Jervis aveva lanciato quattro siluri, due dei quali giunti a segno, provocando un'ultima esplosione interna che avrebbe portato al suo definitivo inabissamento quasi alle 3 di quella notte.
I caccia Jervis e Nubian, pertanto, dopo aver tratto in salvo gran parte dell'equipaggio, un totale di 202 marinai, 26 sottufficiali e 22 ufficiali, tra cui il comandante Manlio De Pisa, alle 3,55 del giorno 29 lanciarono un siluro a testa contro la RN Pola.
Ancora Giuseppe Anzevino, citato ne "La guerra dei radar: il suicidio dell'Italia: 1935/1943" di Piero Baroni (Greco & Greco Editori) ricorda però polemicamente che al momento dell'attacco ai danni della 1° divisione di Cattaneo il comandante De Pisa, ordinata l'adunata di bordo, disse agli altoparlanti della nave: "Siamo in pericolo. Chi vuol morire da eroe resti a bordo. Chi vuol rivedere la propria famiglia tenti la via del mare", scatenando a bordo, dov'erano presenti pare ben 400 reclute sui circa 850 imbarcati, un'autentica ondata di panico.
Un'affermazione, quella del comandante, che vista così nella sua crudezza è sicuramente da condannare, perché lo scafo non aveva avuto compromessa la sua galleggiabilità, le caldaie pian piano stavano ritornando in funzione e anche i cannoni sembra fossero ritornati almeno parzialmente in grado di funzionare, come attesta il fatto che essi furono brandeggiati dal traverso verso prua e poppa, cioè per chiglia, al fine di permettere ad un cacciatorpediniere di affiancarsi alla nave: si può ipotizzare comunque che il comandante fosse ammalato e/o sotto esaurimento nervoso, perché non mancano varie testimonianze sulla sua indecisione in quei momenti di caos, con ordini contrastanti spesso dati a pochi minuti l'uno dall'altro, prima di abbandonare la nave, poi di recarsi ai posti di combattimento, nonostante avesse comandato in precedenza di allagare i depositi munizioni e buttare a mare le munizioni pronte all'uso con la motivazione di voler impedire nuove esplosioni.
La stessa relazione britannica al riguardo (id. ADM 223/511, classificato come segreto, citato da Francesco Mattesini nel suo libro "L'operazione Gaudo e lo scontro notturno di Capo Matapan", al n. 159 di pag. 699, Ufficio Storico della Marina Militare, 1998), scritta in maniera invero un po' sgrammaticata, a quanto pare, da un tale capitano di corvetta S. O. (L.), riferisce che, al momento del suo trasbordo sul caccia inglese Jervis, De Pisa si togliesse le insegne del suo grado perché, avrebbe spiegato, "esse non erano altro che la manifestazione visibile di un'autorità che, affondata la sua nave, non aveva più alcun significato...": era evidentemente una considerazione assurda, frutto di evidente confusione mentale, perché la perdita della nave certo non implicava la fine delle responsabilità di comando in capo al capitano di vascello De Pisa, anche in prigionia, ma in effetti l'uomo era da ormai troppo tempo sul mare e risulta che dopo quella missione fosse destinato ad un incarico a terra, il che vuol dire che probabilmente i suoi stessi superiori si erano resi conto del suo grave disagio psicofisico.
I resoconti inglesi sul morale e la disciplina degli ufficiali del Pola d'altronde sono piuttosto impietosi (v. QUI): se il nuovissimo comandante in seconda Silvano Brengola, solo da un mese imbarcato sul Pola, veniva ritenuto un ottimo ufficiale, pessime impressioni suscitarono invece il direttore di macchina, al suo primo incarico ("Non sembra avere autocontrollo di sé stesso e neppure di avere padronanza del proprio reparto", tradotto dall'originale inglese "He does not appear to have retained any self-possession or command of his department"), e lo stesso P.M.O. (forse l'ufficiale medico), anche lui un novellino, imbarcato da soli quattro giorni, che preferì abbandonare la nave alla prima occasione utile ("earliest opportunity possible"), lasciando al suo ufficiale in seconda, che invece adempì pienamente al suo dovere fino al momento dell'imbarco sul Jervis, il compito di occuparsi di feriti e ammalati.
Ad ulteriore conferma dei (pre)giudizi negativi inglesi su tutto l'equipaggio del Pola, in questa circostanza si notò da parte britannica come molti marinai fossero stati trovati in stato d'ubriachezza: ma in realtà questo era dovuto al fatto che, sia al momento dell'esplosione del siluro lanciato dall'aereo del sottotenente Williams sia nelle fasi confuse e tragiche dell'attacco successivo alle navi accorse in loro soccorso, molti marinai si erano buttati in acqua ("Non serviva esercitarsi per l'abbandono nave, "tanto le nostre navi non affonderanno mai", dicevano...", cit.), per cui, una volta riportati a bordo dai loro compagni, essendo molto intirizziti a causa dei vestiti imbevuti dall'acqua gelida della notte, in mancanza di altri rimedi gli si era fatto bere molto liquore per farli riscaldare.
Non si può comunque non rilevare come sin dalla sua partenza la sorte del Pola apparisse quasi segnata, con un comandante stanco ed esaurito destinato ad un incarico di terra, i suoi principali collaboratori tutti novellini o comunque al loro primo incarico su quella grossa nave, un equipaggio composto quasi per la metà da reclute poco e/o male addestrate...
Il recupero dei naufraghi da parte della nave ospedale Gradisca, l'ex piroscafo olandese requisito Gelria |
Probabilmente c'erano diversi marinai ancora vivi, nel ventre della nave, condannati ad una morte orribile, quando alle 4,03 anche il Pola si inabissò.
Tutto si era compiuto ormai.
Il messaggio inviato a Cattaneo dall'ammiraglio Iachino, che verso poppa a poco più di quaranta miglia di distanza aveva assistito impotente all'impari scontro ("Dite se siete attaccati"), sarebbe rimasto sempre senza riposta.
25. La triste conta dei morti e dei vivi.
Nel luogo del massacro 139 superstiti sarebbero stati recuperati dai caccia greci, mentre i Britannici riuscirono a recuperare vivi 1023 naufraghi, prima di interrompere le ricerche a causa di un attacco aereo tedesco, giunto puntualmente in ritardo alle 11,00 di mattina del 29 marzo (anche questo episodio è ricordato nella citata prefazione firmata da Filippo di Edimburgo).
Cunningham ebbe tuttavia la sensibilità di inviare al Capo di Stato Maggiore italiano Riccardi un radiomessaggio in chiaro con le coordinate del posto (35° 30' N, 20° 50' E) invitandolo ad inviare una nave ospedale.
Nel ringraziarlo, Riccardi lo informò di aver già dato disposizioni in tal senso, ma quando la Gradisca, l'ex piroscafo olandese requisito Gelria, che al momento della chiamata stava sbarcando a Taranto 704 soldati feriti e malati trasportati da Valona in Albania, riuscì finalmente ad arrivare sul luogo, verso le 0,30 di notte del 31 marzo, trovò solo tra i relitti e le chiazze di nafta un tappeto uniforme di cadaveri tenuti a galla dai rispettivi giubbotti rossi di salvataggio, in un mare agitato e sferzato da un vento teso da sud ovest; poté così trarre in salvo e riportare a casa da quel momento fino alla fine delle ricerche solo 161 superstiti: 106 erano marinai dell'incrociatore Fiume, ce n'erano 8 dello Zara, ritrovati anch'essi con i loro compagni di sventura sui battelli di salvataggio dell'incrociatore gemello, 12 del caccia Alfieri e 35 del Carducci, tra cui il comandante, il coraggioso capitano di fregata Alberto Ginocchio, che invano aveva tentato usando anche i nebbiogeni di frapporre la sua unità tra gli incrociatori sotto attacco e l'implacabile fuoco nemico e sarebbe stato per questo premiato con la Medaglia d'argento al Valor militare, che avrebbe aggiunto a quelle già ottenute nella sua eccellente precedente carriera di sommergibilista.
Il 3 aprile, tra le 12,38 e le 14,06, con le condizioni del mare in netto miglioramento che consentivano anche la messa in acqua delle motolance di soccorso per allargare l'area della ricerca, venivano recuperati gli ultimi sopravvissuti, 14 marinai del Carducci su quattro zattere, ridotti ormai allo stremo delle forze, dopo giorni di digiuno, sete e patimenti dovuti alle ferite e alla paura.
Molti dei recuperati erano in preda alle allucinazioni per aver ingerito forti quantità di acqua di mare.
Le operazioni di ricerca sarebbero proseguite ancora per oltre due giorni, tra incontri con le mine, sporadici avvistamenti di aerei inglesi, italiani e tedeschi (un aereo tedesco avrebbe persino sganciato delle bombe lontano dalla nave) e diversi incroci con zattere e motolance alla deriva e spesso mezze affondate delle sfortunate unità italiane, purtroppo sempre vuote, fino a quando, per il sopraggiungere di una fitta foschia e di un vento sempre più forte che cominciò a rendere il mare sempre più agitato, Supermarina con un messaggio alle 20,00 del 5 aprile ordinò di concludere le ricerche.
Durante questa mesta missione di dolore il 2 aprile vi fu un ulteriore decesso a bordo, per assideramento, shock e ferite, mentre vennero recuperate otto salme in mare.
Almeno altri duecento però furono i corpi contati in acqua e purtroppo non recuperati.
I veri numeri però non si sapranno mai, considerata la confusione di quei momenti, che aveva portato tanti marinai di diverse unità a convivere quelle ore drammatiche negli stessi battelli di salvataggio appartenenti magari a unità diverse, considerati gli uomini in licenza, le assenze non segnalate, le tante navi di diverso tipo e nazione (italiane, inglesi, australiane, greche) intervenute nei soccorsi, i dispersi, le vittime non riconosciute, il personale distaccato da altre navi o reparti, le molte reclute presenti a bordo...
Sul Fiume per esempio una fonte indiretta parla di 841 marinai imbarcati, il che considerando i ben 814 deceduti totali accertati porterebbe alla logica e terribile conclusione di soli 27 superstiti, pari praticamente ad un dato orribile di soli 3 uomini scampati al disastro ogni 100!!!
Il 6 aprile a bordo della Gradisca venne celebrata una Santa Messa.
Alle 8,30 del 7 aprile la Gradisca giunse a Messina e alle 15,30 si cominciò a sbarcare quell'umanità dolente: la sfortunata missione di quei pochi superstiti finiva qui, dodici giorni dopo il suo inizio.
In 55 furono ricoverati in ospedale, gli altri 105, giudicati in buone condizioni fisiche, vennero mandati in un deposito CREM (il Corpo dei Regi Equipaggi Marittimi).
Il 3 aprile, tra le 12,38 e le 14,06, con le condizioni del mare in netto miglioramento che consentivano anche la messa in acqua delle motolance di soccorso per allargare l'area della ricerca, venivano recuperati gli ultimi sopravvissuti, 14 marinai del Carducci su quattro zattere, ridotti ormai allo stremo delle forze, dopo giorni di digiuno, sete e patimenti dovuti alle ferite e alla paura.
Molti dei recuperati erano in preda alle allucinazioni per aver ingerito forti quantità di acqua di mare.
Le operazioni di ricerca sarebbero proseguite ancora per oltre due giorni, tra incontri con le mine, sporadici avvistamenti di aerei inglesi, italiani e tedeschi (un aereo tedesco avrebbe persino sganciato delle bombe lontano dalla nave) e diversi incroci con zattere e motolance alla deriva e spesso mezze affondate delle sfortunate unità italiane, purtroppo sempre vuote, fino a quando, per il sopraggiungere di una fitta foschia e di un vento sempre più forte che cominciò a rendere il mare sempre più agitato, Supermarina con un messaggio alle 20,00 del 5 aprile ordinò di concludere le ricerche.
Durante questa mesta missione di dolore il 2 aprile vi fu un ulteriore decesso a bordo, per assideramento, shock e ferite, mentre vennero recuperate otto salme in mare.
Almeno altri duecento però furono i corpi contati in acqua e purtroppo non recuperati.
I veri numeri però non si sapranno mai, considerata la confusione di quei momenti, che aveva portato tanti marinai di diverse unità a convivere quelle ore drammatiche negli stessi battelli di salvataggio appartenenti magari a unità diverse, considerati gli uomini in licenza, le assenze non segnalate, le tante navi di diverso tipo e nazione (italiane, inglesi, australiane, greche) intervenute nei soccorsi, i dispersi, le vittime non riconosciute, il personale distaccato da altre navi o reparti, le molte reclute presenti a bordo...
Sul Fiume per esempio una fonte indiretta parla di 841 marinai imbarcati, il che considerando i ben 814 deceduti totali accertati porterebbe alla logica e terribile conclusione di soli 27 superstiti, pari praticamente ad un dato orribile di soli 3 uomini scampati al disastro ogni 100!!!
Il 6 aprile a bordo della Gradisca venne celebrata una Santa Messa.
Alle 8,30 del 7 aprile la Gradisca giunse a Messina e alle 15,30 si cominciò a sbarcare quell'umanità dolente: la sfortunata missione di quei pochi superstiti finiva qui, dodici giorni dopo il suo inizio.
In 55 furono ricoverati in ospedale, gli altri 105, giudicati in buone condizioni fisiche, vennero mandati in un deposito CREM (il Corpo dei Regi Equipaggi Marittimi).
I corpi degli otto marinai le cui salme vennero recuperate in mare dalla Gradisca riposano da allora nel Santuario Militare di Cristo Re a Messina.
In totale morirono 2335 marinai (altre fonti, maggioritarie, parlano di 2303, a seconda probabilmente che si tenga o non si tenga conto di chi è deceduto durante lo scontro o dopo a seguito delle conseguenze riportate, magari in prigionia) e a parte quelli caduti durante il corso della battaglia molti furono i deceduti per assideramento in mare.
Tra le vittime, dopo aver riunito a poppa i superstiti e aver lanciato insieme con loro il grido "Viva l'Italia! Viva il Re!", lo stesso ammiraglio Carlo Cattaneo, calatosi in mare per ultimo e senza il giubbotto di salvataggio col comandante dello Zara, sua ammiraglia, capitano di vascello Luigi Corsi, solo pochi secondi prima che la sua nave venisse colpita dai siluri lanciati dal Jervis, che anticiparono di poco le cariche disposte per l'autoaffondamento dal tenente colonnello del genio navale Domenico Bastianini, rimasto sulla nave per predisporre tutte le procedure col comandante in seconda capitano di fregata Vittorio Giannattasio e col sottotenente del CREM Umberto Grosso, tutti e tre periti con essa insieme coi loro uomini alle 2,30 del 29 marzo: saltò infatti l'intero deposito munizioni di prora, portandosi con sé tutto lo stato maggiore della 1° divisione.
Tutti i nominati vennero onorati con la medaglia d'oro alla memoria, ad altri nove ufficiali e sottufficiali dello Zara deceduti (tra cui il capitano di fregata Francesco Brovelli, capo di stato maggiore di Cattaneo) sarebbe stata attribuita la medaglia d'argento, a ventiquattro quella di bronzo.(Si ringrazia il benemerito sito www.lavocedelmarinaio.com) |
Dello Zara sarebbero sopravvissuti solo in 287, di cui ben 279 furono fatti prigionieri dagli Inglesi.
Sottotenente del CREM Umberto Grosso (RN Zara) Medaglia d'oro alla memoria (Pinerolo, TO, 14/10/1890 - Capo Matapan, 29/3/1941) |
Ten. col. del G.N. Domenico Bastianini (RN Zara) Medaglia d'oro al Valor militare alla memoria (Tuscania, VT, 24/8 /1900- Capo Matapan, 29/3/1941) |
Cap. di fregata Vittorio Giannattasio
comandante in seconda dello Zara,
Medaglia d'oro alla memoria
(San Giuseppe, NA, 13/8 /1904- Capo Matapan, 29/3/1941) |
Cap. di vascello Giorgio Giorgis
comandante del Fiume,
Medaglia d'oro alla memoria
(Roma, 23/4/1897- Capo Matapan, 29/3/1941) |
Cap. di vascello Luigi Corsi
comandante dello Zara,
Medaglia d'oro alla memoria
(La Spezia, 4/4/1898 - Capo Matapan, 29/3/1941) |
Morì anche il comandante del Fiume, capitano di vascello Giorgio Giorgis,
Del Fiume, a parte i 106 salvati dalla Gradisca, si contarono 7 ufficiali e 53 marinai sicuramente recuperati la mattina seguente dal caccia HMS Defender, mentre il restante centinaio che riuscì a salvarsi, fatti salvi i fortunati in licenza, si sparpagliò in varia misura nelle altre unità impegnate nel salvataggio, forse in maggior parte in quelle greche, a giudicare dai resoconti britannici in nostro possesso che si limitano a citare per quanto li riguarda solo quei sessanta salvati dal caccia.
Certo è che, secondo i rapporti, là dove fino a poco prima navigavano gli orgogliosi incrociatori italiani al momento dell'intervento del Defender annaspavano penosamente almeno 600 uomini.
La maggior parte di questi disgraziati, praticamente quasi tutti, sono rimasti lì.
Di tutti i caduti di questa terribile sconfitta 799 (su 1086 uomini dell'equipaggio) appartenevano allo Zara, 814 (su 1083) erano del Fiume, 336 (su 1024) del Pola, 210 (su 245) dell'Alfieri e 171 (su 206) del Carducci.
Essi e le loro navi da allora e per sempre riposeranno in quello che è ritenuto il punto più profondo del Mediterraneo, con tratti profondi oltre 5000 metri sotto la superficie.Certo è che, secondo i rapporti, là dove fino a poco prima navigavano gli orgogliosi incrociatori italiani al momento dell'intervento del Defender annaspavano penosamente almeno 600 uomini.
La maggior parte di questi disgraziati, praticamente quasi tutti, sono rimasti lì.
Di tutti i caduti di questa terribile sconfitta 799 (su 1086 uomini dell'equipaggio) appartenevano allo Zara, 814 (su 1083) erano del Fiume, 336 (su 1024) del Pola, 210 (su 245) dell'Alfieri e 171 (su 206) del Carducci.
A 80 miglia a N/O di Capo Matapan.
Da quel momento in poi sia per i motivi sopra citati, sia per le enormi perdite subite, sempre meno rimpiazzabili dal nostro limitato apparato industriale, sia per la scarsità di carburante disponibile per le lunghe missioni delle nostre unità, sia per le dottrine tattiche adottate, ormai inadeguate alla guerra moderna sul mare, le nostre navi migliori di superficie cominciarono a uscire sempre meno in mare aperto oltre un certo raggio d'azione, quello nel quale la nostra caccia potesse assicurare una sufficiente protezione antiaerea, in pratica non più di 100 miglia dalle coste italiane, e tutto il nostro impegno navale si sarebbe limitato alla scorta sempre più affannosa dei convogli, alle coraggiosissime ed estemporanee imprese dei nostri meravigliosi incursori, alle azioni disperate dei sommergibilisti ed a qualche isolato scontro in mare soprattutto di naviglio minore.
26. Le perdite inglesi: settant'anni dopo, la verità.
Per anni si è sempre sostenuto che il prezzo pagato dagli Inglesi per questa vittoria invece fu risibile, quello cioè di un solo aerosilurante abbattuto, quello che colpì la Vittorio Veneto, con la morte dei 3 membri dell'equipaggio (il capitano di corvetta John Dalyell Stead, il tenente Roger H. Cooke ed il sottufficiale motorista George L. Blenkhorn), oltre a qualche colpo subito dai caccia e dagli incrociatori della Forza B.
In realtà le cose non andarono così: oltre ad un altro velivolo andato perso per un'avaria, quello di Williams, senza però perdite umane, come peraltro confermato dai resoconti ufficiali britannici sin dall'inizio, gli aerei abbattuti nel corso di tutti gli scontri a partire da quello di Gaudo furono sei, quello di Dalyell Stead e cinque appartenenti alla Royal Australian Navy, come attestato dalla storia ufficiale di quest'ultima, per un totale di 18 dispersi/caduti.
Ma questi caduti sono solo una parte di quelli totali di parte britannica: pochi mesi fa infatti venne rivenuto presso gli archivi di Stato inglesi, sfuggito chissà come al prescritto incenerimento, un documento datato 5 febbraio 1945, titolato "Report of Med. Intelligence Centre ADM 223/89", nel quale, tra le altre cose, veniva fatto un bilancio delle perdite sia italiane che inglesi a Matapan, ed a proposito di queste ultime venne annotato quanto segue: "Our losses- A few hits by gunfire", cioè, traducendolo in italiano: "Perdite nostre- Pochi uomini colpiti da proiettili andati a segno" (le sottolineature sono mie).
Insomma, non si trattava di schegge o di colpi caduti nei pressi (l'espressione usata in questo caso sarebbe stata "near miss"), ma di colpi in pieno, da due a cinque secondo le interpretazioni di vari esperti inglesi...
Non potevano essere i pochi colpi subiti negli scontri di Gaudo dagli incrociatori della Forza B, né evidentemente quelli che avevano abbattuto gli aerosiluranti, ed allora ecco appalesarsi la verità, confermata sia dalle strane manovre della Barham, sia dalle autorevoli testimonianze citate, sia dalla stessa dinamica dei fatti comunemente accettata: gli ufficiali superstiti dello Zara che a fine guerra avevano deposto davanti alla commissione d'inchiesta dicevano la verità, quando riferirono della reazione dei serventi alla mitragliera da 37/54, inascoltati da tutti...
Non era stato quindi solo l'eroico caccia Alfieri l'unica unità della Regia a sparare contro le soverchianti forze nemiche, ma prima di lui lo sfortunato incrociatore pesante italiano, come d'altronde un accurato esame delle traiettorie dei siluri del caccia rapportate alle posizioni degli avversari ed ai movimenti delle corazzate e dello stesso Zara avrebbe dovuto far sospettare sin dall'inizio...
Ed ecco perché tutta la manfrina sui movimenti della Barham, su cui per oltre settant'anni da parte inglese si è detto il falso: quella ultima, orgogliosa, alla fine inutile sventagliata di proiettili dall'impianto binato dello Zara aveva creato vuoti paurosi in quel torrione, causando almeno un centinaio di morti, come avvalora la testimonianza del capitano di fregata Silvano Brengola, comandante in seconda del Pola, che riferì successivamente alla stessa commissione d'inchiesta, a guerra finita, che nel quadrato ufficiali del caccia Jervis venne affisso il giorno dopo la sua cattura un ordine di servizio di Cunningham "con il quale si prescriveva a tutti che all'arrivo ad Alessandria dovessero astenersi dall'inviare alcuna notizia alle famiglie e che le perdite degli Inglesi nell'azione ammontavano a cento uomini, le cui famiglie sarebbero state regolarmente informate per le vie ufficiali" (è probabile che il termine tecnico utilizzato nel documento fosse quello di "casualties", che indica più genericamente le perdite, tra morti, dispersi, feriti e prigionieri, ma il succo non cambia...)
Alla luce delle nuove acquisizioni documentali e testimoniali la sconfitta di Capo Matapan resta così, certo, una tremenda sconfitta, dovuta anche ad errori gravissimi oltre che a un'indubitabile dose di sfortuna, ma assume un sapore leggermente meno amaro per la Regia Marina, più dignitoso per la forza armata e per l'Italia tutta.
Alla fine da parte britannica vi furono quindi sette aerei perduti con 18 piloti deceduti e 3 recuperati dal'HMS Juno (Williams col suo equipaggio), la corazzata Barham colpita gravemente con un centinaio di caduti e altri tre incrociatori colpiti in maniera non grave, l'Orion, il Perth ed il Gloucester.
27. In memoriam.
Guardate le foto che seguono, queste facce, queste espressioni, questi sorrisi...Sono le foto tessera, quelle di famiglia, quelle tra commilitoni di giovani e meno giovani marinai che parteciparono alla battaglia.
Sono le facce, le espressioni, i sorrisi degli italiani di settant'anni fa, gente che non si tatuava, non si lampadava, non buttava uno stipendio per farsi l'I-Phone ultimo modello, gente abituata a vivere magari di poco, a fidare nel Signore che tutto andasse per il verso giusto, a spaccarsi la schiena per dare il pane alla famiglia, per aiutare i genitori, per poter poi sposare la fidanzata...
Il mio nonno materno, classe 1912, Giovanni Abrusci, era anche lui marinaio, anche se non partecipò a questa battaglia: credo fosse assegnato su un pontone armato e mi risulta si trovasse ad Augusta quando quella munitissima piazzaforte siciliana si arrese senza quasi sparare un colpo allo sbarco delle truppe britanniche di Bernard Law Montgomery, nelle confuse ore intercorse tra il 10 e l'11 luglio 1943, per ordine dell'assai controverso (a dir poco) Ammiraglio Priamo Leonardi, comandante della base.
Da lì avrebbe cominciato un lungo e penoso pellegrinaggio a piedi che l'avrebbe riportato a casa sua, a Bari, dalla moglie e dalle due figlie (nel '45 si sarebbe aggiunto il tanto sospirato maschio).
Un'immagine scattata il 28 o il 29 marzo del '41 da un caccia italiano, in cui la Nb Vittorio Veneto, danneggiata dal siluro, procede al centro dello schieramento, con sulla destra il caccia Bersagliere
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26. Le perdite inglesi: settant'anni dopo, la verità.
Per anni si è sempre sostenuto che il prezzo pagato dagli Inglesi per questa vittoria invece fu risibile, quello cioè di un solo aerosilurante abbattuto, quello che colpì la Vittorio Veneto, con la morte dei 3 membri dell'equipaggio (il capitano di corvetta John Dalyell Stead, il tenente Roger H. Cooke ed il sottufficiale motorista George L. Blenkhorn), oltre a qualche colpo subito dai caccia e dagli incrociatori della Forza B.
In realtà le cose non andarono così: oltre ad un altro velivolo andato perso per un'avaria, quello di Williams, senza però perdite umane, come peraltro confermato dai resoconti ufficiali britannici sin dall'inizio, gli aerei abbattuti nel corso di tutti gli scontri a partire da quello di Gaudo furono sei, quello di Dalyell Stead e cinque appartenenti alla Royal Australian Navy, come attestato dalla storia ufficiale di quest'ultima, per un totale di 18 dispersi/caduti.
Ma questi caduti sono solo una parte di quelli totali di parte britannica: pochi mesi fa infatti venne rivenuto presso gli archivi di Stato inglesi, sfuggito chissà come al prescritto incenerimento, un documento datato 5 febbraio 1945, titolato "Report of Med. Intelligence Centre ADM 223/89", nel quale, tra le altre cose, veniva fatto un bilancio delle perdite sia italiane che inglesi a Matapan, ed a proposito di queste ultime venne annotato quanto segue: "Our losses- A few hits by gunfire", cioè, traducendolo in italiano: "Perdite nostre- Pochi uomini colpiti da proiettili andati a segno" (le sottolineature sono mie).
Insomma, non si trattava di schegge o di colpi caduti nei pressi (l'espressione usata in questo caso sarebbe stata "near miss"), ma di colpi in pieno, da due a cinque secondo le interpretazioni di vari esperti inglesi...
Non potevano essere i pochi colpi subiti negli scontri di Gaudo dagli incrociatori della Forza B, né evidentemente quelli che avevano abbattuto gli aerosiluranti, ed allora ecco appalesarsi la verità, confermata sia dalle strane manovre della Barham, sia dalle autorevoli testimonianze citate, sia dalla stessa dinamica dei fatti comunemente accettata: gli ufficiali superstiti dello Zara che a fine guerra avevano deposto davanti alla commissione d'inchiesta dicevano la verità, quando riferirono della reazione dei serventi alla mitragliera da 37/54, inascoltati da tutti...
Non era stato quindi solo l'eroico caccia Alfieri l'unica unità della Regia a sparare contro le soverchianti forze nemiche, ma prima di lui lo sfortunato incrociatore pesante italiano, come d'altronde un accurato esame delle traiettorie dei siluri del caccia rapportate alle posizioni degli avversari ed ai movimenti delle corazzate e dello stesso Zara avrebbe dovuto far sospettare sin dall'inizio...
Ed ecco perché tutta la manfrina sui movimenti della Barham, su cui per oltre settant'anni da parte inglese si è detto il falso: quella ultima, orgogliosa, alla fine inutile sventagliata di proiettili dall'impianto binato dello Zara aveva creato vuoti paurosi in quel torrione, causando almeno un centinaio di morti, come avvalora la testimonianza del capitano di fregata Silvano Brengola, comandante in seconda del Pola, che riferì successivamente alla stessa commissione d'inchiesta, a guerra finita, che nel quadrato ufficiali del caccia Jervis venne affisso il giorno dopo la sua cattura un ordine di servizio di Cunningham "con il quale si prescriveva a tutti che all'arrivo ad Alessandria dovessero astenersi dall'inviare alcuna notizia alle famiglie e che le perdite degli Inglesi nell'azione ammontavano a cento uomini, le cui famiglie sarebbero state regolarmente informate per le vie ufficiali" (è probabile che il termine tecnico utilizzato nel documento fosse quello di "casualties", che indica più genericamente le perdite, tra morti, dispersi, feriti e prigionieri, ma il succo non cambia...)
Alla luce delle nuove acquisizioni documentali e testimoniali la sconfitta di Capo Matapan resta così, certo, una tremenda sconfitta, dovuta anche ad errori gravissimi oltre che a un'indubitabile dose di sfortuna, ma assume un sapore leggermente meno amaro per la Regia Marina, più dignitoso per la forza armata e per l'Italia tutta.
Alla fine da parte britannica vi furono quindi sette aerei perduti con 18 piloti deceduti e 3 recuperati dal'HMS Juno (Williams col suo equipaggio), la corazzata Barham colpita gravemente con un centinaio di caduti e altri tre incrociatori colpiti in maniera non grave, l'Orion, il Perth ed il Gloucester.
27. In memoriam.
Guardate le foto che seguono, queste facce, queste espressioni, questi sorrisi...Sono le foto tessera, quelle di famiglia, quelle tra commilitoni di giovani e meno giovani marinai che parteciparono alla battaglia.
Sono le facce, le espressioni, i sorrisi degli italiani di settant'anni fa, gente che non si tatuava, non si lampadava, non buttava uno stipendio per farsi l'I-Phone ultimo modello, gente abituata a vivere magari di poco, a fidare nel Signore che tutto andasse per il verso giusto, a spaccarsi la schiena per dare il pane alla famiglia, per aiutare i genitori, per poter poi sposare la fidanzata...
Il mio nonno materno, classe 1912, Giovanni Abrusci, era anche lui marinaio, anche se non partecipò a questa battaglia: credo fosse assegnato su un pontone armato e mi risulta si trovasse ad Augusta quando quella munitissima piazzaforte siciliana si arrese senza quasi sparare un colpo allo sbarco delle truppe britanniche di Bernard Law Montgomery, nelle confuse ore intercorse tra il 10 e l'11 luglio 1943, per ordine dell'assai controverso (a dir poco) Ammiraglio Priamo Leonardi, comandante della base.
Da lì avrebbe cominciato un lungo e penoso pellegrinaggio a piedi che l'avrebbe riportato a casa sua, a Bari, dalla moglie e dalle due figlie (nel '45 si sarebbe aggiunto il tanto sospirato maschio).
Luigi Migliore
(Castellamare detto Stabia, NA, 9/1/1918- Capo Matapan, 28/3/1941)
dichiarato disperso
(RN Zara)
|
Pietro Di Capua (Castellamare detto Stabia, NA, 1917- Capo Matapan, 28/3/1941) segnalatore direzione tiro (RN Alfieri) |
Calogero Gaipa (Porto Empedocle, Ag. 1919- Capo Matapan 28/3/1941) (RN Pola) |
Salvatore Potenza (Porto Empedocle, AG, 1920- Capo Matapan, 28/3/1941) (RN Zara) |
Enos Andrioli operatore radio preso prigioniero dagli Inglesi, internato in Africa, sopravvissuto alla guerra (RN Gioberti) |
Efisio Cabras (Serramanna, CA, 2/5 / 1918- Capo Matapan, 28/3/1941) cannoniere, dichiarato disperso Croce al merito di guerra (RN Fiume) |
Giuseppe Bonaccorso
fuochista
sopravvissuto alla battaglia
(RN Bersagliere)
|
Catello Maresca (...- Capo Matapan, 28/3/1941) Dichiarato disperso (RN Pola) |
Teobaldo Motolese (Rionero in Vulture, PZ, 10/10/1913 - 20/7/1989) Secondo capo elettricista sopravvissuto alla guerra (RN Trieste) |
Serventi alla mitragliere da 37/54. Nessuno ne conosce il nome e il grado, magari alcuni di questi hanno sparato per l'ultima volta a bordo dello Zara. |
Giuseppe Palazzolo (Torino di Sangro, CH, 1919 - Capo Matapan, 28/3/1941) cannoniere (RN Fiume) |
Antonio Secci (Serramanna, CA, 1/2/1922 - Capo Matapan, 28/3/1941) elettricista, dichiarato disperso Croce al merito di guerra (RN Fiume) |
Gino Braccini (Pescia, PT, 20/2/1911 - Capo Matapan, 28/3/1941) 2° capo meccanico (RN Fiume) |
Renzo Rinaldi (Porto Santo Stefano, GR, 1912- Capo Matapan, 28/3/1941) 2° capo elettricista, dichiarato disperso Croce al merito di guerra (RN Fiume) |
Antonio Miccoli (28/3/1910-1976) capo cannoniere telemetrista sopravvissuto alla battaglia e alla guerra preso prigioniero dagli Inglesi, internato in vari campi in Egitto, Sudafrica e Inghilterra, tornato in Italia continuò a servire anche nella nuova Marina Militare andando in pensione come Guardiamarina del CEMM nel 1962 Cavaliere dell'Ordine al merito della Repubblica italiana (RN Fiume) |
Virgilio Barucca (Senigallia, AN, 23/7/1920-1976) cannoniere preso prigioniero dagli Inglesi. internato in Sudafrica, sopravvissuto alla guerra (RN Fiume) |
Leonardo Pepe (Molfetta, BA ...- Capo Matapan, 29/3/1941) sottocapo segnalatore deceduto su una zattera recuperata dalla Gradisca riposa al Sacrario di Cristo Re a Messina (RN Zara) |
Gaetano Gangarossa (Porto Empedocle, AG, 1920- Capo Matapan, 28/3/1941) (RN Alfieri) |
Calogero Marchica (Porto Empedocle, AG, 1920- Capo Matapan, 28/3/1941) (RN Fiume) |
Antonio Capizzi (Agrigento, 1915 Capo Matapan, 28/3/1941) (RN Zara) |
Cesare Cozzani (La Spezia, 30/8 / 1908- Capo Matapan, 28/3/1941) 2° Capo meccanico Dichiarato disperso Croce al Merito di guerra (RN Pola) |
Giovanni Conti (Polino, TR, 1920/07/01 - + ...) Sopravvissuto dopo 36 ore di naufragio , salvato e fatto prigioniero dai Greci Croce al Merito di guerra (RN Fiume) |
Primo Veronese (1/6/1921-1980) Cannoniere Matr. 43909 Sopravvissuto alla guerra pur gravemente ferito per un mitragliamento di aerosiluranti durante un servizio di scorta convogli, avvenuto alle 17,17 del 17 agosto 1942 (RN Gioberti) |
Soprattutto le ultime rivelazioni rendono finalmente Onore all'estremo sacrificio di quei sette, forse otto pazzi della Breda che, pur ben sapendo che quello sarebbe stato con ogni probabilità il loro ultimo gesto in vita, non esitarono ad immolarsi per consentire a dei loro compagni più fortunati di portare a casa la pelle: il sottufficiale a capo dell'impianto, i due puntatori, i due caricatori e i due serventi-porgitori, cui forse si aggiunse il guardiamarina sottordine della III DT (direzione del tiro) mitragliere di quella sezione di poppa.
Le esigenze della propaganda e la legittima apposizione del segreto militare, che hanno dettato le omissioni inglesi nei loro resoconti ufficiali, non sono riuscite ad impedire alla fine che l'eroismo di questi valorosi marinai, di cui mai conosceremo i nomi, venisse alla luce, nonostante le ovvie esigenze di opportunità dovute alla nostra adesione alla NATO, che ci rendeva alleati della Gran Bretagna, sconsigliassero probabilmente a distanza di pochi anni da quegli eventi di riaprire le vecchie ferite e di alimentare nuove polemiche.
28. Un'imboscata preparata a tavolino.
Quella sulle perdite d'altronde non fu l'unica bugia detta dagli Inglesi.
Solo molto tempo dopo la fine della guerra, a partire cioè dal 1974, si sarebbe saputo che la squadra inglese sin dall'inizio conosceva l'intero piano di battaglia italiano, grazie ad Ultra, una macchina decrittatrice che consentì agli Alti Comandi britannici di scoprire in anticipo le mosse italiane,
intercettando le comunicazioni in codice tra il X CAT tedesco di stanza in Sicilia e l'Afrika Korps: le tradizionali spiegazioni date a quella tragica sconfitta, cioè la scoperta casuale della flotta italiana tramite ricognitori, o la presenza del radar sulle unità nemiche (in quel momento le navi inglesi che disponevano di quello che allora i Britannici chiamavano R.D.F., acronimo di Range and Direction Finder, cioè più o meno letteralmente "Localizzatore di Distanza e Direzione", e gli Americani invece appunto Ra.D.AR., abbreviativo di Radio Detection And Ranging, cioè "Individuazione e misurazione di distanza via radio", pare si contassero sulle dita di una mano: la portaerei Formidable, la corazzata Valiant, l'incrociatore Ajax, tutte con impianti muniti di antenne rotanti in grado di spazzare l'orizzonte visivo fino a 90 miglia di distanza e 6000 metri di altezza, anche di notte, e l'incrociatore Orion, il primo ad individuare il Pola fermo, con a bordo un semplice radar fisso di superficie ASV [Anti Surface Vassel, cioè Anti Nave di Superficie] rivolto solo in direzione della prora, strumenti comunque ancora abbastanza primitivi e soggetti a malfunzionamenti), o ancora la presenza di spie e di traditori tra gli stessi ufficiali italiani si rivelò praticamente tutt'una montatura da parte inglese, anche se quanto all'ultimo punto non del tutto priva di fondamento (molti alti ufficiali della marina erano sposati a donne britanniche o americane e vicini agli ambienti anglosassoni di stampo massonico).
La verità era che il convoglio AG 9 non era stato rimandato indietro da Cunningham dopo averlo fatto proseguire fino alle acque interne greche per un bel po' solo per una finta tattica estemporanea figlia del momento, che le navi di Pridham-Wippel non si erano imbattute a Gaudo negli incrociatori italiani solo per caso e che l'avvistamento da parte del Sunderland era stato un mero accorgimento di facciata per allontanare eventuali sospetti da parte dei servizi italo-tedeschi: d'altronde alcuni ufficiali italiani presi prigionieri sulle navi britanniche, tra cui proprio il vicecomandante del Pola, poterono leggere sgomenti dei documenti fissati alle pareti delle cabine con l'intero piano di battaglia italiano descritto fin nei minimi particolari!
Quella sulle perdite d'altronde non fu l'unica bugia detta dagli Inglesi.
Solo molto tempo dopo la fine della guerra, a partire cioè dal 1974, si sarebbe saputo che la squadra inglese sin dall'inizio conosceva l'intero piano di battaglia italiano, grazie ad Ultra, una macchina decrittatrice che consentì agli Alti Comandi britannici di scoprire in anticipo le mosse italiane,
Il Colossus Mk. II, il computer cuore pulsante del sistema di decrittazione britannico Ultra
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intercettando le comunicazioni in codice tra il X CAT tedesco di stanza in Sicilia e l'Afrika Korps: le tradizionali spiegazioni date a quella tragica sconfitta, cioè la scoperta casuale della flotta italiana tramite ricognitori, o la presenza del radar sulle unità nemiche (in quel momento le navi inglesi che disponevano di quello che allora i Britannici chiamavano R.D.F., acronimo di Range and Direction Finder, cioè più o meno letteralmente "Localizzatore di Distanza e Direzione", e gli Americani invece appunto Ra.D.AR., abbreviativo di Radio Detection And Ranging, cioè "Individuazione e misurazione di distanza via radio", pare si contassero sulle dita di una mano: la portaerei Formidable, la corazzata Valiant, l'incrociatore Ajax, tutte con impianti muniti di antenne rotanti in grado di spazzare l'orizzonte visivo fino a 90 miglia di distanza e 6000 metri di altezza, anche di notte, e l'incrociatore Orion, il primo ad individuare il Pola fermo, con a bordo un semplice radar fisso di superficie ASV [Anti Surface Vassel, cioè Anti Nave di Superficie] rivolto solo in direzione della prora, strumenti comunque ancora abbastanza primitivi e soggetti a malfunzionamenti), o ancora la presenza di spie e di traditori tra gli stessi ufficiali italiani si rivelò praticamente tutt'una montatura da parte inglese, anche se quanto all'ultimo punto non del tutto priva di fondamento (molti alti ufficiali della marina erano sposati a donne britanniche o americane e vicini agli ambienti anglosassoni di stampo massonico).
Enigma |
Lo scontro finale di Matapan venne così finalmente compreso in tutta la sua drammatica interezza per quello che fu in realtà: un terrificante agguato senza alcuno scampo preordinato sin dall'inizio dalla Mediterranean Fleet ai danni della squadra da battaglia italiana.
29. Le conseguenze per la Regia Marina.
Al di là del danno subito dalla Vittorio Veneto, che la costrinse a restare in bacino fino a fine giugno 1941, quando sarebbe ritornata operativa, la Regia Marina a Matapan aveva subito la sconfitta più grave della sua storia e perso del tutto il controllo del Mediterraneo Orientale, una sconfitta talmente significativa da indurre l'incredulo Benito Mussolini a rivedere completamente le sue teorie sull'Italia come "unica e vera portaerei del Mediterraneo".
La Regia Marina in effetti aveva in realtà nella sua flotta una nave appoggio idrovolanti, la Giuseppe Miraglia,
una piccola unità di poco più di 120 metri di lunghezza e 15 di larghezza, pesante meno di 6000 tonnellate, che poteva portare una quindicina circa di idroricognitori IMAM Ro. 43, ma certo essa non poteva in alcun modo essere assimilata ad una vera e propria portaerei.
La sconfitta di Matapan fece aprire gli occhi a Mussolini che, quindi, ordinò di avviare, con colpevole ritardo, l'impostazione di due portaerei, ognuna con 1420 d'uomini di equipaggio e 8 cannoni da 135/45 mod. 37 e 12 da 65/64 mod. 39, oltre ad un notevole apparato di mitragliere AA da 20/65.
Una era l'Aquila,
unità prevista sulle 25000 tonnellate, lunga 235 metri e larga 23, munita di due catapulte Demag ad aria compressa di produzione tedesca con due elevatori, che sarebbe stata provvista di ponte di volo continuo da prora a poppa, di un hangar divisibile in quattro sezioni da paratie tagliafuoco e di una voluminosa isola di più piani sulla dritta, a circa metà nave, con la plancia comando e numerose postazioni antiaeree, contornate su entrambi i lati dello scafo da simili postazioni antisiluranti, e avrebbe avuto funzione di ammiraglia di squadra, a capo di un vero e proprio gruppo da combattimento come per le grandi portaerei americane e giapponesi che si stavano dando battaglia nel Pacifico, con una velocità massima di 30 nodi e la capacità di portare a bordo inizialmente 51 cacciabombardieri Reggiane RE 2001 FALCO II, tra quelli trasportabili sul ponte di volo (10), quelli presenti all'interno dell'hangar (26) ed i restanti 15 addirittura sospesi al cielo dell'hangar, e successivamente ben 66 nelle versioni con le ali ripiegabili.
L'altra era la Sparviero,
nave di 30000 tonnellate o poco più, lunga circa 202 metri e larga 25, nelle intenzioni una più semplice portaerei di scorta, probabilmente nata già vecchia e di scarsa utilità militare, di fatto poco più di un enorme pontone armato "qualificato", privo di isola, lentissimo (non più di 20 nodi all'ora) e molto spartano, munito di un solo hangar con due ascensori, chiuso al di sopra con un ponte lungo solo 180 metri e sospeso su piloni, alla giapponese, e che terminava 45 metri prima della prora, interrotto dalla lunga catapulta di lancio che invece si protendeva fino al bordo, e capace di trasportare in tutto 34 caccia FALCO II, oppure 16 caccia e 9 bombardieri/siluranti.
L'idea era quella di modificare a tale scopo gli scafi rispettivamente dei due transatlantici Roma per l'Aquila e Augustus per lo Sparviero, quest'ultimo all'epoca della sua costruzione la motonave per passeggeri più grande del mondo, varata il 13 dicembre 1926 con madrina Edda Mussolini, figlia del Duce, ma si trattava di un progetto ardito che non si riuscì mai ovviamente a completare: al momento dell'armistizio lo scafo dell'Aquila, i cui lavori di trasformazione erano stati ordinati a luglio del 1941, era finito al 90% ma non ancora pronto per prendere il mare, mentre dello Sparviero, per il quale i lavori erano iniziati addirittura solo nel settembre del 1942, c'era solo il grande scafo nudo del transatlantico originario, letteralmente spianato di tutta la sua opera morta (sovrastrutture, cassero, ponti e cabine superiori), con sovrapposto il grande ponte d'acciaio ad alto spessore per il decollo e l'atterraggio degli aerei e nulla più...
Una grande occasione persa, e tutto a causa di una cieca, stupida e testarda convinzione (peraltro rimasta nel nostro paese fino almeno a metà degli anni '70, quando si cominciò a pensare al Garibaldi), che non teneva in alcun conto gli ultimi sviluppi della guerra sul mare ed era incoscientemente sostenuta in primis proprio da Superaereo (e, sembra, dal famoso Italo Balbo), che si riteneva per motivi di prestigio (e fondi) l'unico ente a dover detenere il monopolio della guerra aerea.
Un'altra conseguenza di questo disastro fu, anche qui ormai fuori tempo massimo, la rincorsa a cercare di dotare almeno le sue unità maggiori del Radar, che pure gli scienziati italiani sulla scorta degli studi di Marconi molto probabilmente avevano ideato per primi, in particolare grazie agli studi del Prof. Ugo Tiberio, un noto scienziato che era docente all'Università ed all'Accademia Navale di Livorno, condotti insieme col collega Nello Carrara e col capitano e poi maggiore delle Armi Navali Alfeo Brandimarte all'interno del Regio Istituto Elettrotecnico e delle Comunicazioni della Marina (RIEC), peraltro con fondi ridicoli, pochissimi collaboratori e sulla base della più pura volontarietà, estrapolando il tempo dedicato alla ricerca sui Radiotelemetri, come loro chiamavano i Radar, da quello che restava al di fuori dei loro normali orari di insegnamento ed ufficio.
Qui almeno si riuscì a fare qualcosa per tempo, dopo che le ricerche di questi pionieri erano stati accolti sin dagli anni '30 negli ambienti militari italiani da scetticismo o al più da estrema diffidenza, e la prima ad esserne munita fu proprio la corazzata Vittorio Veneto, con un impianto "Gufo" E.C. 4 sviluppato dalla SAFAR di Milano, a metà del 1942, anche se nella realtà l'impiego operativo, sulle nostre corazzate e sui caccia Pancaldo, Da Noli e Vivaldi (classe Navigatori) e Fuciliere (classe Soldati), sarebbe divenuto possibile solo nell'imminenza dell'Armistizio, con la versione 3/ter sulla banda in modulazione di frequenza tra i 400 e i 750 Mhz (40-75 cm).
Ma in realtà fino al settembre 1943 risultavano consegnati solo 13 dei 50 Gufo ordinati, e solo 14 dei 150 Folaga, omologhi dei primi ma dedicati alla sorveglianza costiera.
Come al solito, partiti per primi, arrivavamo ultimi...
Al di là del danno subito dalla Vittorio Veneto, che la costrinse a restare in bacino fino a fine giugno 1941, quando sarebbe ritornata operativa, la Regia Marina a Matapan aveva subito la sconfitta più grave della sua storia e perso del tutto il controllo del Mediterraneo Orientale, una sconfitta talmente significativa da indurre l'incredulo Benito Mussolini a rivedere completamente le sue teorie sull'Italia come "unica e vera portaerei del Mediterraneo".
La Regia Marina in effetti aveva in realtà nella sua flotta una nave appoggio idrovolanti, la Giuseppe Miraglia,
RN Giuseppe Miraglia |
La sconfitta di Matapan fece aprire gli occhi a Mussolini che, quindi, ordinò di avviare, con colpevole ritardo, l'impostazione di due portaerei, ognuna con 1420 d'uomini di equipaggio e 8 cannoni da 135/45 mod. 37 e 12 da 65/64 mod. 39, oltre ad un notevole apparato di mitragliere AA da 20/65.
Una era l'Aquila,
unità prevista sulle 25000 tonnellate, lunga 235 metri e larga 23, munita di due catapulte Demag ad aria compressa di produzione tedesca con due elevatori, che sarebbe stata provvista di ponte di volo continuo da prora a poppa, di un hangar divisibile in quattro sezioni da paratie tagliafuoco e di una voluminosa isola di più piani sulla dritta, a circa metà nave, con la plancia comando e numerose postazioni antiaeree, contornate su entrambi i lati dello scafo da simili postazioni antisiluranti, e avrebbe avuto funzione di ammiraglia di squadra, a capo di un vero e proprio gruppo da combattimento come per le grandi portaerei americane e giapponesi che si stavano dando battaglia nel Pacifico, con una velocità massima di 30 nodi e la capacità di portare a bordo inizialmente 51 cacciabombardieri Reggiane RE 2001 FALCO II, tra quelli trasportabili sul ponte di volo (10), quelli presenti all'interno dell'hangar (26) ed i restanti 15 addirittura sospesi al cielo dell'hangar, e successivamente ben 66 nelle versioni con le ali ripiegabili.
Il progetto dell'Aquila, in profilo e pianta |
L'altra era la Sparviero,
nave di 30000 tonnellate o poco più, lunga circa 202 metri e larga 25, nelle intenzioni una più semplice portaerei di scorta, probabilmente nata già vecchia e di scarsa utilità militare, di fatto poco più di un enorme pontone armato "qualificato", privo di isola, lentissimo (non più di 20 nodi all'ora) e molto spartano, munito di un solo hangar con due ascensori, chiuso al di sopra con un ponte lungo solo 180 metri e sospeso su piloni, alla giapponese, e che terminava 45 metri prima della prora, interrotto dalla lunga catapulta di lancio che invece si protendeva fino al bordo, e capace di trasportare in tutto 34 caccia FALCO II, oppure 16 caccia e 9 bombardieri/siluranti.
Il progetto dello Sparviero, in profilo e pianta |
Una grande occasione persa, e tutto a causa di una cieca, stupida e testarda convinzione (peraltro rimasta nel nostro paese fino almeno a metà degli anni '70, quando si cominciò a pensare al Garibaldi), che non teneva in alcun conto gli ultimi sviluppi della guerra sul mare ed era incoscientemente sostenuta in primis proprio da Superaereo (e, sembra, dal famoso Italo Balbo), che si riteneva per motivi di prestigio (e fondi) l'unico ente a dover detenere il monopolio della guerra aerea.
Il relitto dell'Aquila al momento dell'armistizio, quando venne deciso l'autoaffondamento per impedirne il passaggio alla flotta tedesca: venne recuperato dopo la guerra e poi definitivamente demolito nel 1952. |
Lo Sparviero al momento dell'armistizio si presentava così davanti al porto di Genova: restò in tali condizioni fino a quando i Tedeschi l'affondarono nel 1944 per bloccare l'imboccatura del porto e impedirne l'utilizzo da parte degli Alleati. Recuperato nel 1947, il relitto sarebbe poi stato venduto per la demolizione, completata nel 1951. |
Il pannello di controllo del radar italiano EC 3/ter Gufo, primo radar operativo italiano, montato sulla corazzata Roma al momento del suo affondamento per mano tedesca, il 9 settembre 1943. |
Qui almeno si riuscì a fare qualcosa per tempo, dopo che le ricerche di questi pionieri erano stati accolti sin dagli anni '30 negli ambienti militari italiani da scetticismo o al più da estrema diffidenza, e la prima ad esserne munita fu proprio la corazzata Vittorio Veneto, con un impianto "Gufo" E.C. 4 sviluppato dalla SAFAR di Milano, a metà del 1942, anche se nella realtà l'impiego operativo, sulle nostre corazzate e sui caccia Pancaldo, Da Noli e Vivaldi (classe Navigatori) e Fuciliere (classe Soldati), sarebbe divenuto possibile solo nell'imminenza dell'Armistizio, con la versione 3/ter sulla banda in modulazione di frequenza tra i 400 e i 750 Mhz (40-75 cm).
Ma in realtà fino al settembre 1943 risultavano consegnati solo 13 dei 50 Gufo ordinati, e solo 14 dei 150 Folaga, omologhi dei primi ma dedicati alla sorveglianza costiera.
Come al solito, partiti per primi, arrivavamo ultimi...
Fine giugno 1941: terminati i lavori di riparazione la VittorioVeneto, con la nuova mimetizzazione, attraversa il canale navigabile di Taranto per recarsi al suo posto d'ormeggio in Mar Grande. |
[Bollettino italiano n. 297- Il Quartiere Generale delle Forze Armate comunica in data 31 marzo: “Nella dura battaglia svoltasi nella notte dal 28 al 29 nel Mediterraneo centrale, abbiamo perduto tre incrociatori di medio tonnellaggio e due caccia. Molti uomini degli equipaggi si sono salvati. Sono state inflitte al nemico perdite non ancora completamente precisate, ma certamente gravi. Un grosso incrociatore inglese ha avuto in pieno una bordata dei nostri massimi calibri ed è affondato. Altre due unità sono state seriamente colpite. Un nostro sommergibile, al comando del capitano di corvetta Manlio Petroni, ha affondato nell'Atlantico una nave nemica di medio tonnellaggio”].
30. Una vittoria netta, ma non definitiva.
Nonostante la netta vittoria riportata dagli Inglesi si può comunque dire senza tema di smentita che la Mediterranean Fleet non riuscì a conseguire un obiettivo che ad un certo punto sarebbe stato possibilissimo: l'affondamento dell'ammiraglia italiana.
Senza lo schermo protettivo costituito dagli incrociatori della distrutta 1° divisione del defunto ammiraglio Cattaneo e dell'8° divisione di Legnani ormai lontana da quelle acque l'acciaccatissima Vittorio Veneto, col solo gruppo da combattimento della 3° divisione di Sansonetti a supporto, sarebbe stata facile bersaglio delle tre corazzate britanniche e degli aerosiluranti della Formidable supportate dagli incrociatori della Forza B di Pridham Wippel.
L'eventuale affondamento dell'ultima grossa nave da battaglia in quel momento a disposizione della Regia Marina dopo l'attacco alla base di Taranto sarebbe stato questo sì un colpo mortale per l'Italia, probabilmente la svolta definitiva alla guerra sul Mediterraneo a favore della Royal Navy.
Ma Cunningham preferì non procedere all'inseguimento della grande corazzata italiana, non almeno con la determinazione che pure dimostrò in altri momenti, certo per il rispetto che poteva comunque avere per un bestione così enorme e dall'intatta potenza di fuoco ma probabilmente ancor di più per non rischiare di perdere le sue navi migliori a causa di un attacco aereo italo-tedesco o da parte dei sottomarini italiani e tedeschi che sapeva essere presenti in massa nel Mediterraneo.
Dal Times del 23 febbraio 1961: "(...) Che Matapan sia stata una sconfitta italiana è fuori discussione, ma che sia stata una grande vittoria inglese è assolutamente discutibile. Riconosciamo che Matapan fu una nostra fortunata e assai fruttuosa azione navale, ma tributiamo anche onore alla Marina Italiana, quando onore le è indubbiamente dovuto!"
31. La piccola rivincita dell'Ambra.
Il grande ammiraglio britannico non aveva comunque in effetti tutti i torti ad essere diffidente e ne avrebbe avuto subito conferma a stretto giro di posta.
Soltanto ventiquattr'ore dopo l'ultimo colpo sparato a Matapan, nelle acque egiziane a nord di Sollum un piccolo e nuovissimo sottomarino costiero italiano classe 600 che insieme con il Dagabur e l'Ascianghi era all'agguato in quelle acque da giorni, l'Smg Ambra della serie Perla, intercettò il modernissimo incrociatore antiaereo inglese classe Dido HMS Bonaventure, di 6850 tonnellate, varato nemmeno due anni prima, il 19 aprile 1939, che era impegnato, insieme con tre cacciatorpediniere reduci da Matapan, il Griffin, l'Hereward e lo Stuart, il giustiziere dell'Alfieri, in un servizio di scorta al convoglio GAS partito da Alessandria d'Egitto per la Grecia.
Il piccolo sottomarino, come gli altri suoi compagni, non era stato messo al corrente dell'azione italiana su Gaudo, ma aveva solo avuto genericamente il compito di vigilare attentamente le acque delle zone assegnate: ecco perché il comandante dell'Ambra, il tenente di vascello Mario Arillo, pur avendo rilevato agli idrofoni alle ore 2,45 e poi ancora alle 5,11 del 28 marzo i rumori delle turbine in avvicinamento delle corazzate di Cunningham. non avendo avvistato nulla non aveva mandato alcun messaggio al comando dei sommergibili MARICOSOM.
Forse, se l'avesse fatto, forse, se gli fosse stato detto di riferire di ogni rumore sospetto, anche la battaglia di Matapan avrebbe potuto avere ben altro esito, anche se in realtà probabilmente anche le sue indicazioni, come tante altre, come anche quelle di Buscaglia, si sarebbero confuse nel calderone delle tante occasioni mancate di quella tragica giornata...
Ma in quel momento tutto questo non contava, non era il momento dei rimorsi, tutto questo era il passato mentre ora contava solo il presente.
In quel momento c'erano solo l'Ambra e l'incrociatore nemico di fronte a lui.
In quel momento contava solo picchiare.
Picchiare duro.
E l'Ambra così fece.
Compì il suo dovere.
L'Ambra, uno scricciolo di 697 tonnellate (856 in immersione) lungo poco più di 60 metri e largo nemmeno 7, colpì alle 2,44 di notte del 31 marzo 1941 con tre siluri sul suo lato destro l'unità britannica, lunga 156 metri e dotata di 10 cannoni da 133 mm su cinque torri binate, 4 da 20 mm AA in impianti singoli e 8 "Pom Pom" da 40 mm AA in due impianti quadrupli.
Lo sfortunato incrociatore, che già era stato attaccato e forse danneggiato in precedenza a colpi di siluro dal Dagabur, s'inabissò nella posizione 32° 20' N e 26° 35' E, andando a fondo in soli sei minuti alle 3,01 e portandosi con sé 138 uomini (23 ufficiali e 115 tra sottufficiali e marinai).
Mentre l'HMS Hereward salvava i restanti 310 uomini dell'equipaggio, lo HMAS Stuart si lanciò in un furioso inseguimento durato ore al sottomarino italiano.
Sfuggito in immersione a ben sette attacchi con le bombe di profondità effettuati dal caccia australiano, l'Ambra, varato appena il 28 maggio 1936 ma già veterano della guerra di Spagna, riuscì brillantemente a tornare nella base di Taranto incolume.
Mario Arillo avrebbe ottenuto per tale azione la medaglia d'argento al valor militare, il primo di tanti riconoscimenti avuti in carriera.
L'Smg Ambra sarebbe stato impegnato in totale in ben 31 missioni di guerra, le ultime come piattaforma per il trasporto dei nostri incursori della X MAS in diverse (e pericolosissime) operazioni segrete (su una di esse, forse la più prestigiosa, la forzatura del porto di Algeri il 12 dicembre 1942, con l'affondamento di due piroscafi e il serio danneggiamento di altri due, v. qui e qui), ottenendo una medaglia d'argento al valor militare, e avrebbe terminato la sua storia autoaffondandosi nel porto di La Spezia, il 9 settembre 1943, subito dopo l'armistizio, nonostante un tentativo di recupero da parte dei Tedeschi, frustrato da un bombardamento alleato sulla base che avrebbe definitivamente posto fine alla sua breve ma intensa vita operativa nel 1944.
L'affondamento del Bonaventure fu una ben misera rivincita sulla tragedia di Matapan, ma fu comunque la dimostrazione concreta che la Regia Marina nonostante tutto era ancora viva e pienamente capace di combattere.
La lotta per la supremazia nel Mediterraneo continuava.
32. Una bottiglia sulla spiaggia.
Undici anni dopo il tragico scontro di Matapan, nell'agosto del 1952, a Villa Simius, una spiaggia della Sardegna, nei pressi di Cagliari, a centinaia e centinaia di miglia da quell'orrenda battaglia, sarebbe stata trovata una bottiglia contenente questo messaggio:
“Regia Nave Fiume- Prego signori date mie notizie alla mia cara madre mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, Via Eremiti 1, Salerno. Grazie signori- Italia!”
Nonostante la netta vittoria riportata dagli Inglesi si può comunque dire senza tema di smentita che la Mediterranean Fleet non riuscì a conseguire un obiettivo che ad un certo punto sarebbe stato possibilissimo: l'affondamento dell'ammiraglia italiana.
Senza lo schermo protettivo costituito dagli incrociatori della distrutta 1° divisione del defunto ammiraglio Cattaneo e dell'8° divisione di Legnani ormai lontana da quelle acque l'acciaccatissima Vittorio Veneto, col solo gruppo da combattimento della 3° divisione di Sansonetti a supporto, sarebbe stata facile bersaglio delle tre corazzate britanniche e degli aerosiluranti della Formidable supportate dagli incrociatori della Forza B di Pridham Wippel.
L'eventuale affondamento dell'ultima grossa nave da battaglia in quel momento a disposizione della Regia Marina dopo l'attacco alla base di Taranto sarebbe stato questo sì un colpo mortale per l'Italia, probabilmente la svolta definitiva alla guerra sul Mediterraneo a favore della Royal Navy.
Ma Cunningham preferì non procedere all'inseguimento della grande corazzata italiana, non almeno con la determinazione che pure dimostrò in altri momenti, certo per il rispetto che poteva comunque avere per un bestione così enorme e dall'intatta potenza di fuoco ma probabilmente ancor di più per non rischiare di perdere le sue navi migliori a causa di un attacco aereo italo-tedesco o da parte dei sottomarini italiani e tedeschi che sapeva essere presenti in massa nel Mediterraneo.
Dal Times del 23 febbraio 1961: "(...) Che Matapan sia stata una sconfitta italiana è fuori discussione, ma che sia stata una grande vittoria inglese è assolutamente discutibile. Riconosciamo che Matapan fu una nostra fortunata e assai fruttuosa azione navale, ma tributiamo anche onore alla Marina Italiana, quando onore le è indubbiamente dovuto!"
31. La piccola rivincita dell'Ambra.
Il grande ammiraglio britannico non aveva comunque in effetti tutti i torti ad essere diffidente e ne avrebbe avuto subito conferma a stretto giro di posta.
HMS Bonaventure |
Soltanto ventiquattr'ore dopo l'ultimo colpo sparato a Matapan, nelle acque egiziane a nord di Sollum un piccolo e nuovissimo sottomarino costiero italiano classe 600 che insieme con il Dagabur e l'Ascianghi era all'agguato in quelle acque da giorni, l'Smg Ambra della serie Perla, intercettò il modernissimo incrociatore antiaereo inglese classe Dido HMS Bonaventure, di 6850 tonnellate, varato nemmeno due anni prima, il 19 aprile 1939, che era impegnato, insieme con tre cacciatorpediniere reduci da Matapan, il Griffin, l'Hereward e lo Stuart, il giustiziere dell'Alfieri, in un servizio di scorta al convoglio GAS partito da Alessandria d'Egitto per la Grecia.
Forse, se l'avesse fatto, forse, se gli fosse stato detto di riferire di ogni rumore sospetto, anche la battaglia di Matapan avrebbe potuto avere ben altro esito, anche se in realtà probabilmente anche le sue indicazioni, come tante altre, come anche quelle di Buscaglia, si sarebbero confuse nel calderone delle tante occasioni mancate di quella tragica giornata...
Ma in quel momento tutto questo non contava, non era il momento dei rimorsi, tutto questo era il passato mentre ora contava solo il presente.
In quel momento c'erano solo l'Ambra e l'incrociatore nemico di fronte a lui.
In quel momento contava solo picchiare.
Picchiare duro.
E l'Ambra così fece.
Compì il suo dovere.
L'Ambra, uno scricciolo di 697 tonnellate (856 in immersione) lungo poco più di 60 metri e largo nemmeno 7, colpì alle 2,44 di notte del 31 marzo 1941 con tre siluri sul suo lato destro l'unità britannica, lunga 156 metri e dotata di 10 cannoni da 133 mm su cinque torri binate, 4 da 20 mm AA in impianti singoli e 8 "Pom Pom" da 40 mm AA in due impianti quadrupli.
Lo sfortunato incrociatore, che già era stato attaccato e forse danneggiato in precedenza a colpi di siluro dal Dagabur, s'inabissò nella posizione 32° 20' N e 26° 35' E, andando a fondo in soli sei minuti alle 3,01 e portandosi con sé 138 uomini (23 ufficiali e 115 tra sottufficiali e marinai).
Il sottomarino Ambra, prima della sua trasformazione in piattaforma per il trasporto dei SLC (siluri a lenta corsa, detti familiarmente "maiali") |
Mentre l'HMS Hereward salvava i restanti 310 uomini dell'equipaggio, lo HMAS Stuart si lanciò in un furioso inseguimento durato ore al sottomarino italiano.
Sfuggito in immersione a ben sette attacchi con le bombe di profondità effettuati dal caccia australiano, l'Ambra, varato appena il 28 maggio 1936 ma già veterano della guerra di Spagna, riuscì brillantemente a tornare nella base di Taranto incolume.
Mario Arillo avrebbe ottenuto per tale azione la medaglia d'argento al valor militare, il primo di tanti riconoscimenti avuti in carriera.
Tenente di vascello Mario Arillo
(La Spezia, 25 marzo 1912- 27 settembre 2000)
Pluridecorato nella seconda guerra mondiale |
L'Smg Ambra sarebbe stato impegnato in totale in ben 31 missioni di guerra, le ultime come piattaforma per il trasporto dei nostri incursori della X MAS in diverse (e pericolosissime) operazioni segrete (su una di esse, forse la più prestigiosa, la forzatura del porto di Algeri il 12 dicembre 1942, con l'affondamento di due piroscafi e il serio danneggiamento di altri due, v. qui e qui), ottenendo una medaglia d'argento al valor militare, e avrebbe terminato la sua storia autoaffondandosi nel porto di La Spezia, il 9 settembre 1943, subito dopo l'armistizio, nonostante un tentativo di recupero da parte dei Tedeschi, frustrato da un bombardamento alleato sulla base che avrebbe definitivamente posto fine alla sua breve ma intensa vita operativa nel 1944.
Un'altra bella (e rara) foto del Regio Smg Ambra, a destra, già trasformato in sottomarino da trasporto per i SLC (foto tratta dal sito GRUPSOM, v.qui) |
Un SLC (Siluro a Lenta Corsa) "Maiale" |
La lotta per la supremazia nel Mediterraneo continuava.
(Foto tratta dal blog Basco grigioverde) |
32. Una bottiglia sulla spiaggia.
Undici anni dopo il tragico scontro di Matapan, nell'agosto del 1952, a Villa Simius, una spiaggia della Sardegna, nei pressi di Cagliari, a centinaia e centinaia di miglia da quell'orrenda battaglia, sarebbe stata trovata una bottiglia contenente questo messaggio:
“Regia Nave Fiume- Prego signori date mie notizie alla mia cara madre mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, Via Eremiti 1, Salerno. Grazie signori- Italia!”
La madre del povero Francesco Chirico venne informata e suo figlio ricevette la Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria.
Il mio più deferente pensiero e le mie più fervide preghiere vanno all'indirizzo di tutti i caduti in quest'immane tragedia del mare, nel 73° anno esatto dai fatti.
Fine anni '30: a bordo della RN Fiume si recita la Preghiera del marinaio. Davanti si vede un'unità gemella, forse proprio il Pola. La foto è bellissima e suggestiva, anche se un po' rovinata, ed è di proprietà di Marino Miccoli, figlio di Antonio Miccoli, capo cannoniere telemetrista a bordo del Fiume, uno dei pochi sopravvissuti (v. sopra) (foto tratta dal blog La voce del marinaio, v. qui) |
I ragazzi del Fiume |
I ragazzi del Pola |
Cartolina commemorativa di Alberto Parducci, pubblicata nel mensile "La Tribuna del Collezionista", n. 252, febbraio 1998, a compendio del trafiletto "Le Navi di Matapan", di Ennio Giunchi, pag. 8. |
L'unica foto esistente, spiegazzata, macchiata, consunta di mio nonno Giovanni Abrusci in divisa da marinaio, accanto a un commilitone sconosciuto: è quello a sinistra (mi scuso per la scadente qualità dell'immagine) |
INTEGRAZIONE SUCCESSIVA
Alcuni lettori mi chiedevano quale fosse stato il Destino delle navi scampate a Matapan.
Senza
pretese di completezza ne passo in rassegna quindi alcune, insieme alle
quali accenno brevemente anche al destino di altre, pur non
direttamente impegnate nella battaglia, appositamente sottolineate per distinguerle, per gli evidenti legami ideali che sussistono con le prime.
Non escludo di utilizzare questi appunti come spunti futuri per post specifici su questo blog.
1) Le navi da battaglia.
La Vittorio Veneto sarebbe arrivata intatta alla fine della guerra, insieme con l'altrettanto fortunata sua gemella Littorio (ribattezzata Italia all'indomani del 25 luglio 1943).
Dopo l'8 settembre, nonostante gli Italiani ne ventilassero un uso nell'Oceano Pacifico contro le navi maggiori della flotta giapponese, le due imponenti corazzate italiane vennero invece costrette all'internamento nei Laghi Amari, sul Canale di Suez, in Egitto, per essere poi destinate dal Trattato di Pace di Parigi in conto danni alla fine della guerra rispettivamente alla Gran Bretagna e agli USA.
Dopo molte e alterne vicende diplomatiche, comunque, le due Nazioni vincitrici accettarono di restituirle all'Italia, con l'obbligo però che quest'ultima procedesse senza indugi alla loro demolizione, cosa che fu
fatta, con le lacrime agli occhi da parte dei nostri Alti Comandi,
nonostante gli sforzi italiani di conservarle nella loro flotta
militare, tra il 1948 e il 1952.
Le lettere in ottone che componevano il nome della corazzata Vittorio Veneto sono comunque conservate e orgogliosamente mostrate nel Museo Navale di Venezia.
Sorte ben peggiore rispetto alle altre due avrebbe avuto la loro terza gemella, la Roma, entrata in servizio a guerra inoltrata e divenuta da poco nave ammiraglia di tutta la Regia Marina, senza peraltro riuscire mai a compiere in tempo alcun ruolo operativo.
La Roma insieme con tutta la flotta da battaglia si stava preparando ad un'ultima gloriosa azione in forze, pressoché suicida, tesa a contrastare l'incombente sbarco alleato dato per certo a Salerno, quando era stata raggiunta improvvisamente dalla notizia dell'imminente armistizio con una telefonata del neo Ministro della Marina Barone Raffaele de Courten.
Non lo sapremo mai perché, mentre il 9 settembre 1943 l'orgogliosa ammiraglia italiana navigava al largo dell'Asinara, con tutte le principali navi da battaglia intorno a sé tranne la Giulio Cesare, che era partita per conto suo da Pola con la sua scorta (la torpediniera Sagittario e la corvetta Urania, che si sarebbe fermata però a Taranto),
venne attaccata e centrata dalle prime due bombe radiocomandate della storia, le Ruhrstahl SD 1400 (per gli Alleati Fritz X)
lanciate da circa 5000 metri d'altitudine da uno dei 28 bombardieri tedeschi Dornier DO 217 K del Kampfgeschwader 100 della Luftwaffe decollati da Istres (Marsiglia) con lo specifico obiettivo di distruggere le principali navi da battaglia italiane, che rappresentavano tuttora un formidabile mezzo offensivo che poteva essere utilizzato contro gli ex alleati: la seconda delle due bombe, lanciata alle 15,50,
cadde verso prua, sul lato sinistro, fra il torrione corazzato di comando e la torre sopraelevata n.2, armata coi cannoni da 381, facendo deflagrare il deposito munizioni di prua.
Alle 16,11 la RN Roma esplose, la torre sopraelevata coi pezzi da 381 precipitò in acqua con tutte le sue 1500 tonnellate di peso e lo stesso torrione di comando, deformato dal calore dell'esplosione, venne proiettato a decine di metri d'altezza, tra due lugubri colonne di fumo, per poi collassare in mare portando con sé negli abissi lo stesso Ammiraglio Carlo Bergamini, e con lui anche
il comandante dell'unità, il capitano di vascello Adone Del Cima, viareggino, con
tutto il suo Stato Maggiore, periti tutti insieme all'istante.
L'enorme nave si spezzò in due tronconi, mentre una nube a forma di fungo alta circa un chilometro si protendeva sinistramente nel cielo, per poi capovolgersi, affondando in poco più di quattro minuti.
Si sarebbero salvati solo in 622, una ventina dei quali sarebbero però periti durante l'internamento forzato alle Baleari, nel comune di Mahon a Minorca, mentre 1252 uomini sarebbero rimasti sepolti dalle acque.
Il relitto, dopo decenni di ricerche, è stato finalmente rinvenuto e filmato a 1200 metri di profondità circa, sparso in diversi pezzi, il 28 giugno 2012, cioè ben sessantanove anni dopo l'affondamento, a 16 km dalla costa sarda, in una delle zone sommerse più accidentate e impervie delle Bocche di Bonifacio, da un'equipe guidata dall'Ing. Guido Gay, in collaborazione con la Marina Militare Italiana.
RN Vittorio Veneto |
La Vittorio Veneto sarebbe arrivata intatta alla fine della guerra, insieme con l'altrettanto fortunata sua gemella Littorio (ribattezzata Italia all'indomani del 25 luglio 1943).
RN Littorio in navigazione nel 1941 (modellino) |
Vittorio Veneto e Italia (ex Littorio) a La Spezia nel 1948, in attesa della demolizione |
Le lettere in ottone che componevano il nome della corazzata Vittorio Veneto sono comunque conservate e orgogliosamente mostrate nel Museo Navale di Venezia.
La Vittorio Veneto a La Spezia nei primi mesi del 1948 durante i lavori di demolizione |
La torre poppiera della Italia (ex Littorio) in demolizione a La Spezia nel 1952 |
Sorte ben peggiore rispetto alle altre due avrebbe avuto la loro terza gemella, la Roma, entrata in servizio a guerra inoltrata e divenuta da poco nave ammiraglia di tutta la Regia Marina, senza peraltro riuscire mai a compiere in tempo alcun ruolo operativo.
RN Roma |
Ammiraglio Raffaele de Courten (Milano, 23/9/1888- Frascati, Roma, 23/8/1978) |
Questi
in persona aveva telefonato direttamente di prima mattina all'Ammiraglio di Squadra
Carlo Bergamini, comandante in capo delle Forze Navali da battaglia,
preavvertendolo del clamoroso cambio di situazione.
Gli
ordini erano cambiati: in nome di Sua Maestà il Re, cui tutta la flotta
era tenuta ad obbedire in virtù del Giuramento prestato, l'intera
flotta da battaglia doveva dirigersi verso Malta per consegnarsi alla
Royal Navy, in ossequio alle clausole armistiziali.
Non si è mai capito se in cuor suo Bergamini, modenese di San Felice sul Panaro, approvasse questo improvviso cambio di prospettiva, se veramente intendesse adeguarsi all'ordine e consegnare la Regia Flotta agli Inglesi o decidere l'autoaffondamento una volta in rada a Malta, scelta seguita da altri comandanti, anche famosi, magari trasmettendo le sue volontà pubblicamente ai suoi uomini via radio, non appena arrivati in vista dell'isola.
Non si è mai capito se in cuor suo Bergamini, modenese di San Felice sul Panaro, approvasse questo improvviso cambio di prospettiva, se veramente intendesse adeguarsi all'ordine e consegnare la Regia Flotta agli Inglesi o decidere l'autoaffondamento una volta in rada a Malta, scelta seguita da altri comandanti, anche famosi, magari trasmettendo le sue volontà pubblicamente ai suoi uomini via radio, non appena arrivati in vista dell'isola.
Alzabandiera sulla Roma |
Non lo sapremo mai perché, mentre il 9 settembre 1943 l'orgogliosa ammiraglia italiana navigava al largo dell'Asinara, con tutte le principali navi da battaglia intorno a sé tranne la Giulio Cesare, che era partita per conto suo da Pola con la sua scorta (la torpediniera Sagittario e la corvetta Urania, che si sarebbe fermata però a Taranto),
Il movimento della flotta durante il tragico trasferimento del 9 settembre 1943 culminato con l'affondamento della Roma. Come si può vedere altre due unità furono vittime quel giorno della reazione tedesca, i due caccia gemelli, classe Navigatori, Ugolino Vivaldi e Antonio Da Noli. |
Una bomba Fritz X esposta oggi all'Australian War Memorial's Treloar Technology Centre |
cadde verso prua, sul lato sinistro, fra il torrione corazzato di comando e la torre sopraelevata n.2, armata coi cannoni da 381, facendo deflagrare il deposito munizioni di prua.
Alle 16,11 la RN Roma esplose, la torre sopraelevata coi pezzi da 381 precipitò in acqua con tutte le sue 1500 tonnellate di peso e lo stesso torrione di comando, deformato dal calore dell'esplosione, venne proiettato a decine di metri d'altezza, tra due lugubri colonne di fumo, per poi collassare in mare portando con sé negli abissi lo stesso Ammiraglio Carlo Bergamini, e con lui anche
Ammiraglio Carlo Bergamini (San Felice sul Panaro, MO, 24/10/1888- Acque della Sardegna, 9/9/1943) Medaglia d'oro al Valor Militare alla memoria |
C.V. Adone Del Cima (Torre del Lago-Viareggio, LU, 7/6/1898- Acque della Sardegna, 9/9/1943) Comandante della RN Roma Medaglia d'argento al V. M. alla memoria |
L'enorme nave si spezzò in due tronconi, mentre una nube a forma di fungo alta circa un chilometro si protendeva sinistramente nel cielo, per poi capovolgersi, affondando in poco più di quattro minuti.
Il momento in cui la Roma salta in aria |
Si sarebbero salvati solo in 622, una ventina dei quali sarebbero però periti durante l'internamento forzato alle Baleari, nel comune di Mahon a Minorca, mentre 1252 uomini sarebbero rimasti sepolti dalle acque.
Il relitto, dopo decenni di ricerche, è stato finalmente rinvenuto e filmato a 1200 metri di profondità circa, sparso in diversi pezzi, il 28 giugno 2012, cioè ben sessantanove anni dopo l'affondamento, a 16 km dalla costa sarda, in una delle zone sommerse più accidentate e impervie delle Bocche di Bonifacio, da un'equipe guidata dall'Ing. Guido Gay, in collaborazione con la Marina Militare Italiana.
Questa sembrerebbe una postazione binata AA della famosa mitragliera BREDA da 37/54 |
Anche in fondo al mare il nome di quella che è stata la più potente corazzata italiana della Storia è ancora visibilissimo |
Riassumendo, si può dire che delle sette navi da battaglia schierate in totale dall'Italia nel corso del conflitto, insomma, solo l'Andrea Doria (messa in disarmo solo il 1 novembre 1956 e poi demolita due anni più tardi)
L'Andrea Doria nel 1951, sede del Comando in capo Forze Navali |
La Caio Duilio nel 1948 |
e la Caio Duilio (disarmata il 15 settembre 1956 e demolita infine nel 1961) passarono nei ranghi della nuova Marina Militare Italiana, alternandosi negli anni nel ruolo di Ammiraglie della Flotta.
Il ciclopico lavoro di recupero della R.N. Cavour (Pinterest.com) |
La Conte di Cavour, mai totalmente recuperata dopo l'attacco di Taranto e semiaffondata nei bassi fondali del vallone di Muggia (Trieste) dov'era ricoverata per i lavori a causa del pesantissimo bombardamento alleato del 20 febbraio 1945, venne radiata il 27 febbraio 1947 e successivamente rimessa a galla con un'arditissima e complessa operazione di recupero messa in atto dal famosissimo specialista Donato Sodini, durata ben oltre un anno, dall'8 dicembre 1950 al 29 marzo 1952, per essere successivamente rimorchiata tra Punta Sottile e Punta Olmo e quivi poi demolita ad opera dell'imprenditore Armando Vasi di La Spezia, che si era aggiudicato all'asta il relitto.
Cavour e Cesare nel corso della Rivista H di Napoli il 5 maggio 1938 |
La nave scuola Cristoforo Colombo |
Il Regio Smg Marea, classe Tritone |
L'orgoglioso motto GUAI AGLI INERMI che campeggiava sul torrione di comando della RN Giulio Cesare |
Il Giulio Cesare nel 1948, in procinto di essere ceduto all'URSS |
La Novorossijsk a Sebastopoli, nel 1950 |
La Novorossijsk capovolta all'interno della base di Sebastapoli, il 29 ottobre 1955 |
Junio Valerio Borghese (Roma, 6/6/1906-Cadice, 26/8/1974) Personaggio assai controverso, ma carismatico e di indubbio coraggio personale |
2) La RN Impero.
Vi era in realtà anche una quarta corazzata classe Littorio, la RN Impero, mai entrata però in servizio per la Regia Marina.
Il relitto della RN Impero, corazzata "virtuale" classe Littorio, nelle acque di Trieste, dove venne bombardato e affondato dai B24 americani il 20 febbraio 1945 |
Era stata varata a Sestri Ponente (GE) prima della guerra, il 15 novembre 1939, ma in tutti gli anni della guerra il suo allestimento non fu mai completato: dopo tanti trasferimenti fatti per sfuggire alle offese del nemico (da Brindisi prima per sfuggire ai Francesi all'inizio delle ostilità, a Venezia poi, a Trieste alla fine), via via sempre più ridotta a mal partito dal tempo e dall'incuria dovuta alla mancanza del materiale utile per completarne i lavori, offesa più volte anche dalle bombe aeree degli Alleati, l'ultima dopo un'incursione del 20 febbraio 1945 sul porto giuliano, quella stessa che aveva dato il colpo di grazia alla Cavour, la corazzata Impero avrebbe finito i suoi giorni a guerra terminata, recuperata dal fondale triestino ov'era adagiata e poi smantellata all'Arsenale Navale di Venezia tra il 1947 e il 1950, senza mai entrare in servizio.
3) Gli incrociatori della III Divisione.
I famosi incrociatori della 3° Divisione di Sansonetti, a differenza della Vittorio Veneto, sarebbero tutti affondati nel corso della guerra:
- Trento.
RN Trento, in navigazione alla testa degli incrociatori della 3° Divisione |
Il siluramento del Trento da parte del Bristol Beaufort della RAF (probabilmente l'ultima foto "ufficiale" della nave) |
Il momento dell'esplosione della RN Trento, colpito dal sottomarino britannico HMS Umbra (Collezione Riccardo Scarpari) |
Ben 657 dei 1152 marinai a bordo del famoso incrociatore perirono, tra cui il capitano di vascello Stanislao Esposito, comandante dell'unità, un figlio del popolo meridionale nel vero senso della parola, di origini irpine,
Stanislao Esposito (Avellino, 15/10/1898- Mediterraneo Orientale, 15/6/1942) |
Carlo Emanuele Cacherano d'Osasco in navigazione a bordo dell'incrociatore Trieste (foto gentilmente offertami da Don Francesco Decio, nipote dell'ufficiale, che ringrazio immensamente) |
HMS Umbra |
Il relitto del Trento si trova ora in uno dei punti più profondi del Mar Ionio, a 36° 10'N e 18° 40' E, a circa 4000 metri di profondità.
-Trieste.
RN Trieste |
Il bombardamento sulla Maddalena del 10 aprile 1943. Proprio al centro del bombardamento si può intravedere lo scafo scuro del Trieste scosso dalle esplosioni (foto USAF pubblicata sul sito GRUPSOM, v. QUI) |
Ormai mortalmente ferita, la nave si appoppò, venne abbandonata dall'equipaggio e affondò in circa due ore, capovolgendosi. I morti furono 77 (4 ufficiali, 6 sottufficiali e 67 marinai), 75 i feriti gravi (6 sottufficiali e 69 marinai).
-Gorizia.
RN Gorizia |
Pur avendo avuto 63 morti (4 ufficiali, 6 sottufficiali e 53 marinai) e 97 feriti, l'unità riuscì comunque miracolosamente a riprendere il mare per giungere sino a La Spezia, evitando così l'ovvio ritorno il giorno seguente dei bombardieri, calati di nuovo in massa sulla Maddalena per finirla, ma quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio.
Non più riparabile, la nave sarebbe rimasta nel porto ligure fino all'armistizio, quando venne abbandonata dall'equipaggio: ormai ridotta a un relitto semiaffondato, sarebbe stata ritrovata nel 1945 e successivamente demolita.
Ciò che restava a La Spezia del Gorizia nel 1946, a demolizione avanzata |
-Bolzano.
RN Bolzano |
Il tenente di vascello Alastair C.G. Mars (D.S.O.) |
L'incrociatore leggero Muzio Attendolo, subito dopo il suo siluramento.
|
L'incrociatore Bolzano costretto ad incagliarsi a Panarea |
Un particolare delle batterie della RN Bolzano |
Uno Chariot della R.N., di fatto la copia inglese del Maiale della R.M.: nella tradizione inglese il chariot è la carrozzina dei cavalli, ma è un termine che indica anche la biga di epoca romana. |
I ragazzi del Bolzano posano in coperta (18/12/1938) |
4) I caccia superstiti della IX Squadriglia.
Ma che fine avevano fatto i due caccia Gioberti e Oriani, così valentemente disimpegnatisi dall'inseguimento nelle acque di Matapan da parte dei due caccia britannici Griffin e Greyhound?
-RN Vincenzo Gioberti.
RN Gioberti |
HMS Simoom |
L'unità saltò in aria, spezzandosi in due, con la poppa che affondò subito mentre la prua, spinta dall'abbrivio, proseguiva ancora per qualche decina di metri prima di sbandare sulla dritta ed inabissarsi pure essa, a circa 5 miglia per 250° da Punta Mesco.
Vi furono 171 superstiti, che vennero recuperati da alcuni MAS e altre unità minori subito salpate da La Spezia.
-RN Alfredo Oriani.
RN Oriani |
Munito nel corso del 1943 di un radar tedesco del tipo "De Te", terminò la sua carriera pre armistizio svolgendo missioni di trasporto veloce di materiale, mentre dopo l'armistizio, recatosi con tutta la flotta da La Spezia a Malta, in quello stesso tragico viaggio che sarebbe costato la perdita della nostra corazzata più bella, partecipò ad altre 143 missioni nell'ambito della cobelligeranza per un totale di circa 40.000 miglia di navigazione, in un'occasione trovandosi anche a sostenere un combattimento contro unità tedesche.
Nel 1948 il glorioso Oriani, ribattezzato D'Estaing, sarebbe infine passato in conto danni, per le disposizioni del Trattato di Pace, alla Marine Nationale francese, che l'avrebbe mantenuto nei suoi ranghi fino all'avvenuta demolizione, nel 1954.
I ragazzi dell'Oriani |
Avvertenze ai lettori:
1) Questo post non è e non vuole essere un saggio storico, è semplicemente un modesto e commosso contributo mio personale alla conoscenza di una tragica vicenda bellica che come (quasi) tutto ciò che è afferente alla partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale in Italia non è praticamente conosciuta, salvo che per gli addetti ai lavori. Mi scuso quindi per le eventuali inesattezze di tipo storiografico e nell'uso dei termini tecnici in cui possa essere incorso.
2) Come segno di doveroso omaggio al sacrificio dei 3000 marinai periti durante quei giorni tragici sarò ben lieto di aggiungere delle altre foto di marinai (congiunti, conoscenti, amici) che hanno partecipato alla battaglia di Capo Matapan, che siano sopravvissuti o abbiano lasciato le loro spoglie mortali sotto quelle acque, eventualmente inviatemi da chi mi legge sulla pagina facebook de Il Forcone del Diavolo o magari alla mail signorileit@yahoo.it.
3) Considero questo post un contributo in continuo divenire, perché troppi sono gli aspetti ancora oscuri di questa tragica battaglia: sarò pertanto grato a tutti coloro che vorranno segnalarmi eventuali inesattezze, incongruenze o veri e propri errori nella ricostruzione dei fatti in cui possa essere involontariamente incorso, da semplice appassionato quale sono, affinché possa porvi rimedio, così come a tutti coloro che vorranno indicarmi nuovi elementi, dati, documenti atti a integrare il racconto con nuovi dettagli utili a meglio comprendere la dinamica degli avvenimenti.
Ringrazio tutti coloro che aderiranno a questo invito.
Per la ricostuzione dei fatti mi sono avvalso tra gli altri, oltre che della miniera di dati di cui dispone la rete, tra cui le citazioni, i link e i libri che ho direttamente indicato nell'articolo, del volume di Arrigo Petacco, Le battaglie navali del Mediterraneo nella Seconda guerra mondiale, Milano, Ed. A. Mondadori, 1976, e del Vol. III della Storia controversa della seconda guerra mondiale, pagg. 69-74, di Eddy Bauer, Novara, Ed. Istituto Geografico De Agostini, 1971.
Mi piace citare in particolare anche alcuni blog e siti che ho consultato soprattutto per il vero e proprio tesoro di foto che contengono: La voce del marinaio, Storie del sud (tutte le foto dei combattimenti di Punta Stilo e Capo Teulada, come anche quella che raffigura il marinaio Teobaldo Motolese, padre dell'autore, le ho tratte da lì), La Regia Marina, STORIE IN DIVISA (molte delle foto dei marinai partecipanti alla battaglia, quelli di origine agrigentina, sono tratte da lì), Trento in Cina, Basco grigioverde, GRUPSOM..
Per saperne di più sulla battaglia:
http://www.quellidel72.it/altrosito/ge/matapan.htm
http://www.regiamarinaitaliana.it/Matapan.html
http://cronologia.leonardo.it/battaglie/batta37.htm
http://www.ilgiornale.it/news/ragazza-che-decise-capo-matapan.html
http://books.google.it/books?id=N3jPv-yONNoC&pg=PA101&lpg=PA101&dq=Formidable+portaerei&source=bl&ots=ZkrgY8PO8n&sig=s_-_QVBFzfLo_eq7rcRDvbwzVNM&hl=it&sa=X&ei=V50HVMiKCMTmyQPkvIDQDQ&ved=0CGIQ6AEwCQ#v=onepage&q=Formidable%20portaerei&f=false
Sulle medaglie al Valor militare riconosciute ai vari caduti dello Zara, con l'elenco di tutti i caduti, i dispersi, i militari in licenza e i prigioneri:
http://www.marinai.it/marinai/stabiesi/cattaneo.pdf
In particolare, sulle nuove rivelazioni emerse di recente da parte inglese:
http://www.leganavale.it/wps/wcm/connect/lni/0b9ee23b-e5d8-42d0-8104-c97c7e24598d/09_13art4.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=0b9ee23b-e5d8-42d0-8104-c97c7e24598d
Sulle concitate fasi dell'incontro fatale tra le navi di Cunningham e quelle di Cattaneo, dall'inseguimento alllo scontro vero e proprio, mi sono imbattuto in questo forum, che ringrazio:
http://pub10.bravenet.com/forum/static/show.php?usernum=795583276&frmid=18&msgid=1083232
La guerra segreta di Matapan (in lingua inglese):
http://www.cryptomuseum.com/people/mavis_batey.htm
Sul radar italiano:
http://www.comune.livorno.it/_livo/uploads/2008_07_10_10_09_57.pdf
Sull'impresa di Suda:
http://it.wikipedia.org/wiki/Attacco_alla_Baia_di_Suda
Nuove rivelazioni su Ultra e sul suo ruolo sopravvalutato:
http://www.analisidifesa.it/2014/04/ultra fine-la-di un-mito /
Sulla vicenda umana di Campioni e Mascherpa:
http://www.dodecaneso.org/vip7.htm
Su Carlo Emanuele Buscaglia, l'uomo che morì due volte:
http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Emanuele_Buscaglia
http://www.alieuomini.it/pagine/dettaglio/uomini,5/carlo_emanuele_buscaglia,28.html
Sulla storia di Francesco Chirico:
http://www.lamandragola.org/?p=443
Sulla vicenda dell'Ammiraglio Alberto Lais, su cui si appuntarono molti dei sospetti inerenti presunti tradimenti da parte italiana, smentiti da una sentenza definitiva della Cassazione ma rinfocolati dalla BBC inglese con un controverso sceneggiato tv trasmesso nel 1980 mai andato in onda in Italia, si rinvia a:
http://albertolais.it/
Sulla Rivista Navale H di Napoli del 5 maggio 1938:
http://www.marina.difesa.it/documentazione/editoria/marivista/Documents/2010/06_giu/Cernuschi.pdf
Sul bombardamento navale britannico di Genova del 9 febbraio 1941 (Operazione Grog):
http://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1941)
http://www.scmncamogli.org/oldsite/bomb_ge/nbomb_nar.htm
Sul primo bombardamento navale di Genova, quello francese del 14 giugno 1940:
http://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1940)
Sull'attacco al porto di Taranto (Operazione Judgement) rimando ad un mio futuro post sull'argomento.
Sulla battaglia di Punta Stilo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Punta_Stilo
http://www.regiamarina.net/detail_text_with_list.asp?nid=35&lid=2
Sullo scontro di Capo Teulada:
http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_capo_Teulada
http://www.regiamarina.net/detail_text_with_list.asp?nid=37&lid=2
Le foto inedite sulle battaglie di Punta Stilo e Capo Teulada le ho rinvenute nel sito:
http://www.storiedelsud.altervista.org/trieste%202/indextrieste.htm
Video sulla battaglia di Capo Matapan e sui suoi antecedenti:
- OPERAZIONE GAUDO, di CARLO CESTRA (2013)
- ITALIA IN GUERRA: ULTIMO MESSAGGIO DA CAPO MATAPAN (RAI, 1983)
Video: Il Film "Siluri umani" (1954), che prende liberamente spunto dall'impresa di Suda:
https://www.youtube.com/watch?v=Oo0-rcPq88E
Video su uno scontro aeronavale tratto dal film LA NAVE BIANCA (1941), con immagini riprese dal vero pochi mesi prima negli scontri di Punta Stilo e Capo Teulada (la nave da battaglia ripresa è con ogni probabilità la GIULIO CESARE, che venne effettivamente colpita a Punta Stilo da un proiettile da 381 mm della corazzata WARSPITE tirato da una distanza record di 24 km):
https://www.youtube.com/watch?v=kd5meoQo3as
Sulla storia di Francesco Chirico:
http://www.lamandragola.org/?p=443
Sulla vicenda dell'Ammiraglio Alberto Lais, su cui si appuntarono molti dei sospetti inerenti presunti tradimenti da parte italiana, smentiti da una sentenza definitiva della Cassazione ma rinfocolati dalla BBC inglese con un controverso sceneggiato tv trasmesso nel 1980 mai andato in onda in Italia, si rinvia a:
http://albertolais.it/
Sulla Rivista Navale H di Napoli del 5 maggio 1938:
http://www.marina.difesa.it/documentazione/editoria/marivista/Documents/2010/06_giu/Cernuschi.pdf
Sul bombardamento navale britannico di Genova del 9 febbraio 1941 (Operazione Grog):
http://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1941)
http://www.scmncamogli.org/oldsite/bomb_ge/nbomb_nar.htm
Sul primo bombardamento navale di Genova, quello francese del 14 giugno 1940:
http://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1940)
Sull'attacco al porto di Taranto (Operazione Judgement) rimando ad un mio futuro post sull'argomento.
Sulla battaglia di Punta Stilo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Punta_Stilo
http://www.regiamarina.net/detail_text_with_list.asp?nid=35&lid=2
Sullo scontro di Capo Teulada:
http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_capo_Teulada
http://www.regiamarina.net/detail_text_with_list.asp?nid=37&lid=2
Le foto inedite sulle battaglie di Punta Stilo e Capo Teulada le ho rinvenute nel sito:
http://www.storiedelsud.altervista.org/trieste%202/indextrieste.htm
Sullo stato di servizio nella Royal Navy dell'HMS Bonaventure (in lingua inglese):
http://www.naval-history.net/xGM-Chrono-06CL-Bonaventure1.htm
Video sulla Rivista Navale H di Napoli del 5 maggio 1938:
-PARTE I
-PARTE II
Filmati sul bombardamento di Genova del 9 febbraio 1941, da fronti contrapposti: https://www.flickr.com/photos/genovacittadigitale/sets/72157626011406824/detail/
Video sul ritrovamento del relitto affondato del cacciatorpediniere Quintino Sella: http://www.naval-history.net/xGM-Chrono-06CL-Bonaventure1.htm
Video sulla Rivista Navale H di Napoli del 5 maggio 1938:
-PARTE I
-PARTE II
Filmati sul bombardamento di Genova del 9 febbraio 1941, da fronti contrapposti: https://www.flickr.com/photos/genovacittadigitale/sets/72157626011406824/detail/
http://www.dailymotion.com/video/xffc90_cacciatorpediniere-Quintino-sella_news
Video: CON LA BANDIERA AL VENTO. LA REGIA MARINA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE (RAI STORIA)
Video: CON LA BANDIERA AL VENTO. LA REGIA MARINA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE (RAI STORIA)
Video sulla battaglia di Capo Matapan e sui suoi antecedenti:
- OPERAZIONE GAUDO, di CARLO CESTRA (2013)
- ITALIA IN GUERRA: ULTIMO MESSAGGIO DA CAPO MATAPAN (RAI, 1983)
Video: Il Film "Siluri umani" (1954), che prende liberamente spunto dall'impresa di Suda:
https://www.youtube.com/watch?v=Oo0-rcPq88E
Video su uno scontro aeronavale tratto dal film LA NAVE BIANCA (1941), con immagini riprese dal vero pochi mesi prima negli scontri di Punta Stilo e Capo Teulada (la nave da battaglia ripresa è con ogni probabilità la GIULIO CESARE, che venne effettivamente colpita a Punta Stilo da un proiettile da 381 mm della corazzata WARSPITE tirato da una distanza record di 24 km):
https://www.youtube.com/watch?v=kd5meoQo3as
Video sulla storia della corazzata Giulio Cesare:
https://www.youtube.com/watch?v=0uFrhDkj3fI
- L'AFFONDAMENTO DELLA CORAZZATA ROMA (ISTITUTO LUCE-FOX CHANNEL)
- INFERNO DI FUOCO- Carlo Cestra Production
- Il ritrovamento della corazzata Roma (25 settembre 2012, Porta a porta, RAI 1)