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Diavolo che scrive al pc

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Tic tic tic tic tic tic

lunedì 12 gennaio 2015

Io solidarizzo con Charlie, MA NON SONO CHARLIE



No, non mi sono dimenticato della triplice tragedia di Parigi, né ho voluto o voglio svicolare dal tema.
Semplicemente, volevo dare la mia opinione a cose fatte (per ora), senza farmi trascinare dalle viscere, dal pregiudizio, dalla (scontata) pietà per i morti e dall'(altrettanto scontato) odio per gli assassini.
Volevo CAPIRE.
E quello che ho visto non è stato bello.
Però è stato utile: ha mostrato tutte le contraddizioni del nostro mondo.

Come sarebbe stato bello, in barba all'ipocrisia dell'opportunismo, in una manifestazione del genere, vedere andare a braccetto Netanyhau e Abu Mazen, invece di trovarli tanto distanti l'uno dall'altro...

Un mondo che proclama ai quattro venti "Je suis Charlie".
Ma fa finta di nulla nel caso del brutale assassinio di Theo Van Gogh, sta zitto sulle continue denunce di Ayaan Hirsi Ali, porta Oriana Fallaci in tribunale per razzismo, chiede per bocca di Hollande ai Francesi di "evitare barzellette, vignette e battute sui musulmani" e condanna per islamofobia Magdi Allam, già destinatario di una fatwa per aver abiurato alla religione d'origine (indovinate quale?), dopo un suo articolo, certo forte nei contenuti ma assolutamente corretto nei toni, scritto otto anni fa quando il noto giornalista italo-egiziano era vice direttore del Corriere della Sera.
(Un notorio foglio antislamico, converrete...)

Ayaan Hirsi Ali, la deputata olandese di origine somala, sottoposta a infibulazione da bambina, costretta ad un matrimonio combinato dai suoi genitori e obbligata da anni a vivere in esilio, sotto scorta e con un nome falso per la fatwa emessa contro di lei da Al Qaeda dopo le sue aspre denunce contro certo mondo islamico


Un mondo che sfila per i venti morti di Parigi, con i Grandi Capi ben davanti (fortemente scortati a differenza della gente comune, dalla quale erano tenuti ben a distanza), tra i quali peraltro non era stata invitata Marine Le Pen e mancava il capo musulmano degli Stati Uniti
ma erano invece presenti diversi esponenti di quelle teocrazie religiose musulmane con le quali noi Occidentali facciamo anche lucrosi affari ma per le quali la blasfemia si punisce nella migliore delle ipotesi con le frustate, ma non di rado con la decapitazione (con la scimitarra, nemmeno su questo punto ha attecchito l'Illuminismo, la ghigliottina evidentemente non è islamica).

La tragica scena del mercato di Maiduguri




Ma anche un mondo che non sfila per i 2000 cristiani ammazzati in Nigeria da Boko Haram nel villaggio di Baka, che non s'indigna per le bambine di dieci anni indotte dagli Islamisti a farsi esplodere in mezzo alla gente sempre in Nigeria, l'altro giorno a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, e ieri a Potiskum, nello Stato nord-orientale di Yobe (v.qui), e che chiude occhi, naso e orecchie di fronte al caso di Asia Bibi in Pakistan, la donna cattolica da anni detenuta in condizioni invereconde in carcere in attesa che venga eseguita la condanna a morte decisa nei suoi confronti per una inconcepibile accusa di blasfemia ai danni del profeta Maometto, una donna per la quale ha pagato con la vita anche Salmaan Taseer, il governatore (musulmano) del Punjab, ammazzato come un cane per la sola ragione di essersi pubblicamente schierato a suo favore. 
(Vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Asia_Bibi e http://www.ilgiornale.it/news/politica/siamo-charlie-pure-asia-bibi-martire-cristiana-dimenticata-1081731.html).


Esecuzione capitale in Arabia Saudita


Un mondo che senza alcun imbarazzo sfila per la libertà di opinione, di pensiero, di stampa, di satira.
Ma s'indigna se il gruppo cristiano delle Sentinelle in piedi vuole sfilare in silenzio per le vie della città, con un libro in mano, senza fare altro.

Ahmed Merabet, il poliziotto di quartiere ucciso dai due fratelli Kouachi




Un mondo che fa notare come lo sventurato poliziotto francese ammazzato vigliaccamente a sangue freddo dai due bastardi figli del Maghreb fosse anche lui un integrato figlio del Maghreb.

Lassana Bathily, il giovane commesso originario del Mali che ha salvato alcuni clienti dell'Yper Cacher


Un mondo che mette in rilievo il coraggio del ragazzo musulmano di colore dipendente del supermercato di Parigi che ha messo in salvo i clienti ebrei dalla furia del senegalese assassino seguace dell'ISIS.
Ma che definisce solo "un atto di maleducazione, non di odio religioso", per opera dello stesso Vescovo Ausiliario della città (Dio l'abbia in Gloria)  l'abbattimento, la distruzione e il successivo pisciarci sopra di una statuetta della Madonna a Perugia (uso apposta un linguaggio molto terra terra, diciamo, perché tutta la melassa buonista di questi giorni non la sopporto più) da parte di un gruppo di non ben identificati "stranieri" (una volta, a proposito del terrorismo nostrano, si parlava di "sedicenti brigate rosse"), mentre un uomo umilmente stava pregando in ginocchio innanzi alla sua edicola in Via Tilli con la foto di una persona cara in mano.
Uomo che è stato a sua volta offeso e picchiato e ha visto la foto in questione fatta a pezzi da queste bestie infoiate dall'odio.


La Madonnina offesa in Via Tilli, a Perugia (Foto Fabrizio Troccoli)




Eppure non vedrete uno, uno solo, del miliardo e passa quasi due di Cristiani nel mondo intero attaccare con le bombe, i Kalaschnikov o gli RPG una moschea, un giornale, una metropolitana del mondo arabo per reazione a questo sconcio, che costituisce pure per la religione cattolica un atto di inqualificabile abiezione!
E dire che per molto meno il buon Calderoli, pur con quell'aria da pacioso orso Yoghi che si ritrova, è stato costretto a dimettersi da vicepresidente del Senato, esposto alla riprovazione generale mondiale e forse è costretto ancora a girare sotto scorta...





Eppure cosa aveva fatto? Si era limitato a indossare in tv una maglietta con su disegnata la riproduzione delle vignette satiriche di un giornale danese su Maometto.
Un giornale a sua volta minacciato e che i tanti fautori della libertà di stampa e opinione che ora indossano tutti la scritta Je suis Charlie a suo tempo avevano rimproverato di essere stato inopportuno, irriverente, offensivo verso l'Islam (nei confronti di Cattolici, Ebrei, etc. si può dire tutto quello che si vuole, invece...)
Quelle stesse vignette che avevano provocato l'indignazione dell'intero mondo arabo, dalla Libia allo Yemen all'Afghanistan, come se tutte le genti di quel mondo leggessero normalmente quel giornale danese...




Eppure parliamo solo di vignette, in fondo.
Vignette, come quelle di Charlie Hebdo.
Forse però addirittura  non così laide, sporche, vergognose.

Essì, perché qui siamo ritornati al punto di partenza, che poi è quello di arrivo di ciò che voglio dire.

Ho solidarizzato con Charlie Hebdo, certo che sì.
Non potevo non farlo, era un mio preciso dovere morale, civile, umano.
Cristiano, persino (spero che nessuno si offenda, di questo).
Ho partecipato commosso al lutto, più che francese, europeo per la strage compiuta dai due fratelli assassini.
Ho messo nel mio profilo facebook un'immagine di solidarietà nei confronti della rivista.
Ma una rivista che ho sempre trovato orrida, squallida, meschina e blasfema, che confondeva la libertà di satira con la totale, monomaniacale, parossistica, indecente licenza di offesa del sentimento religioso altrui, in nome di un nichilismo sessuomane e libertino di stampo più o meno illuminista, continua comunque a restare per me orrida, squallida, meschina e blasfema, anche se è stata ignobilmente colpita da un attentato vigliacco e immondo.
Non sarò così ipocrita, come i tanti sepolcri imbiancati che stanno dando sfoggio di sé in questi giorni, dal mutare opportunisticamente pensiero solo perché il vento ora gira così.



Ecco perché io SOLIDARIZZO con Charlie Hebdo.
PROVO SINCERO ORRORE per l'accaduto.
SENTO TANTA PENA per i poveri morti, uccisi dal fanatismo religioso certo, ma da un fanatismo che trova programmaticamente nel Corano la sua fonte ispiratrice. 
E unica.
Checché ne pensino le anime belle.
Ma, mi dispiace, IO NON SONO Charlie Hebdo.

E lo dico in nome proprio di quegli ideali di Libertà tanto propugnati da Charlie Hebdo, nemico giurato dell'ipocrisia e del politicamente corretto.
Ideali che dobbiamo SEMPRE difendere, però, contro TUTTE le minacce che ad essi vengano portate, da parte chi pretenda col terrore e con il fanatismo di imporci qualcosa contro la nostra volontà e le nostre leggi.
E senza fare figli e figliastri.
Allo schifo di Charlie Hebdo si risponde non leggendolo, o portandolo in tribunale se ci sono i presupposti.
Non con le sparatorie.
Non con gli attentati.
Non con le bombe.
Ecco perché pur provando sincera ripugnanza per quella testata invito tutti, compresi coloro che, come me, odiano certo giornalismo orribile, a combattere perché anche questo tipo di giornalismo possa liberamente vivere e prosperare in una libera e prospera democrazia.
La democrazia di tipo occidentale, con tutte le sue manchevolezze e le sue contraddizioni,  insegna proprio questo: troppo facile invocarla a favore delle proprie idee di libertà. 
E' proprio quando ad essere messi in pericolo sono quei fondamenti ideali che pure legittimano l'esistenza di ciò che non ci piace che dobbiamo insorgere tutti insieme per difenderla.



Questo vale per chi è preposto alla nostra sicurezza, ma vale anche per gli stessi strenui sostenitori del diritto di satira però...
Charlie Hebdo aveva comunque un grandissimo merito, rispetto a certo ciarpame satirico di nostra diretta conoscenza in Italia: nonostante le tante minacce ricevute non si faceva comunque problemi ad attaccare chiunque, senza distinzioni dettate dall'opportunismo, dalla politica, dalla moda o dalla paura, in primis ma non soltanto tutte le religioni, dalla cristiana (in genere cattolica), all'Ebraismo all'Islam. 
Guarda caso a farlo fuori è stato quest'ultimo.

Qui in Italia non accade e temo non accadrà mai.
Qui tengono famiglia.
Però per sfilare sfilano, eh...
E poi anche il nero sfila...








Vi lascio con una riflessione che ho tratto da fb, di Piero Ostellino, pubblicata sul Corriere della Sera dell'altro giorno (Il buonismo che ci acceca, del 10 gennaio u.s.), nella quale mi rispecchio in pieno.

Il miserevole spettacolo che l’Italia politica e giornalistica sta dando sulla strage di Parigi e il suo seguito è figlio allo stesso tempo — salvo minoritarie e lodevoli eccezioni — di carenza culturale e di stupidità politica. Entrambe sono la retorica supplenza della nostra identità ambigua e compromissoria. Perciò, in nome della convivenza con l’Islam, auspichiamo di fondare un nuovo Illuminismo, non sapendo palesemente che ce n’è già stato uno sul quale abbiamo fondato la nostra civilisation, mentre sono loro che non lo hanno ancora fatto e che dovrebbero farlo.
Ci si è lamentati che le forze dell’ordine francesi non fossero riuscite a catturare rapidamente i due lombrosiani criminali artefici della strage parigina. Ignoriamo, o fingiamo di ignorare, che ciò era dovuto al fatto che il cosiddetto estremismo islamico naviga nel mare delle collusioni e delle complicità con l’islamismo che chiamiamo ostinatamente moderato. Che moderato non è e che si è profondamente radicato nel continente con l’immigrazione. È stupefacente che a non capirlo sia proprio quella stessa sinistra che, da noi, aveva felicemente contribuito a isolare il terrorismo delle Brigate rosse prendendo realisticamente atto che esso navigava nel mare delle complicità antiliberali e anticapitalistiche generate dal «lessico familiare» comunista. L’ignoranza che, da noi, circonda il caso francese rivela l’incapacità culturale, non solo della sinistra, di capire che cosa è stata, in Occidente, l’uscita dal Medioevo, la separazione della politica dalla religione, la cancellazione del dominio della fede religiosa sulla politica e la nascita dello Stato moderno; incapacità di capire che si accompagna a quella di prendere atto, per converso, che l’Islamismo è ancora immerso nel Medioevo ed è soprattutto incapace di uscirne.

Le patetiche invocazioni al dialogo, alla reciproca comprensione che si elevano da ogni chiacchierata televisiva, da ogni articolo di giornale, sono figlie di un buonismo retorico, politicamente corretto, incapace di guardare alla «realtà effettuale» con onestà intellettuale. Non stiamo dando prova neppure approssimativa di essere gli eredi di Machiavelli, bensì, all’opposto, riveliamo di essere i velleitari nipotini di Brancaleone da Norcia, lo strampalato protagonista di una saga cinematografica. Il miserevole spettacolo che diamo è anche la conseguenza dell’insipienza culturale di una sinistra che — perduto il rapporto organico con l’Unione sovietica, spazzata via dalle «dure repliche della storia» — non sa, o non vuole, darsi una identità. La nostra insipienza politica è generata dall’incultura. Non abbiamo perso l’occasione, anche questa volta, di mostrare d’essere un Paese da Terzo Mondo al quale, come non bastasse, un Papa pauperista detta la linea fra l’ottuso entusiasmo di fedeli che mostrano di credere ben poco nel messaggio di Cristo e molto più di essere i sudditi di una gerarchia che assomiglia a una corporazione o a un partito. Avevo definito l’Islam, in un precedente articolo, una teocrazia, aggiungendo che qualsiasi tentativo, da parte nostra, di trovare con esso una qualche forma di conciliazione si sarebbe rivelato, a causa della contraddizione logica e storica, illusorio.

Che piaccia o no al buonismo, siamo diversi. È inutile nascondersi dietro il dito di un universalismo di facciata che non regge alla prova della logica e della storia. Siamo anche migliori, avendo noi conosciuto, e praticato da alcuni secoli — a differenza di loro che sono, e vogliono restare, una teocrazia — la separazione della religione dalla politica. Pur con tutti i nostri limiti, pratichiamo l’insegnamento dell’Illuminismo e siamo entrati da tempo nella Modernità, mentre loro ne sono ancora fuori e non danno neppure segno di volerci entrare. Viviamo in regimi che praticano la tolleranza nei confronti di chi non la pensa allo stesso nostro modo o professa una religione diversa dalla nostra; siamo società che, per dirla con Isaiah Berlin, professano e rispettano la «pluralità di valori». Chi non la pensa come noi, non è considerato e trattato come un nemico. Loro ci considerano «infedeli» rispetto alle loro convinzioni e alla loro prassi; un nemico da sterminare come hanno fatto nei confronti della redazione del settimanale satirico parigino il cui torto era di aver fatto dell’ironia sul loro credo. Per noi, gli islamici sono gente che la pensa in un modo diverso. Da figlio del Cristianesimo e del liberalismo mi chiedo come si possano uccidere uomini e donne in nome del proprio dio. Il criminale che torna sui suoi passi per finire un agente ferito e a terra è una bestia, con tutto il rispetto per gli animali. Le nostre reciproche culture sono inconciliabili ed è persino ridicolo auspicare che ci si possa incontrare almeno a metà strada. Dovremo convivere, sapendo che ci vorrebbero colonizzare e dominare attraverso quel «cavallo di Troia» che è l’immigrazione e che noi stessi incoraggiamo. Lo ripeto. Non siamo noi che dobbiamo riscoprire le nostre radici. Sono loro che devono rinunciare alle loro. Sempre che vogliano convivere pacificamente. Cosa di cui dubito.

Per saperne di più consiglio anche di leggere QUI.

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