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Diavolo che scrive al pc

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Tic tic tic tic tic tic

venerdì 29 maggio 2015

A proposito di diritti e doveri, di rom e di scontro tra civiltà



La vicenda della tragica carambola di Roma (v. QUI) ha ancora una volta messo sotto l'occhio dei riflettori l'annoso problema dei rapporti tra i cittadini italiani "normali" e i rom.
Premetto subito che sono poco sereno quando parlo di rom (una volta si diceva zingari e non si offendeva nessuno, ora bisogna dire per forza rom anche se è sbagliato, perchè ci sono anche i sinti, e semmai si dovrebbe usare il termine di romanì): circa un mese e mezzo fa a Ravenna, davanti a un centro commerciale, sono stato scippato di 70 euro da una signora appartenente a questa categoria, alta sì e no un metro e mezzo o poco più, pesante sugli 80 chili, di età indefinibile tra i 40 e i 70 anni, "ed il modo ancor m'offende".
Preferisco non tornare col ricordo all'accaduto perché temo di poter sbroccare: vi basti sapere che da quel momento ogni rom che mi si avvicini a meno di tre metri è diventato per me un potenziale "target" da annichilire in caso di movimenti strani nella mia direzione.
Brutto, lo so, probabilmente anche ingiusto se andiamo a questionare di massimi sistemi, ma siamo purtroppo costretti a vivere in questo sputo di roccia e acqua vagante nel Cosmo che si chiama Terra, e francamente arriva un momento in cui la vita diventa questione di "mors tua, vita mea".



Ecco, credo che il punto sia proprio questo.
Bisogna avere profondamente rispetto, non lo metto assolutamente in dubbio, per una civiltà antichissima come quella romanì, che affonda le radici  nell'India settentrionale di chissà quanti millenni fa, tuttavia...
Tuttavia è una civiltà e di conseguenza una cultura nomade, e questo la pone in assoluto contrasto, senza girarci troppo intorno, con le civiltà e le culture stanziali.
Come sono la civiltà e la cultura degli Italiani (e non solo loro, ovviamente).




Per definizione un nomade è un soggetto che, non avendo radici territoriali, non ha senso della proprietà (se non di ciò che si porta addosso, forse, e magari di qualche bene strettamente personale) perché vive di ciò che trova in giro. O baratta. O gli prestano.
O ruba.
Per questioni di mera sopravvivenza (ed è il motivo per cui, nonostante la loro palese antistoricità, si sono preservati fino ad ora) i rom vivono normalmente in comunità autoreferenziali che si spostano tutte insieme da una località all'altra, in cui ragionano, parlano, decidono rapportandosi solo e soltanto tra loro, in cui si sposano tra loro, fanno figli tra loro, i figli e i nipoti dell'uno sono anche i figli e i nipoti dell'altro, senza bisogno di documenti d'identità, certificati anagrafici, stati di famiglia...
E' normale, è ovvio, è persino razionale questo.
La necessità di codificare l'istituto matrimonale, la proprietà privata, l'esigenza dei documenti anagrafici, dei certificati di proprietà, delle norme giuridiche, dei contratti di compravendita immobiliare si sviluppa quando l'uomo smette di essere nomade e nutrirsi di ciò che trova sulla sua strada per trasformarsi in agricoltore e allevatore, diciamo tra i dieci e i ventimila anni fa, costruirsi una casa, mettersi insieme con altri che hanno avuto la stessa pensata per formare tra loro, tutti insieme, delle comunità indipendenti, certo, come quelle di chi resta(va) nomade, ma fondate sulla terra, sui confini, sul concetto di proprietà privata e pertanto con l'esigenza di difendere tutti insieme quello che la loro terra, entro i loro confini, col loro lavoro, produce(va), e di regolare tutti insieme le conseguenti necessità comuni, nel rispetto ognuno delle proprie prerogative.
E' così che si sono costruite le civiltà: partendo da una singola civitas, cioè da una città.
Ovviamente non lo stesso tipo di città che conosciamo noi, all'inizio, ma un piccolo coacervo di catapecchie tirate su alla bell'e meglio con legno, fango e sterco degli animali, esposte alle intemperie, agli attacchi di chi resta(va) nomade e degli altri coacervi confinanti di altrettante catapecchie tirate su con lo sputo, in una crudele lotta per la sopravvivenza che premiava solo i migliori, i più fortunati, quelli che si difendevano meglio, quelli che erano in grado di perpetuarsi col tempo regolamentando le unioni matrimoniali e le stirpi che ne derivavano, quelli che riuscivano ad aggrumare le alleanze più forti con i vicini, singoli o città che fossero, e così via...
Sotto questo punto di vista ci sarebbe quindi da discutere persino se quella romanì possa definirsi effettivamente civiltà, parliamoci chiaro.
Se il concetto di civiltà contiene in sè il concetto di città, esso va in radicale contrapposizione con il concetto di nomadismo.
Ma non voglio arrivare a certi estremi dialettici, perché anche se in sè il discorso fila convengo che potrebbe essere malinterpretato e quindi è meglio non addentrarvicisi: pura questione di opportunità, anche ipocrita se vogliamo, ma tant'è...
Il punto però è e resta questo: la civiltà umana, come ogni espressione animale (perché noi siamo animali come gli scimpanzè, gli ornitorinchi, le zanzare, ricordiamolo sempre...), nasce nomade. Ma solo l'uomo col tempo grazie al valore aggiunto del suo cervello si è trasformato in totalmente stanziale, riuscendo a contemperare due esigenze apparentemente opposte come l'insopprimibile senso della propria individualità e la necessità per sopravvivere di federarsi in comunità stanziali in rapporto le une con le altre, per poter trarre il meglio dal proprio lavoro e dalle proprie capacità e al contempo poterlo tutelare dai pericoli esterni, di qualunque natura essi siano.
Ecco, questo non è stato un processo rapido né indolore, è costato guerre, lutti, dolori, ha causato la scomparsa di intere civiltà, ha stravolto modi di vivere, di rapportarsi gli uni con gli altri, ha portato a mutamenti del panorama  ambientale, geologico...
Ma ha portato a ciò che siamo ora: bello o brutto che sia, noi ora siamo questi e per quanto ci lamentiamo non faremmo mai a cambio con la vita che facevano gli uomini primitivi nomadi di ventimila anni fa, quelli che campavano in media 25 o 30 anni, che morivano per un'infezione ai denti (marci), o perché mangiati dagli altri animali (o dagli altri uomini), che si alzavano ogni mattina per andare a cacciare col rischio di non tornare la sera, che facevano più figli con più donne (che spesso tra l'altro crepavano nel parto tra dolori atroci), vedendone morire regolarmente otto su dieci prima che compissero un anno di età, quelli che bastavano tre giorni di pioggia intensa per vedersi travolgere da un fiume in piena, senza riparo di alcun tipo...

Una tribù della Guinea


Ma c'è chi, nonostante tutto questo, è sopravvissuto e vive secondo i medesimi ritmi, criteri, priorità, pericoli di ventimila anni fa, di quando l'uomo non sapeva cosa fossero lo Stato, il denaro, la proprietà, i contributi previdenziali, i diritti acquisiti, i matrimoni gay, la donazione eterologa...
Si tratta in genere delle sperdute tribù che si rinvengono ancora adesso in remote zone dell'Africa, dell'Australia, dell'Amazzonia, e qui siamo veramente ad un improvviso ritorno al passato, dato che spesso per motivi geologici, storici, ambientali esse sono semplicemente rimaste tagliate fuori da quella che viene ritenuta comunemente la civiltà umana...
E si tratta appunto dei romanì, che invece da sempre vivono a stretto contatto col mondo civilizzato comunemente inteso, ne hanno assimilato diversi tratti, riescono a comprenderne (pur da "separati in casa") l'effettivo benessere che ne deriva, ma permangono comunque nomadi, e pur con tutte le nostre manchevolezze (è indubbio che, dai e dai, sono "separati in casa" anche per una parte di colpa nostra) pretendono di restare tali, di vedersi riconosciute le proprie peculiarità, ma al contempo vogliono avere gli stessi diritti che hanno gli altri.



Ecco, qui casca l'asino, come si dice.
Perché, fatti salvi certi diritti strettamente legati al fatto stesso di essere persone, e come tali assolutamente inalienabili e intangibili (ottenuti grazie al fatto che la civiltà umana stanziale è giunta ad individuarli e riconoscerli), la maggior parte dei diritti spettanti ai normali cittadini è legata ad un altrettanto notevole apparato di doveri.
Apparato di doveri che però la natura nomade dei rom non conosce, non comprende, non applica, non concepisce proprio.
Perché un soggetto può avere formalmente anche la cittadinanza italiana (o inglese, o spagnola, o americana, o turca), dato che da generazioni la sua famiglia vive in questo contesto territoriale, ma, per andare nel concreto:
1) se è abituato a prendere ciò che gli capita a tiro nel corso del suo percorso di nomade, che lo rubi, lo baratti o lo trovi per strada, insomma se è abituato a "predare", in maniera più o meno violenta, consapevole, istintiva, tutto ciò che si trova di fronte e poi, una volta desertificato tutto il territorio circostante, se ne va, dirigendosi verso altri lidi abbastanza promettenti da consentirgli di continuare a vivere la sua esistenza errabonda, non è in grado di comprendere nel profondo il concetto di proprietà privata, di confini, di furto, e quindi disconosce tutte le norme che siano poste a tutela della proprietà privata, dei confini e contro il furto;
2) se è abituato a vivere di accattonaggio, a maggior ragione se si porta appresso bambini piccoli sporchi e vestiti di pezze, spesso più d'uno, magari esponendo alla vista gravi infermità (spesso solo apparenti) per fare colpo, cosa vuoi che gliene freghi di concetti come il decoro urbano, l'igiene personale, l'esigenza di trovare un lavoro onesto per vivere?
3) e se è abituato a mettere tutto nella sua ristretta comunità autoreferenziale, dai vestiti ai proventi dei furti o dei baratti o dei ritrovamenti anche casuali, dall'allevamento dei figli e dei nipoti ai mezzi di locomozione, fregandosi delle esigenze di chi non appartiene alla sua comunità, nascondendo i reati che vi vengono commessi e proteggendo con l'omertà o il vero e proprio favoreggiamento attivo i loro autori, se è abituato a sposarsi giovanissimo ed a mettere al mondo più figli, se tutto questo viene messo in collegamento col suo essere indifferente allo spreco (perché solo chi tiene al concetto di proprietà capisce il significato di tale sostantivo), non si cura di pagare le utenze, di tenere pulita l'area in cui vive, di avere buoni rapporti di vicinato con gli altri...Be' è evidente che il combinato disposto tra promiscuità, isolamento, disordine, sporcizia, autarchia, non rispetto delle comuni regole di convivenza con l'altro, porta ad un vero e proprio MURO tra chi è romanì e chi non lo è, e finisce per alimentare pericolosamente certi fuochi d'insofferenza che col tempo e soprattutto in epoche di crisi come l'attuale diventano aperta intolleranza!
E di questo siamo colpevoli anche noi, che romanì non siamo, certo, ma soprattutto certe amministrazioni e certi circuiti politici, sindacali e in parte anche chiesaiuoli che gettano ulteriore sale sulla ferita per puri fini speculativi e ideologici, in barba alla realtà dei fatti e all'evidenza del disagio sociale che cresce sempre di più, in un contesto sempre più deteriorato in cui entrano ora anche le caterve di clandestini che noi andiamo a prendere direttamente con la nostra flotta a casa loro (e mica solo con la flotta nostra, ora ci pensano anche le altre flotte europee, grazie a quei geni che ci governano tra Strasburgo e Bruxelles).
Qui siamo ad un passo dalla guerra tra poveri (la donna morta nel grave fatto di Roma era una 44enne filippina integratissima, sposata con un connazionale, con due figlie adolescenti, con un lavoro e munita di regolare permesso di soggiorno), eppure sembra che nella Stratosfera dei nostri governanti non se ne accorga nessuno, presi come sono a pensare all'Italicum, ai matrimoni gay, alla cultura gender  e simili amenità, oltre che ai finti bonus previdenziali millantati dal nostro ineffabile Matteo Renzi (che è come se un debitore desse 1/20 di quanto deve, solo a 1/10 dei suoi creditori, e in più anni, lo chiamasse concessione sovrana e pretendesse pure che TUTTI lo ringraziassero...)



Non si possono pretendere eguali diritti se non si hanno eguali doveri, e questo vale per gli ambulanti clandestini che vendono roba contraffatta se non rubata, senza pagare le relative tasse e senza adempiere ai medesimi impicci burocratici che funestano ogni giorno la vita di chi è ambulante regolare, che sia italiano, non italiano o italiano acquisito, ma vale anche e soprattutto per chi pretende di avere gli stessi diritti, le stesse agevolazioni e lo stesso status dei cittadini "normali" ma contestualmente vuole continuare a vivere secondo le proprie regole e i propri costumi e in base alla sua specificità si vede tollerate dalle autorità cose che non sono accettate se a farle sono i "normali" cittadini italiani (tipo mendicare con appresso bambini piccoli e piccolissimi in condizioni igieniche spaventose, cosa che non porta mai come dovrebbe alla privazione della potestà genitoriale, quando invece molti genitori "normali" per molto meno si vedono affidare i propri figli agli istituti).




E a questo punto non ci sono terze vie.
Diventa un vero e proprio scontro tra due civiltà, due modi contrapposti di concepire la propria esistenza, il vivere con gli altri, il percepire i propri doveri rispetto al concreto agire.
Lo dico obiettivamente, rammaricandomi del fatto che non ci possano essere altre soluzioni ragionevolmente percorribili, senza alcuna acrimonia, davvero, perché è una cosa che sento da sempre, e non è certo l'episodio di un mese e mezzo fa a farmi velo su questo.
Ma delle due l'una.
Se ti senti rom e solo rom rispetto la tua cultura, ma tu devi rispettare la mia:  ti metto a disposizione sul territorio comunale, provinciale, regionale statale di competenza, per un limitato periodo di tempo (diciamo due o tre mesi, sei al massimo) apposite aree attrezzate, tu però paghi le utenze, tieni pulito tutto, non favorisci alcun genere di criminalità e poi te ne vai, perché ci sono altri come te che devono venire al posto tuo.
Se invece vuoi essere trattato, ed è altrettanto giusto e legittimo, come cittadino italiano allora rispetti le norme italiane, porti i bimbi a scuola, ti trovi un lavoro, non pretendi di vivere nella tua solita comunità d'origine ma ti integri sul serio, paghi le tasse, non rubi, e se ne hai i requisiti e le necessità chiedi di essere aiutato dagli enti preposti ad avere una casa popolare, o delle provvidenze di favore, mettendoti in coda con gli altri che, al pari tuo, hanno le medesime necessità e sono da più tempo in lista di te.
Ma non puoi pretendere "la botte piena e la moglie ubriaca", come si dice.
Con buona pace dei soliti noti.



I più buonisti diranno: ma così la cultura rom andrà a scomparire!
E' nelle cose purtroppo, d'altronde la Storia non è solo crescita e sviluppo culturale, civile, religioso, tecnologico, giuridico, non è solo città e cattedrali, scoperte geografiche e acquedotti, invenzioni e arte.
E' anche e soprattutto battaglie, guerre, sopraffazioni, despotismo...
...E civiltà scomparse.
Sono scomparsi  i Romani, sono scomparsi gli Indiani d'America, gli Etruschi, sono scomparsi gli Ittiti, sono scomparsi gli Unni, sono scomparsi i Vichinghi (popoli nomadi come e più dei rom, e decisamente più bellicosi...)
La Storia sa essere crudele a volte, ma scorre sempre seguendo i suoi ritmi e le sue deviazioni, che noi uomini non possiamo impedire.
Se è Destino che i rom debbano scomparire, fagocitati dalla superiore civiltà delle città (o qualcuno ha da obiettare anche su questo?), sarà così.
Pazienza, ce ne faremo una ragione.

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