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Diavolo che scrive al pc

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Tic tic tic tic tic tic

mercoledì 20 dicembre 2017

Ora tocca ad Umberto. Al Pantheon



Non sono mai stato né monarchico, né repubblicano in senso stretto, per me si tratta di due sistemi istituzionali che possono essere buoni o cattivi indipendentemente dalle prese di posizione ideologiche di ciascuno di noi, anche se ammetto una mia predilezione a pelle per la Monarchia Costituzionale, in cui il Sovrano è la personificazione stessa dello spirito di una Comunità, alieno dalle dispute politiche, senza immediati interessi elettorali, vero garante e rappresentante sommo del Popolo.

Ma la mia posizione non ha nulla di ideologico, si badi bene, è semplicemente dettata dall'idea che ci possa essere "un Giudice a Berlino", del quale tutti si possano fidare, senza pretese ovviamente di Verità assolute.
Detto questo, chi mi legge nei miei post "storici" sa che non sono mai stato tenero con Vittorio Emanuele III° e anche (in maniera più sfumata, ma più che altro perché non ho avuto modo di parlarne più approfonditamente) con Casa Savoia, così come sa che qui dentro ci sarà sempre un (misero, inadeguato, periferico, inascoltato finché si vuole) spazio in favore di Israele e più in particolare dei miei (nostri) fratelli maggiori ebrei.
L'aver promulgato le leggi razziali (ma dopo aver rifiutato ben due volte di firmarle) e il vergognoso caos dell'8 settembre sono due macchie profonde che sporcano in maniera sicuramente indelebile la sua parabola storica e umana, anche se a mio parere meno quella di Casa Savoia: in fondo Mafalda morì a Buchenwald, il ramo d'Aosta da sempre è stato tenuto fuori da ogni polemica, e poi il "Re di maggio" Umberto si comportò da vero Italiano sia quando implorò inutilmente il padre di poter restare lui alla guida dell'esercito a Roma nei giorni dell'Armistizio, sia quando decise spontaneamente di andare in esilio a esito del referendum istituzionale ancora largamente in dubbio e con più di 10 milioni di votanti sicuri a suo favore, con un esercito ancora quasi tutto monarchico e fondate ragioni per tentare di opporsi anche militarmente.
Fatta questa premessa non posso però, allo stesso modo, come da sempre cerco di fare nei miei modesti articoli, non considerare anche gli elementi a discarico di Vittorio Emanuele e della sua amatissima moglie Elena, Principessa del Montenegro, che ovviamente ne seguì la sorte come doveva essere ma di sicuro non è altrettanto colpevole degli errori ascritti al marito, ed anzi fu amatissima dalla gente per la sua umanità cristiana, dimostrata dalle sue opere caritatevoli, dal suo impegno nel soccorso alla popolazione di Messina nel 1908, dal suo forse ingenuo tentativo di far cessare la guerra scrivendo alle altre sei sovrane dei paesi ancora neutrali nel 1939, tanto che Pio XII° la premiò con la "Rosa della Cristianità" nel 1937.

La bara con la salma di Vittorio Emanuele appena arrivata in Italia


Vittorio Emanuele III°, certo, è stato personaggio contraddittorio e ha preso posizioni in molti casi assai discutibili, ma è stato anche il Re della Vittoria (perché, sia ben chiaro, la vittoria dell'Italia nel '15-'18, più che a quell'onest'uomo di Diaz, si deve a lui, che aveva visto più prime linee di tutti i nostri generaloni tanto da essere soprannominato "il Re Soldato",  l'unico capace di tenere ben salde le redini del comando dopo Caporetto, tanto da imporsi a Peschiera l'8 novembre 1917 come garante della tenuta dell'esercito e di tutto il paese di fronte agli alleati, che ormai diffidavano dei nostri comandanti, ottenendone così l'incondizionato aiuto).

Il Re Soldato



Non solo, ma ha portato a definitiva chiusura una frattura storica come quella con la Chiesa, che da quasi sessant'anni lacerava il nostro tessuto sociale e civile, ed ha comunque attraversato nel corso di quarantasei anni di regno (dal 1900 al 1946), facendo bene il suo mestiere almeno per una quarantina, due guerre mondiali, una maledetta epidemia di spagnola che ha fatto milioni di morti in tutta Europa, una crisi economica epocale e soprattutto un biennio '19-'21 di fortissime tensioni politiche, economiche e sociali che a seguito della fine dello Stato Liberale sarebbe poi sfociato nel Fascismo.
Facile oggi condannare col senno del poi la mancata repressione della Marcia su Roma, ma se si entra nell'ottica di quei tempi così complessi e di difficile lettura anche oggi possiamo capire come il sovrano di un paese appena uscito vittorioso ma comunque a pezzi dalla guerra non potesse muoversi con quella latitudine di mezzi e poteri che sarebbe stata richiesta in quel caso, tanto più che a norma di Statuto Albertino il primo governo Mussolini fu regolarmente votato in parlamento da una coalizione di più partiti e vide la presenza anche di ministri moderati.

Il rispetto delle regole e la responsabilità della Monarchia nel tenere unito il paese, questi due principi erano il suo mantra.
L'uomo infatti era di temperamento freddo e distaccato (tranne che verso la moglie, che amò sempre tantissimo): gli era stata data un'educazione severa (da bambino era autorizzato a mangiare coi suoi genitori solo due volte alla settimana), che l'aveva reso assai chiuso e riflessivo e forse proprio per questo aveva sviluppato dentro di sé un certo scetticismo esistenziale, che curava badando molto alle sue passioni, la numismatica (ha lasciato allo Stato italiano una collezione di monete che forse è la più preziosa del mondo), la storia e la geografia, col conseguente interesse ai viaggi, che magari gli consentivano di vivere quel po' di fantasiosa immaginazione che in Patria gli era preclusa.
Andato sul trono a soli 31 anni a seguito dell'assassinio del padre, Umberto I°, l'istruzione militare e culturale ricevuta ne aveva fatto un Sovrano molto compreso nel suo ruolo, e lui lo dimostrò sempre, rispettando alla lettera lo Statuto Albertino. 
Gli sviluppi successivi certo avrebbero portato al Fascismo e poi a tutto il resto, ma va anche detto, e sfido chiunque a sostenere il contrario, che la dittatura fascista, pur ormai conclamata dall'introduzione delle leggi "fascistissime", non ebbe comunque mai quei picchi di severità, crudeltà e disumanità che sarebbero stati conosciuti dalla Germania hitleriana e dalla Russia sovietica di Stalin (ma mica solo di Stalin...), e sicuramente Vittorio Emanuele (e il Papa) non furono estranei a questo.
D'altronde, parliamoci chiaro, alla grandissima parte del popolo italiano (compresi molti ebrei, che fino all'alleanza con Hitler furono in gran parte favorevoli a Mussolini, che d'altronde tutto era fuorché antisemita) la dittatura andava benissimo, e andò benissimo fino almeno ai primi mesi del '41, quando fu evidente la nostra inadeguatezza militare, raggiungendo vette di popolarità incredibili all'epoca della (ri)fondazione dell'Impero, con la conquista etiopica del '36.
Anche la caduta del Fascismo seguì lo stesso copione: fu di fatto un colpo di Stato (anche se parlare di colpo di Stato quando a ordirlo è il Re fa un po' specie), ma attuato nella piena conformità della legge e dell'ordinamento costituzionale.

Fu però con la fuga in massa verso Brindisi e l'abbandono a sé stesso dell'esercito che la Monarchia sabauda crollò: l'ignobiltà delle leggi razziali è palese, ma certo lo sfacelo dell'8 settembre è qualcosa di veramente esecrabile.
Non credo, francamente, che Vittorio Emanuele avesse paura, sono convinto che, ancora una volta, lui freddamente considerò che lo Stato italiano abbisognasse di una Monarchia nel pieno dei suoi poteri per assicurare una continuità di governo, e lo prova il fatto che obbligò Umberto, che voleva restare a Roma, a seguirlo.
Non c'era affetto di padre, qui, tutt'altro: credo che in realtà ancora una volta prevalesse l'idea che la Monarchia doveva dimostrarsi unitaria, e un Umberto finito in mano tedesca sarebbe stato deleterio, sia nel caso, probabile, che finisse torturato, fucilato o magari peggio ("Il Re scappa e fa ammazzare il figlio, si vergogni!"), sia nel caso che lo costringessero a diventare un fantoccio di Hitler, che era forse persino ancora più deleterio.

Il Santuario di Vicoforte


Tutto questo basta a redimere la figura di Vittorio Emanuele?
Probabilmente, sicuramente no, quelle due macchie sono troppo ampie per poter far finta di nulla.
Ma, al contempo, non posso non considerare che comunque il Re ha pagato con l'esilio, anche oltre la morte, le sue colpe, e Casa Savoia dal 1946 è di fatto uscita dalla Storia.
Credo che ora, ormai a settant'anni dai fatti, sia giunto il momento in cui l'Italia si dimostri matura a sufficienza per accettarne il ritorno, non magari al Pantheon come vorrebbero i suoi eredi, per una questione, almeno ora, di opportunità, ma al Santuario di Vicoforte sì.
Proprio dove qualche giorno fa per prima è stata portata l'amatissima moglie Elena (cui ogni mattina, per tutti i giorni del suo matrimonio, il pur algido marito lasciò sempre una rosa al momento del risveglio).

13 giugno 1946: Re Umberto saluta l'Italia.
Un'ultima cosa: mi sento di dare ragione, e non accade spesso, ad Emanuele Filiberto.
Vittorio Emanuele non aveva grandissima stima del figlio, come prova anche il fatto che il 5 giugno 1944, pur pressato in tal senso, non abdicò, ma semplicemente lo nominò Luogotenente del Regno, e tale Umberto restò fino al 9 maggio 1946, quando finalmente divenne anche lui Re, il Re di maggio appunto.
Ma proprio Umberto dimostrò, invece, proprio a partire dall'8 settembre 1943, con la volontà frustrata di restare a Roma in mano tedesca, poi con l'accettazione silenziosa di quella scelta del padre in qualche modo umiliante di designarlo Luogotenente, come se fosse un semplice facente funzioni, e con il suo eccellente comportamento successivo, dal periodo luogotenenziale sino alla decisione di andare in esilio nonostante in tanti spingessero affinché si rivoltasse al voto contrario del referendum, di essersi trasformato da quel Brutto Anatroccolo che forse pensava il padre ad uno splendido Cigno.
Un Cigno che ben avrebbe potuto onorevolmente portare il titolo di Re d'Italia.


Ecco perchè ora è giusto che tocchi a lui, l'ultimo che ancora riposa al di fuori del Patri Confini.
Fate ritornare anche lui.
E fatelo riposare al Pantheon.
Lui sì, lo merita.


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