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Diavolo che scrive al pc

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Tic tic tic tic tic tic

venerdì 13 marzo 2015

Ma prima o poi anche l'ultimo dei Mohicani muore...



Eravamo almeno in 350 lunedì scorso, il 9 marzo, a vedere "Il Segreto di Italia" al Cinema Astra di Modena.
Un successo incredibile.
Nella città rossa per eccellenza.
In prevendita erano stati piazzati 300 biglietti, alla serata se ne sono venduti altri 50.
All'inizio era prevista la saletta più piccola, da 190 posti, mi dicevano.
Poi i biglietti venduti cominciavano a diventare veramente tanti, e allora si è pensato di mettere a disposizione una sala più grande.
Alla fine la richiesta di biglietti è stata talmente alta che la direzione del cinema ha deciso di mettere a disposizione la sala più grande, credo di quasi 500 posti a sedere.
Ringrazio personalmente l'amico Fabio de Maio, che mi ha gentilmente fornito i biglietti (8, ne ho acquistati 8), Serena Mangino, dal cui profilo fb ho preso le foto del cinema, e le due associazioni culturali "Modena 900"  e "Le Stelle danzanti" che, scusate il termine, "si sono fatte un mazzo così" per portare questo film proprio qui da noi, nella terra del "Triangolo della Morte", venendo premiati da un intervento registrato qualche ora prima dallo stesso regista Antonello Belluco, mandato in onda immediatamente prima del film.









Veh chi c'è...C'è anche il vostro Forcone qui, mischiato tra la gente...:-)

Che dire, de "Il Segreto di Italia"?
Be', è un film molto bello, toccante, e anche delicato, se consideriamo i temi di cui trattava.
Un prodotto di (alto) artigianato, certo, e non poteva essere diversamente, dato il cast composto per lo più di attori non professionisti e i pochi mezzi a disposizione, ma questo ne ha forse paradossalmente migliorato la qualità, perché ha innervato la freschezza dell'intreccio e la spontaneità della recitazione.

L'arrivo di Ada in paese, nell'ufficio del podestà




La prima cosa che si nota infatti è una cura certosina nell'ambientazione storica della vicenda, dalle macchine, ai modi di parlare (per lo più in dialetto padovano, ma comprensibilissimo, e poi è così dolce il dialetto padovano...), ai vestiti e alle acconciature della moda del tempo, alle divise: per niente facile, considerato il ridotto budget a disposizione e i numerosi boicottaggi che hanno reso improba la fatica di portare a termine l'opera anche (se non soprattutto) sotto il profilo della verosimiglianza storica.





La trama si dipana nello spazio di un mesetto o poco più, a partire dagli inizi di aprile del '45, in cui si passa da una situazione apparentemente tranquilla, anche assurdamente leggera, come se la guerra fosse cosa lontana, coi Tedeschi occhiuti e severissimi cani da guardia del territorio, col lavoro nei campi che prosegue come sempre, le lezioni a scuola, le festicciole di paese, l'ordinaria vita di tutti i giorni insomma, fino all'orrore più indicibile, quando verso la fine del mese, col crollo del fronte nel nord Italia, i Tedeschi si dileguano all'improvviso, il podestà  e i principali esponenti fascisti scappano e in paese arrivano i partigiani a portare la libertà della bandiera rossa, sotto il comando dello spietato Ramon (Andrea Pergolesi), nome di fantasia sotto il quale viene ovviamente celato per questioni legali il vero protagonista negativo di quei fatti, Arrigo Boldrini, "il "Comandante Bulow", capo della 28° Brigata Garibaldi "Mario Gordini".

Il comandante Ramon parla con il parroco
L'arrivo dei partigiani in paese sembra all'inizio quasi pacifico, ma in realtà porta ad un'incredibile trasmutazione delle persone: lavoratori fedeli che all'improvviso si rivoltano a chi gli dava lavoro, amicizie che finiscono, invidie e odi covati negli anni che portano alle denunce, pettegolezzi che diventano alimento di maldicenze...




Si passa così in poco tempo dalle requisizioni, agli arresti, ai rastrellamenti, ai processi sommari, condotti con le spicce, fino alle esecuzioni, barbare, criminali, attuate in forma indiscriminata contro fascisti e presunti tali, i loro parenti, amici, sodali, sugli argini del Brenta e del Bacchiglione...

Il processo popolare termina con la condanna a morte



Sarebbe stato molto semplice, con un altro tipo di regia, non foss'altro per dare un po' di (facile) pubblicità ad un'opera che di pubblicità aveva bisogno, visto il boicottaggio di cui è stata fatta oggetto, indulgere agli effettacci più truci, allo splatter più inverecondo: sarebbe stata una scelta comprensibile, e d'altronde del tutto in linea con gli avvenimenti trattati.




E invece no. 
La grande virtù di questo film è anche questa: riuscire a tratteggiare l'orrore più indicibile in un modo tanto sofferto quanto delicato, tanto che alla fine a rifulgere di più, all'interno di questa storia mostruosa, è la purissima cotta della neo quindicenne Italia Martin (Gloria Rizzato), figlia dell'agricoltore Franco (Giovanni Capalbo) e di Milena (Elisabetta De Gasperi),  per il diciottenne Farinacci Fontana (Alberto Vetri), un ragazzo che pur restando nascosto non vorrà scappare come gli altri, nonostante il nome politicamente compromettente e la sua fede ingenua nel fascismo ormai finito, consapevole di essere senza macchia, ma morirà per il solo torto di essere il figlio del capo della brigata nera locale.
E morirà proprio perché denunciato ai partigiani da Italia, colta da folle gelosia quando lo vede amoreggiare con la sua nuova amica Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini), la sofisticata, malinconica giovane vedova di un eroe di guerra, sfollata da Fiume (altro tema che viene sfiorato, quello dei profughi dall'Istria, non per niente oggetto del prossimo film di Belluco) e arrivata in paese all'inizio della vicenda, alloggiata proprio presso la famiglia Martin.

Farinacci, Ada, Italia con la cagnetta Isotta in braccio



Ma Farinacci non sarà l'unica vittima innocente di quella indegna carneficina: una fine se possibile anche peggiore attende una povera ragazza, la venticinquenne maestra del paese, Corinna Doardo (Monica Garavello), seviziata orrendamente, costretta a camminare seminuda e rapata a zero per le vie cittadine sotto gli occhi impauriti e pieni di orrore dei suoi stessi scolari, tra cui il più piccolo dei Martin, il fratello minore di Italia, e infine uccisa solo perché fervente fascista e nulla più.
Come il 90% degli Italiani di allora.
Molti dei quali, in quei giorni, ebbero la stessa trasmutazione genetica conosciuta in quel mesetto o poco più dagli abitanti di Codevigo.

La povera Corinna Doardo viene trascinata in queste condizioni per le strade (fatto vero)



E' questo il terribile segreto che Italia serberà per sempre nel suo cuore, da quel momento in poi...





Italia si pentirà subito della sua meschina azione, ma non riuscirà a salvare la povera Ada, morta praticamente tra le sue braccia, nella notte, durante il tentativo di fuga dai suoi aguzzini, né tanto meno Farinacci, il cui corpo martoriato, insieme a quello di tanti altri, scorre nella sera buia sulle acque del fiume per andare a finire chissà dove, mentre la sua povera cagnetta Isotta, raggiuntolo a nuoto, piange penosamente per il dolore dopo esservi salita sopra, in quella che sotto certi aspetti è la scena più straziante del film...

Ada viene gettata nel fiume insieme con centinaia di altri compagni di sventura

Tutti colpevoli, dunque? I truci Tedeschi che appena la situazione precipita scappano all'improvviso? Il podestà che li segue dappresso coi suoi scagnozzi più fedeli? Lo stesso padre di Farinacci, Sante (Amedeo Gagliardi), che scappa ad Asiago dai cugini comunisti della moglie col resto della famiglia senza sapere dove sia il figlio? I partigiani assassini? La gente comune che si dimostra all'improvviso falsa, doppiogiochista, preda dei risentimenti e delle miserie umane più turpi?




No, questo dice il regista: anche nell'orrore può esserci il buono.
E il buono in questo caso è la Fede pura e limpida del parroco del paese (Valerio Mazzucato), che non fa che inneggiare alla concordia e alla riappacificazione degli uomini e delle idee.



Il buono è anche se vogliamo nell'umanità dei sentimenti che nascono in guerra tra le persone più diverse, come la solidarietà che lega tra loro i parenti di Farinacci Fontana, coi cugini comunisti che ospitano ad Asiago il fascistissimo padre, Sante Fontana, con la moglie e le altre figlie in fuga, o come l'amicizia che lega all'inizio della vicenda l'adolescente figlia di contadini Italia con la giovane vedova fiumana, di presumibili nobili ascendenti, Ada, o ancora come l'istintiva pietà che quest'ultima prova per l'inglese morente, un pilota abbattuto, esattamente come suo marito, caduto dalla parte opposta anni prima in Grecia, o come la fugace e alla fine tragica storia che lega tra loro nel destino mortale sempre la stessa malinconica vedova Ada e il puro e romantico Farinacci, coinvolto in una vicenda tanto più grande di lui.





Il buono è l'idealismo quasi autolesionista del coraggioso partigiano "buono", il marchigiano Mauro (Fabrizio Romagnoli), il primo a giungere nel paese ancora occupato dai Tedeschi per esaminare la situazione e fotografare le personalità locali più compromesse da sottoporre a processo, ma anche il primo ad inorridire per i metodi sanguinari dei suoi compagni di lotta, che vanno ben oltre gli originari intenti (almeno quelli ufficiali) proclamati dal C.N.L., tanto da scontrarsi apertamente con parole forti contro Ramon e da salvare dalla fucilazione il padre di Italia, fascista certo ma onesto, incorrotto e virtuoso padre di famiglia, tutto casa, lavoro e chiesa.

Il buono è anche l'Amore disinteressato e puro della piccola cagnetta per il suo giovane padrone, un Amore che viene premiato: nonostante tutto Isotta riuscirà infatti a salvarsi, e mentre disperatamente corre lungo la strada verso casa Martin verrà raccolta e portata via dalla famiglia, in fuga sulla vecchia Balilla verso zone più quiete.



Ma il buono è soprattutto la fresca e spontanea ingenuità innocente di Italia, che riuscirà infine, pur piena di sensi di colpa, a fuggire con tutta la sua famiglia (altro elemento buono, la famiglia, un'istituzione che invece ai tempi di oggi si vuole a tutti i costi buttar giù, come se fosse al contrario un qualcosa di malevolo, di disturbante, di negativo), a ricostruirsi una vita in America, ed a starsene lontana per decenni dalla natia Codevigo, fino a quando vi tornerà, settantenne, nel 2000, a tanti anni da quei tragici fatti, in occasione del matrimonio della nipote, figlia del fratello minore, anche lui scampato alla tragedia.



E proprio qui, dopo tanti anni, l'ormai matura Italia (un'intensa Romina Power, unico nome famoso del cast) trova la sua pace, quando l'ormai anziano partigiano Mauro, dopo averla riconosciuta,  il solo a conoscenza del suo segreto, riuscirà a parlarle e a convincerla che non per colpa sua sono morti Ada e Farinacci, ma per colpa della guerra e delle sue logiche assurde, donandole la collanina con la croce che Farinacci portava al collo la notte del suo assassinio...




E che ltalia preferirà dare al padre di Farinacci, Sante, il vecchissimo ex vicecomandante della brigata nera, sopravvissuto chissà come a suo figlio, e divenuto nel corso di tutti quegli anni amico dello stesso partigiano Mauro, pure una volta suo mortale nemico.

E' su rive come queste che si è svolta la tragica vicenda di Codevigo

E' il cerchio che si chiude, e insieme la morale del film.
Nelle ultime scene Italia e Mauro vanno al cimitero a trovare tutti coloro che fanno parte della loro storia, che è la storia del nostro paese negli ultimi settant'anni: ci sono le lapidi dei genitori di Italia, che lei non ha più visto una volta scappata in America, ci sono quelle dei poveri morti, almeno quelli riconosciuti, della strage di Codevigo, ci sono presumibilmente quelle di almeno alcuni degli autori di quella carneficina, ci sono sicuramente quelle dei tanti che in quell'occasione si comportarono come meglio credettero per salvare le loro vite, o magari quelle degli altri, perché no...
Il Destino in certi casi gioca a rimpiattino con gli uomini, li costringe a fare scelte che magari non avrebbero mai pensato di fare, o magari a non farne quando normalmente le avrebbero fatte: le circostanze di tempo, di luogo, le situazioni personali, le vigliaccherie, gli eroismi, la spinta degli eventi e delle cose, chiamiamo tutto come vogliamo...
Cosa c'è di più umano di questo?



Non furono necessariamente e invariabilmente tutti buoni da una parte e tutti cattivi dall'altra, come da sempre una cattiva storiografia cerca di dirci.
Nessuno di noi, ORA, può giudicare quei fatti con l'accetta dell'ideologia, che è insieme fuorviante, inutile, scorretta e soprattutto ingiusta.
Un popolo, senza la consapevolezza della sua Storia, perde la ragione stessa del suo essere popolo.






La verità, suggerisce il film, è che dopo tanto tempo è l'ora di chiudere le vecchie ferite, di finirla con gli odi, di trovare le vie per una vera pacificazione fra Italiani, al di là degli orrori della guerra, al di là degli orrori dell'immediato dopo guerra, senza schieramenti ormai senza più alcun senso, nel segno della Croce, nel segno delle nostre comuni tradizioni, del nostro essere tutti Italiani, nel segno della Pace e dell'Amore tra gli uomini.
Soprattutto nel segno della Verità.
Verità storica.
Verità ideale. 
Verità umana.


L'omelia del parroco di Codevigo fatta alla notizia della fine della guerra, vista con gli occhi dei bambini



E' un film che fa riflettere, questo, che pone dei temi, che si fa delle domande e pretende delle risposte, vere, serie, importanti.


Cinquantacinque anni dopo...



Vedendolo ho pensato ai miei nonni paterni, a mia nonna Anna che come la povera Corinna Doardo era maestra di paese e fervente fascista e nulla più, a mio nonno Francesco, che si è trovato anche lui dalla parte "sbagliata" e proprio nel terribile periodo del film discese chissà come l'intera Italia per tornare nella natia Puglia, tra incredibili rischi e avventure, ai due fratelli di mia nonna, uno schieratosi con la X MAS l'altro invece ufficiale italiano del neoricostituito Regio Esercito distaccato presso l'8° Armata inglese, ma anche ai miei nonni materni, Giovanni, che sempre rifiutò la tessera del Fascio, sin dall'inizio della guerra richiamato in marina e fuggito dalla base di Augusta insieme con tutti gli altri compagni al momento dello sbarco alleato in Sicilia, obbedendo a ignobili ordini superiori, e la moglie Irene, che in perfetta solitudine nei suoi poco più di vent'anni era stata costretta ad allevare due figlie nella Bari povera, bombardata e triste di quei giorni così lontani, eppure per molti ancora così vicini...
Potevano esserci anche loro, nel maledetto crocevia di Codevigo, in quel mese e mezzo di follia, e tutti quanti avrebbero dovuto fare i conti con il ruolo che il Destino gli aveva assegnato.





Siamo cambiati molto, da allora, noi Italiani, forse in peggio, ma di sicuro siamo cambiati.
Temo che l'ANPI questo non l'abbia capito e probabilmente non lo voglia capire.
Ma prima o poi anche l'ultimo dei Mohicani muore.

 P.S. Per chi si fosse perso il film e lo volesse vedere.

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