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domenica 10 giugno 2018

La battaglia dell'Ortigara




Tra il 10 ed il 29 giugno 1917, partita quando ancora la decima battaglia dell'Isonzo doveva finire, si sarebbe svolta sul fronte italiano un'altra ferocissima battaglia, prevista originariamente come immediata risposta italiana alla Strafexpedition ma spostata in avanti di ben un anno rispetto alle intenzioni originarie e su un settore del tutto diverso, l'Altopiano di Asiago, detto anche dei Sette Comuni, presidiato dal III° C.A. austro-ungarico del General der Infanterie Joseph Krautwald Ritter von Annau appartenente all'XI° Armata del Generaloberst (Colonnello Generale) Viktor von Scheuchenstuel:

Josef Krautwald von Annau
(Vienna, 1 ottobre 1858-
Bratislava, Slovacchia, 13 aprile 1925)

- nella Val d'Assa, compresa tra la parte terminale della Val d'Astico e Roana, era posizionato il gruppo al comando del colonnello brigadiere Rudolf Vidossich (5 battaglioni);

- da Roana al Monte Colombara (1828 m) la 22° divisione Schutzen del Maggior Generale Rudolf Muller (11 battaglioni); 

- da qui al ciglio settentrionale dell'altopiano la 6° divisione di fanteria del Luogotenente Feldmaresciallo Artur Friedrich Edler von Mecenseffy (17 battaglioni);

- di seguito la 18° K.u.K. slovena di Mostar, ai comandi del Maggior Generale Julius Vidalè von San Martino (7 battaglioni).

Di riserva erano infine 6 battaglioni e mezzo d'assalto dell'XI° Armata.
In totale erano circa 48 battaglioni, col supporto di 400 pezzi di artiglieria ben posizionati su tutte le cime del complesso montuoso e ben 400 mitragliatrici.


Ettore Mambretti
(Binasco, MI, 5 gennaio 1859-
Roma, 12 novembre 1948)
Di fronte a loro era schierata l'intera VI° Armata del Tenente Generale Ettore Mambretti, un alto ufficiale di per sé estremamente valoroso ma circondato da un imbarazzante alone di diffidenza in tutto l'esercito per una certa fama di jettatore (comprovata anche dall'epistolario di Cadorna) che qualche rovescio militare subito in carriera non aveva fatto che far lievitare...
Cadorna personalmente a certe superstizioni non credeva per niente, ma non essendo stupido né cieco si era perfettamente reso conto che quella brutta nomea cominciava ad essere deleteria per il morale dell'esercito.





Preparata con larghezza di mezzi e di uomini e per la prima volta con un supporto pianificato dell'arma aerea, l'offensiva avrebbe coinvolto 9 divisioni appartenenti a 4 corpi di armata, e prevedeva tre distinte azioni: 

- il XX° C.A. del Tenente Generale Luca Montuori (29° e 52° divisione) ed il XXII° C.A. del parigrado Ettore Negri di Lamporo (57°, 25°, 13°, con la 27° in posizione defilata di retroguardia), distesi lungo un fronte di 14 chilometri che andava da Cima Caldiera alla Val d'Assa fino al limitare del paese di Camporovere, dovevano effettuare l'azione principale, il primo a  nord-ovest dell'altopiano sui monti Ortigara (2105 m) e Forno (1911 m), il secondo contro le posizioni nemiche di sud-ovest, tra lo Zebio (1717 m) ed il Mosciagh (1556 m);

- il XXVI° C.A. del Tenente Generale Augusto Fabbri (12° e 30° divisione) doveva affiancare al contempo con un'azione concorrente il XXII° C.A. a sinistra, attaccando direttamente il caposaldo meridionale del nemico sul Monte Rasta, a ridosso di Camporovere, che insieme con quello di Monte Interrotto (1412 m) proteggeva l'accesso al Mosciagh;

- ed infine il XVIII° del Tenente Generale Donato Etna (quasi sicuramente figlio illegittimo di Vittorio Emanuele II°), con a disposizione però una sola divisione, la 51°, doveva tenere impegnato il nemico con un attacco sussidiario dimostrativo in Valsugana, che poi sarebbe dovuto sfociare se tutto fosse filato liscio nell'assalto al Monte Civeron (1032 m), proprio ai piedi dell'Ortigara, per creare un collegamento col XX° una volta che questo avesse conquistato quella cima.

Si trattava di quasi 300.000 uomini (la metà appartenenti al XX° C.A.), con 114 battaglioni di fanteria, 22 di alpini, 18 di bersaglieri e 10 del genio, più reparti indivisionati di mitraglieri e genieri, i servizi e le artiglierie: ben 1.504 bocche da fuoco italiane (29 grossi calibri, 474 medi, 450 piccoli, 551 bombarde), integrate da aliquote di due batterie ferroviarie da 320 mm ed una di 6 pezzi da 190 inviate dalla Francia ed in parte servite da personale senegalese, con una densità di un pezzo ogni 9 metri, la più alta mai vista finora sul fronte italiano, quasi analoga a quella dell'offensiva di Nivelle sul fronte occidentale di un mese prima.
Una (s)proporzione di forze di 3 a 1 a favore degli italiani, eppure...

Il problema era che le truppe italiane incaricate dell'attacco su tutte quelle cime dovevano concentrarsi insieme e poi scendere dalle pendici di Cima Caldiera (2124 m) e del Monte Lozze (1959 m), attraversare allo scoperto tutta quella pericolosissima "terra di nessuno" compresa tra il Vallone dell'Agnellizza e la Pozza dell'Agnellizza e successivamente risalire sulle cime 2003, 2101 (Cima Le Pozze per gli austriaci) e 2105 saldamente presidiate dal nemico, tutto questo sotto il tiro continuo di tutte le artiglierie avversarie schierate ad arco su Cima Undici (Cima delle Pozze, 2229 m), Cima Dodici (2336 m), Castelnuovo (Cima Dieci, 2215 m) ed Ortigara e capaci di battere da nord-ovest ogni singolo metro di quel percorso, con i grossi calibri in Valsugana ed i pezzi da montagna su tutte le vette.

Viktor von Scheuchenstuel
(Witkowitz, Moravia, 10 maggio 1857-
Vienna, 17 aprile 1938)
L'offensiva, com'era d'altronde prevedibile, nonostante si dispiegasse come detto su 14 chilometri di fronte si sarebbe di fatto risolta purtroppo in un feroce scontro su un arco spaziale di soli 2, circoscritto al solo massiccio dell'Ortigara, e sarebbe terminata in un colossale fallimento, per di più con un enorme dispendio di vite umane, anche per la superficialità diciamo ingenua con cui fu architettata e poi condotta, lasciandone pressoché immutati i piani originari messi giù un anno prima nonostante gli austriaci avessero rafforzato le loro posizioni lungo tutto il corso del torrente Assa, all'estremità orientale dell'altopiano, attraverso i monti Rasta (1214 m), Zebio, Colombara, Forno, Chiesa (2061 m), Campigoletti (2052 m) e Ortigara, ed apprestato anche numerosi nidi di mitragliatrice, piazzole di artiglieria, ricoveri e gallerie in caverna sul pianoro dove insistevano Cima Dodici e l'Ortigara, proprio i principali obiettivi dell'attacco.
Non solo, ma nonostante si sapesse pure benissimo che il nemico da tempo era venuto a conoscenza persino del nome dato all'attacco dagli italiani, quello di "Operazione K" (nel Carso capitò che dalle prime linee nemiche sfottessero le vicine trincee italiane esponendo cartelli con la scritta "Ma quando comincia l'operazione K?"), i nostri Alti Comandi non trovarono di meglio che escogitare un solo, geniale rimedio: cambiarne il nome in "Ipotesi Difensiva Uno" lasciando immutato tutto il resto...

L'azione principale era affidata:
a nord, in direzione dell'Ortigara e del Monte Forno, alla 29° divisione del Tenente Generale Enrico Caviglia (brigate Arno, Grosseto e Pesaro, 3° reggimento Piemonte) ed alla 52° alpina del Maggior Generale Angelo Como Dagna Sabina, costituita da ben 18 battaglioni alpini del XX° C.A.;
a sud, verso Quota 1626 di Monte Zebio e Monte Rotondo, alle divisioni di fanteria 13° del Maggior Generale Roberto Bassino (Catania, Veneto e 4° Piemonte), 25° del parigrado Amos Del Mancino (Sassari e Piacenza) e 57° del Tenente Generale Arcangelo Scotti (con la sola brigata Porto Maurizio) del XXII° C.A.
L'azione concorrente sulla sinistra del settore del XXII° era invece assegnata alle brigate Cremona (30° divisione) e Casale (12°) del XXVI° C.A.


L'attacco doveva partire il 9 giugno, ma lo scoppio prematuro alle 17,00 del giorno 8 davanti al Caposaldo A di fronte alla Lunetta del Monte Zebio (Quota 1603) di una mina (tra i 1.000 ed i 4.000 chili di esplosivo) che doveva invece esplodere al termine del bombardamento preparatorio sotto i trinceramenti austriaci per favorire l'assalto di due battaglioni del 145° Catania della  13° divisione,  forse a causa di un fulmine che colpì i circuiti di accensione non bene interrati, aveva causato il crollo di una parete rocciosa di 7 metri ed un cratere di 35 di diametro, portando alla morte di ben 180 uomini tra fanti e genieri, tra cui 13 ufficiali del 145° presenti sul posto in ricognizione (altri 9 furono feriti), e persino di 35 uomini del presidio nemico!
Emilio Lussu
(Armungia, CA, 4 dicembre 1890-
Roma, 5 marzo 1975)
Questa fatalità, che aveva richiesto persino una tregua d'armi per poter disseppellire gli sventurati travolti dall'esplosione (solo due furono recuperati ancora vivi!), unita al tempo veramente bruttissimo, aveva portato al rinvio di un giorno dell'attacco ed aveva ulteriormente messo sul chi va là il nemico, che già da più di un mese aveva notato l'irrobustimento del XX° C.A., con l'afflusso in zona di diversi battaglioni alpini, la costruzione di alcuni osservatori di artiglieria e l'avvenuta macellazione di poco più di un migliaio di capi di bestiame.
"L'avvenimento fu considerato come un cattivo presagio", avrebbe scritto nel suo romanzo "Un anno sull'altopiano" il noto scrittore, polemista e politico sardo Emilio Lussu, allora tenente della Sassari, attribuendolo però all'iniziativa austriaca...
I malumori sulla fama di Mambretti, nota a tutto l'esercito, aumentavano...
Ma ormai tutto era pronto per l'azione.
Alle 5,00 di mattina del 10 giugno  tutte le artiglierie italiane aprirono il fuoco, annunciando l'inizio della grossa offensiva.
Il bombardamento continuò implacabile per dieci ore, salva una pausa di un'ora e mezza tra le 11,00 e le 12,30 per verificare l'apertura dei varchi nei reticolati nemici, ma purtroppo non avrebbe avuto quasi alcun effetto contro le postazioni difensive in galleria predisposte dal nemico, anche perché, avrebbe rilevato il Generale Di Giorgio, l'artiglieria avrebbe dovuto concentrarsi sul settore nord, quello Campigoletti-Ortigara che portava a Cima Portule (2310 m), il vero obiettivo dell'attacco, piuttosto che disperdersi su un fronte più ampio che comprendeva anche il quadrante sud, dove erano presenti i trinceramenti in galleria, ben fortificati e muniti di numerosissime mitragliatrici...
Tra l'altro, le trincee nemiche erano così vicine a quelle italiane che nonostante fossero state predisposte accuratissime tabelle di tiro, con un preciso scaglionamento progressivo dei colpi in avanti affidato settore per settore a diverse batterie, venne purtroppo duramente cannoneggiata pure la brigata Sassari della 25° divisione, il cui 151° reggimento in particolare ebbe per questo molte perdite: solo quattro compagnie di questa formidabile unità poterono così lanciarsi, come previsto, all'attacco del Monte Zebio!
Quest'episodio, di cui si venne a sapere solo molto tempo dopo ma non appare comunque nelle pubblicazioni ufficiali, è citato anch'esso nelle pagine da 194 a 201 nel libro di Lussu ed è presente pure nel film che ne fu tratto nel 1970, "Uomini contro".
Ovviamente l'accaduto non poteva che far aumentare i mugugni...





Così, anche per l'inclemenza del tempo (a parte la nebbia c'era una forte pioggia battente che a quelle altezze si trasformava in gelido nevischio) l'attacco, scattato alle 15,00 del pomeriggio, apparve sin da subito ai limiti dell'impossibile.
A farne le spese sarebbe stata soprattutto la formidabile 52° divisione alpina, lanciatasi decisa incontro al nemico divisa in due colonne, una al comando del colonnello brigadiere Jacopo Cornaro (I° Raggruppamento alpino, col I° Gruppo del tenente colonnello Achille Porta ed il II° del colonnello Adolfo Gazagne), l'altra agli ordini del Maggior Generale Antonino Di Giorgio (IV° Raggruppamento alpino, con l'VIII° Gruppo del colonnello Ottorino Ragni ed il IX° Gruppo  del colonnello Pirio Stringa).

Immagine tratta da http://www.valgame.eu/trincee/files/cronasia17.htm

Mentre intervenivano dall'aria a più riprese ben 141 aerei italiani (32 bombardieri Caproni, 53 ricognitori e 56 caccia, di cui uno sarebbe andato perduto e 20 tornati indietro per la nebbia), le truppe  si lanciarono all'attacco, paradossalmente favorite in alcuni punti dalla fitta nebbia, che ne nascose l'avvicinamento.
Sul settore sud del fronte principale, che doveva prendere il Monte Forno e successivamente indirizzarsi sulla Forcelletta di Galmarara, si scagliarono le truppe della 29°, 13° e 25° divisione, con gli arditi e la brigata Arno sulla cima (Quota 1508), la Pesaro su Casera Zebio Pastorile (Quota 1706), la Catania sulla cima dello Zebio (Quota 1717), la Sassari su Quota 1626, la Piacenza sul Monte Rotondo (Quota 1476) e la Veneto su Quota 1603, trovando però sin dall'inizio una ferocissima resistenza nelle numerose postazioni di mitragliatrici predisposte dal 27° reggimento stiriano di fanteria Konig der Belgien di Graz e da elementi del 4° bosniaco appartenenti all'11° brigata della 6° divisione di Mecenseffy.


Artur Friedrich Edler von Mecenseffy
(Vienna, 23 giugno 1865-
Campo Gallina, Asiago, 6 ottobre 1917)
Mentre nell'azione concorrente, scattata all'unisono con quella principale, a ovest del Monte Rasta la brigata Cremona (30° divisione) e ad est la Porto Maurizio (57° divisione) s'infrangevano senza scampo contro i reticolati nemici, rimasti praticamente intatti, con la Casale (12° divisione) che si limitava dal canto suo ad effettuare rischiose ma estemporanee puntate esplorative fino all'Assa, accadeva che sul Monte Rotondo, poco più a nord, l'esplosione di una mina italiana alle 15,05 non sortisse l'effetto sperato, consentendo ai difensori di arginare l'impeto della Piacenza, mentre sulla sua destra la valorosissima Sassari, pur riuscendo a sfondare in un primo momento le linee nemiche tra Quota 1626 e 1476, era costretta di nuovo a ripiegare dopo alcune ore dopo aver respinto ben tre contrattacchi nemici con impetuosi scontri alla baionetta.
Infine, sul Forno anche il I° battaglione del 213° Arno, dopo esser riuscito con difficoltà a raggiungere con le sue avanguardie la piccola selletta tra le due sommità, sfruttando un ampio varco creato dalle artiglierie italiane sulle pendici orientali, veniva facilmente sopraffatto dalle truppe nemiche uscite al contrattacco dal versante opposto dopo esser rimasto isolato per l'intervento di una batteria austriaca sul Colombara che concentrò il suo tiro sul resto della brigata alle sue spalle.


Da Rivista Aeronautica n. 6/2002

Al contrario, le cose sembravano andar meglio sul fronte più settentrionale, dove le due colonne alpine Cornaro (I° Gruppo, battaglioni Valtellina, Vestone e Stelvio, e II° Gruppo, con Bicocca, Ceva, Mondovì, Tanaro e Val Stura) e Di Giorgio (prima ondata col IX° Gruppo, battaglioni Bassano, Sette Comuni, Baldo e Verona; seconda con  l'VIII° Gruppo, Monte Clapier, Valle Arroscia, Val d'Ellero e Monte Mercantour) a costo di perdite spaventose riuscivano piano piano a penetrare nel Passo dell'Agnella attraverso l'omonimo Vallone (detto da quel momento il "Vallone della morte") ed a superare la linea fortificata  Mecenseffy, per poi accingersi a scalare i rispettivi obiettivi, favoriti dalla fittissima nebbia.
Sulla sinistra la colonna Cornaro riusciva a strappare al 7° battaglione Feldjaeger col Mondovì supportato dal Ceva e dallo Stura il Corno della Segala (1952 m), anticamera del Monte Chiesa (2063 m) difeso dal fortissimo 17° reggimento sloveno di fanteria KronPrinz al comando del colonnello Hugo von Thurmau, e coi battaglioni Vestone e Bicocca la prima linea del Costone dei Ponari, mentre quella Di Giorgio sulla destra prendeva coll'eroico Bassano  (che pur facendo 300 prigionieri e catturando varie mitragliatrici perdeva  il suo comandante e tutti i comandanti di compagnia), sia Quota 2003, difesa dal 20° battaglione Feldjaeger, che Quota 2101, presidiata dal 3° battaglione del 59° fanteria salisburghese Erzherzog Rainerin questo caso però solo grazie all'aiuto decisivo del Baldo, dell'Ellero e del Monte Clapier, trovando invece molte difficoltà al centro nell'assalto diretto a Quota 2105 dell'Ortigara.

Qui il battaglione Sette Comuni, avanzato fino a quel momento quasi indisturbato fino alla cima, fu tradito dal diradarsi della nebbia che lo lasciò totalmente allo scoperto davanti ai reticolati nemici rimasti assolutamente intatti: praticamente nello stesso momento la furiosissima reazione delle mitragliatrici di due battaglioni, il 23° Feldjaeger ed il 4° del 14° reggimento Ernst Ludwig Grossherzog von Hessen und bei Rehin di Linz, lo costrinse ad un disordinato ripiegamento su posizioni più riparate, dove venne a sua volta raggiunto dal Verona e successivamente dagli altri due Valle Arroscia e Mercantour, provenienti da più in basso.




Si cominciava già a delineare quello che sarebbe stato chiamato il "Calvario degli Alpini". 
Il Generale Aldo Cabiati, Sottocapo di Stato Maggiore del XX° C.A., avrebbe detto in seguito:

"Alla sera dello stesso giorno 10 l'insuccesso dell'impresa era già delineato e i comandi se ne resero chiaro conto, inquantoché il possesso anche di tutto il massiccio dell'Ortigara avrebbe potuto servire ottimamente, ma solo ed esclusivamente come trampolino per una ulteriore avanzata verso i preordinati obiettivi".

Le rilevantissime perdite già subite quel giorno, ben 6.752 tra morti, feriti e dispersi (di cui  2.585 della sola 52° divisione e 645 della 29°), il persistere dell'intensissimo maltempo e lo stallo delle operazioni in quota avevano così indotto la mattina dell'11 sia Mambretti che Montuori a sospendere le operazioni per tre giorni per rinforzare le proprie linee: tra il ripiegare su posizioni meglio difendibili e più vicine alle proprie linee e persistere nell'attacco con ancor maggior forza e vigore per impedire al nemico di rifiatare quella era la classica soluzione di compromesso che non serviva a nulla e semmai aggravava i problemi tanto che il comandante della 52° Como Dagna Sabina, coi suoi uomini così ben proiettati all'offensiva sull'Ortigara, non era d'accordo e chiese di poter insistere all'attacco.

Dovette essere convincente, se, dopo essersi visto negare nel primo pomeriggio la sua richiesta di posticipare di un'ora dalle 15,00 alle 16,00 l'attacco per aspettare che le artiglierie spazzassero del tutto i reticolati ancora rimasti in piedi, stavolta gli fu concesso di inviare dalle sue riserve il battaglione Monte Saccarello sul Costone dei Ponari ed il Val Dora a supporto dell'attacco all'Ortigara e soprattutto di ordinare al Tirano ed al Monte Spluga, giunti su Cima delle Pozze (Quota 2101) per far rifiatare soprattutto il decimato Bassano, di attaccare il Passo di Val Caldiera (2024 m).
Dalle 12,00 alle 16,00 del giorno 11 così di nuovo entrarono in azione contro le saldissime posizioni nemiche le nostre artiglierie, ma stavolta l'attacco condotto dalla Spluga e da una compagnia del Tirano fu respinto, pur essendo giunto ad un tanto così dal conquistare il passo.
Le perdite per la 52° divisione intanto avevano però superato già le 3.100 unità.




Dopo tre giorni di sostanziale "inerzia guerreggiata", per così dire, il giorno 15 gli austriaci diedero vita al primo serio contrattacco, cui venne dato il nome di "Operazione Anna", col fine di riprendere il controllo da Quota 2101 al Passo dell'Agnella, il cui possesso da parte degli italiani tagliava trasversalmente l'orlo settentrionale dell'altopiano ed impediva il collegamento tra la 6° e la 18° divisione austro-ungariche, mettendo a serio rischio l'intero Ortigara.
Ad effettuare l'attacco dovevano essere tre battaglioni e mezzo  al comando dell'esperto tenente colonnello Baszel giunto appositamente dalla Val Sugana, tutti schierati ad ampio semicerchio tra Quota 2107 e Quota 2060, il 2° ed il 4°/14°, il 3°/59° e due compagnie d'assalto tratte da elementi scelti del 14°, del 17° e del 59° reggimento.
A contrastarli avrebbero trovato i battaglioni alpini Tirano e Spluga, che avevano appena dato il cambio agli stremati Ellero e Clapier, nonché tutti quelli della brigata Piemonte appena entrata in linea, disposti su Cima delle Pozze (Quota 2101).
Nonostante la fretta con cui era stato progettato l'attacco, molta cura da parte degli Alti Comandi austriaci era stata data all'equipaggiamento dei loro uomini, segno chiaro della loro determinazione: ogni compagnia disponeva infatti di pistole lanciarazzi di segnalazione con le necessarie munizioni, mentre gli assaltatori avevano a testa un sacco viveri con due razioni di riserva, una coperta, 6 sacchi da terra, 150 cartucce, 6 bombe a mano, elmetto d'acciaio, maschera antigas e pinze tagliafili per allargare i varchi aperti dall'artiglieria; infine, ad alimentare costantemente l'attacco dovevano essere colonne di portatori muniti di 300 cartucce e 10 bombe a mano!

Alle 2,00 di notte un poderoso fuoco d'artiglieria annunciò l'assalto, partito trenta minuti dopo: la prima ondata fu terribile ed apparentemente inarrestabile sulle prime, nonostante la feroce opposizione dei nidi di mitragliatrici FIAT italiani, ma dopo che i battaglioni nemici, fattisi strada tra i reticolati quasi del tutto divelti dal tiro d'annientamento dei loro cannoni erano riusciti ad arrivare su Quota 2071 un immediato disperato contrattacco degli alpini li ributtò indietro alle posizioni di partenza, costringendo a chiedere con i razzi di segnalazione un nuovo intervento dell'artiglieria, iniziato alle 3,30.
Dopo soli dieci minuti il fuoco cessò e l'assalto riprese, ma ancora una volta venne respinto, con somma fatica, dopo un primo momento di sbandamento costato nuovamente agli italiani per pochi minuti la perdita della cima.
La battaglia era tutt'altro che finita: c'era il tempo infatti per un terzo assalto degli uomini di Baszel, ma ormai troppa era la stanchezza accumulata, e troppe le perdite subite, per cui anch'esso falliva di nuovo, in maniera stavolta più netta dei precedenti, tanto che gli italiani cercavano addirittura il colpaccio, avanzando a loro volta verso il Passo di Val Caldiera e Quota 2107, ma stavolta erano loro a doversi ritirare in disordine, presi d'infilata dai lati e di fronte dalle Schwarzlose austriache, così dopo qualche sporadico altro scambio di colpi lo scontro finalmente finiva, quando ormai cominciava ad albeggiare, con un sanguinosissimo nulla di fatto, costato la perdita di 600 uomini agli austro-ungarici e ben 1.444 agli italiani (62 ufficiali e 1.382 gregari)!

(Sull'Operazione "Anna" v. in particolare http://www.anavittorioveneto.it/ortigara-15-giugno-1917/)

A questo punto Mambretti, sorpreso e sconcertato da questa azione nemica e temendone di nuove, preferiva riprendere decisamente l'offensiva.


Caduti alpini sull'Ortigara


Dopo un primo tentativo effettuato il 17 dal Val Dora e respinto con gravi perdite sulla colletta dell'Ortigara, il Generale, che aveva ricevuto dal lontano Cadorna carta bianca, ordinò per il 19 l'attacco generale sull'intero massiccio, sempre però col medesimo schema, solamente adattato alla situazione sul terreno!
Sin dalle 8,00 di mattina del 18 di nuovo tornavano a tuonare le nostre artiglierie (cui rispondevano quelle nemiche), dando vita ad un bombardamento che sarebbe continuato praticamente per 25 ore senza soluzione di continuità, poi partì l'attacco.
Dapprima, sul fronte sud, la 25° divisione cercò invano di sfondare alle 14,00 e poi alle 17,45 tra Monte Rotondo e Monte Zebio, perdendo circa 800 uomini, mentre la 57° ne perse altri 787 nell'infruttuoso e reiterato assalto alle saldissime difese del Monte Resta, ma era a nord, il giorno dopo, il 19, con l'appoggio dall'aria di altri 145 apparecchi (30 Caproni, 61 caccia e 54 ricognitori), che partiva alle 6,00 di mattina l'offensiva in massa sull'intero complesso dell'Ortigara.




L'attacco falliva sia sullo Zebio, dove la 13° divisione perdeva 1.636 uomini, che sul Forno, dove la 29° ne perdeva 1.460 (tutti appartenenti al 214° Arno ed al 238° Grosseto, per opera soprattutto delle artiglierie nemiche), ma stavolta riusciva proprio sull'Ortigara.
Nonostante le difese nemiche di Campigoletti e Chiesa non venissero nemmeno intaccate dal nostro bombardamento, che pure aveva spianato l'intero pianoro e la vetta, la 52° divisione alpina riusciva infatti a sfondare la resistenza del nemico, pur rinforzato grazie all'arrivo del 1° battaglione del 14° fanteria e del 2° del prestigioso 4° Jaeger del Tiroloandando all'attacco su tre colonne con entrambi i suoi raggruppamenti, il I° ancora con la prima colonna da sud-est su Quota 2105 ed il IV° da est con la seconda e da nord-est con la terza colonna sul Passo di Val Caldiera.
La cima dell'Ortigara cadde sotto l'attacco congiunto del Verona e del Sette Comuni sulla destra e del Saccarello e del Valtellina lungo il Costone dei Ponari, anche se il Saccarello venne praticamente annientato, tanto da essere interamente rilevato nel corso dell'azione dallo Stelvio.
Nonostante l'intero versante fosse poi occupato per intero dagli  alpini di Baldo, Dora, Bassano e Stura insieme col 9° bersaglieri appena giunto in appoggio, tuttavia, gli stanchissimi alpini non riuscirono sullo slancio a prendere il Campigoletti e quindi ad aprirsi la strada per il Pertule e per l'intero altopiano, anche se il nemico era quasi sull'orlo del tracollo, col rischio concreto di perdere le retrostanti Cime Dieci e Undici, giungendo al massimo fino all'imbocco a Quota 2060 del Passo di Val Caldera, senza riuscire ad oltrepassarla, fermati definitivamente dal tiro d'interdizione delle artiglierie nemiche, dalla stanchezza e dalle indecisioni dei comandi...


Immagine tratta da http://www.valgame.eu/trincee/files/cronasia17.htm



Alle 20,45 del 19 giugno Mambretti comunicava a Cadorna che riteneva ormai impossibile, alla luce della situazione venutasi a creare sul campo, ottenere la conquista dell'intero altopiano con ulteriori offensive di massa, e preferiva a questo punto assumere un atteggiamento difensivo su tutto il fronte ed al limite puntellare con piccole azioni mirate sull'Ortigara le posizioni italiane, dove nel frattempo altri reparti sarebbero andati a sostituire quelli impiegati nell'azione: a tal fine tre batterie d'artiglieria da montagna (per un totale di 12 pezzi) venivano trasportate a braccia a difesa di Quota 2105 ed una su 4 pezzi a Quota 2101 ed al Passo dell'Agnella.
La montagna aveva partorito il topolino, insomma.
Eppure, nemmeno questo modesto risultato sarebbe rimasto in mano agli italiani.

Timorosi di perdere definitivamente l'intero settore, nonostante fossero ancora in possesso sia della Valsugana alle spalle che di Campigoletti di fronte, gli austriaci si rivolsero al Generale Ludwig Goiginger, comandante della 60° divisione ma soprattutto stimatissimo ufficiale di artiglieria e grande esperto della guerra in montagna, e questi suggerì l'effettuazione di un'operazione d'assalto su grande scala mai effettuata in Italia finora dagli austro-ungarici, cui fu dato dal suo ideatore, il tenente colonnello Adolf Sloninka von Holodow, comandante del 1° reggimento Kaiserschutzen Trentil nome di "Operazione Wildbach".
Alle 2,30 di notte del 25 giugno, precedute da un furioso bombardamento con abbondante utilizzo anche di granate cariche a gas, le appena nate Sturmtruppen, 11 nuclei d'assalto armati di bombe a mano e lanciafiamme, si lanciarono alla riconquista di tutte le quote presidiate dagli italiani, 2003, 2071, 2101 e 2105, alla testa di due battaglioni di Kaiserschutzen, il 1° del 1° reggimento al comando del tenente colonnello Forbelski ed il 2° del 2° reggimento Bozen agli ordini del maggiore von Buol, sbaragliando prima i tre battaglioni del 9° bersaglieri del colonnello Arturo Redaelli e i due del 10° fanteria Regina del colonnello Ugo Pizzarello di presidio a Quota 2003, poi i quattro alpini Bicocca, Bassano, Valtellina e Valle Arroscia del II° Gruppo di Gazagne schierati tra Quota 2071 e Quota 2105: i poveri alpini vennero pressoché annientati dal gas ed i superstiti furono quasi tutti catturati.
Alle 3,10, cioè solo quaranta minuti dopo quell'assalto, un razzo verde annunciava la conquista della vetta da parte degli austriaci.

Nonostante la furiosa reazione quasi "di pancia" delle artiglierie italiane sulle cime dell'Ortigara causasse tra le file nemiche il maggior numero di vittime dall'inizio della battaglia, le ostilità sarebbero potute finire qui, ma l'ineffabile Mambretti volle incredibilmente riproporre la stessa identica azione in massa fatta il 19 giugno!
Le condizioni fisiche, morali e tattiche dei nostri soldati però erano ora troppo diverse rispetto a sei giorni prima: così quando alle 20,00 del 28 giugno la stremata 52° divisione si mosse l'attacco fu guidato in realtà dagli ultimi reparti alpini disponibili, tenuti fino a quel momento di riserva, i battaglioni sciatori Cuneo e Marmolada, freschissimi perché tratti direttamente dalla quasi inutilizzata 51° divisione di Etna.
Mentre il resto di quella sventurata divisione si immolava nel tentativo impossibile di riconquistare il massiccio, il Cuneo riuscì non si sa come ad arrivare stentatamente fino a Quota 2003, ma qui fu costretto a fermarsi e, rimasto isolato per il mancato arrivo degli altri reparti, fermati per disposizione di Montuori alle 23,40 del 28, fu irrimediabilmente sconfitto e catturato praticamente per intero il giorno dopo, determinando la conclusione dell'offensiva.
La 52° divisione perse tra il 28 ed il 29 giugno ben 5.969 uomini, per un totale di 12.633 in tutti quei 19 giorni!

Immagine tratta da http://www.valgame.eu/trincee/files/cronasia17.htm

Tra gli italiani in totale vi furono, secondo le stime più precise, 27.079 perdite (2.865 caduti, 5.600 dispersi e 16.814 feriti, più 1.800 prigionieri comunicati dagli austriaci), mentre questi ultimi ebbero 992 caduti, 1.515 dispersi e 6.321 feriti (8.828 in totale).

Il Generale Mambretti il 20 luglio sarebbe stato destituito dal comando della VI° Armata, affidato a Donato Etna, e mandato a presidiare il confine italo-svizzero.
La VI° armata sarebbe stata sciolta a settembre, confluendo parte nella I° di Pecori Giraldi e parte nella IV° di Nicolis di Robilant.

Qualche  mese dopo la battaglia, il 6 ottobre, 18 giorni prima di Caporetto, una granata italiana sparata da Cima della Caldiera avrebbe centrato in pieno l'automobile su cui viaggiava il Generale Artur Edler von Mecenseffy mentre percorreva la Kaiser Karl Strasse, un'importante strada militare costruita dagli austro-ungarici, in direzione di Campo Gallina, sull'Ortigara, ove aveva sede l'enorme cittadella in cui era acquartierata la sua 6° divisione di fanteria.

(Estratto da http://ilforconedeldiavolo.blogspot.it/2017/11/chi-ha-causato-caporetto.html)

TA-PUM: La canzone degli alpini dell'Ortigara
https://www.youtube.com/watch?v=AdZVmEBmKME


Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_del_monte_Ortigara
http://www.valgame.eu/trincee/files/cronasia17.htm
http://www.lagrandeguerra.net/ggbattagliaortigara.html).
https://www.ana.it/2008/05/14/approfondimenti-monte-ortigara-il-calvario-degli-alpini-10-29-giugno-1917/

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